Forti differenze da Comune a Comune per il pagamento della tassa sui rifiuti, con i capoluoghi liguri tra le città più care rispetto al resto d’Italia, per costo del servizio. È quanto emerge dai dati diffusi da Unioncamere Liguria sui costi per rifiuti e servizio idrico nel 2014. E così può capitare che un parrucchiere a Ventimiglia spenda 904 euro di tassa sui rifiuti contro i 407 di Bordighera, i 110 di Borghetto Santo Spirito, i 700 di Genova, i 1.127 di Camogli e i 240 di Sarzana.
L’indagine si è svolta su un campione di circa 1,2 milioni di cittadini (Comuni sopra i 5 mila abitanti): per le famiglie si traduce in un esborso che si muove in un intervallo da uno a tre volte a seconda del Comune di residenza, mentre nel caso delle utenze non domestiche la variabilità territoriale è ancora più elevata, con un rapporto tra massimo e minimo che arriva sino a 12 volte.
Tra i fattori che influenzano l’alto livello della spesa media, spiega Unioncamere, incide l’organizzazione del servizio soprattutto in termini di raccolta differenziata e soluzioni impiantistiche per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti: in Liguria la raccolta differenziata è di poco superiore al 30% (unica regione settentrionale al di sotto della media nazionale pari al 42%) e la quantità di rifiuti smaltiti in discarica è superiore al 70% (40% a livello nazionale).
L’introduzione nel 2014 della Tari ha poi determinato una redistribuzione del carico sulle diverse utenze, in virtù del principio comunitario “chi inquina paga”: l’impatto è stato più rilevante per le famiglie numerose e per quelle tipologie di attività, come il ristorante, alle quali è associata una producibilità presunta di rifiuto più elevata, mentre ne hanno beneficiato i nuclei monocomponenti e altre categorie di attività economica, dal parrucchiere all’albergo.
Forti rincari nei Comuni che nel 2013 ancora applicavano la Tarsu, la vecchia tassa rifiuti che non prevedeva l’obbligo di copertura integrale dei costi.
«A Genova è una tragedia – dice Ilaria Mussini, presidente della consulta dei Civ di Ascom Genova – ci sono categorie che hanno subito un aumento del 120%, come i fioristi, i fruttivendoli, i pescivendoli, i macellai, ma anche i ristoranti e i bar. È ridicolo perché la maggioranza di questi crea solo compost, inoltre le macellerie già pagano un servizio privato per la raccolta». Ascom è riuscita ad avere da Amiu la suddivisione del “peso” delle varie categorie e proporrà al Comune un documento che prevede, a fronte di un leggero aumento a determinati settori merceologici, una diminuzione del 30% per quelli più “bastonati”. «Il calcolo al metro quadro è folle, si dovrebbe convertire in un calcolo a peso di rifiuti prodotti – rincara la dose Mussini – Genova è la più cara d’Italia e la chiusura di Scarpino ci costa 100 mila euro al giorno».
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Nel caso della famiglia tipo italiana, ovvero con tre componenti e un’abitazione di 108 mq, a fronte di una spesa circa 290 euro/anno, valore che sale a quasi 350 euro/anno se si tiene conto della popolazione residente, in Liguria si registra l’esborso minore nel capoluogo spezzino con 280 euro/anno e quello maggiore a Genova, con oltre 360 euro/anno.
Sulle utenze non domestiche, Imperia risulta conveniente per gli alberghi, ma non per i ristoratori, in modo speculare si muove il capoluogo spezzino; se Genova rimane piuttosto stabile in graduatoria, a Savona godono di una posizione di vantaggio le attività industriali. Analizzando in modo più dettagliato i dati, un albergo a Ventimiglia paga 6.490 euro, a Bordighera 3.518 euro, una struttura ad Alassio paga 6.434 euro contro i 2.237 di Carcare, in provincia di Genova i due estremi sono Busalla con 2.531 euro e Cogoleto con 10.809, mentre nello spezzino si va dai 4.229 euro di Sarzana agli 11.382 di Vezzano Ligure. Per quanto riguarda i ristoranti in provincia di Imperia si va da un minimo di 2.782 euro a Taggia a un massimo di 6.013 di Ventimiglia, in provincia di Savona dai 966 euro all’anno di Borghetto Santo Spirito ai 5.175 di Quiliano, in provincia di Genova dai 1.334 di Serra Riccò ai 7.488 di Genova, mentre nello spezzino il minimo si paga a Sarzana con 1.813 euro, il massimo a Levanto con 7.124.
«La Tares e la Tari – sostiene Paolo Barbieri, coordinatore di Ancestor (centri storici) per Confesercenti Genova – hanno provocato un aumento generalizzato, anche nei Comuni virtuosi si è verificato un aumento importante per le categorie. Alcune municipalità hanno spostato alcuni punti percentuali dalle attività produttive alle famiglie, mentre il Comune che ha deciso di mantenere la stessa percentuale si è trovato di fronte a una somma da dividere tra un numero inferiore di soggetti a causa delle chiusure per la crisi». Aumentando i costi e diminuendo i consumi si è creato un circolo vizioso da cui è difficile uscire: «Alcuni Comuni – spiega Barbieri – hanno scoperto che non potevano più destinare risorse al di fuori del ricavo della Tares e così hanno dovuto aumentare le tariffe. A Genova siamo in una situazione insostenibile, è uno svantaggio competitivo anche a livello regionale».
Anche per i parrucchieri le differenze sono notevoli: si va dai 407 euro di Bordighera ai 904 di Ventimiglia nell’imperiese, dai 110 euro di Borghetto Santo Spirito ai 534 di Quiliano nel savonese, dai 186 euro di Cogorno ai 1.127 di Camogli in provincia di Genova, dai 240 di Sarzana ai 996 euro di Arcola nello spezzino.
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Per Gloriana Ronda, che rappresenta gli acconciatori in Confartigianato Genova, dovrebbero cambiare i criteri: «Santa Margherita e Rapallo sono state considerate zone depresse, tutto è opinabile. La realtà è che ovunque ci sono saloni in sovrastruttura, con locali molto ampi nonostante la diminuzione di personale e di lavoro. Bisognerebbe usare criteri diversi per il calcolo della tariffa, per esempio usare il numero di addetti impiegati in negozio. In ogni caso a dare più fastidio non è la differenza tra tariffe, ma un approccio che non è ecosostenibile. In altre città chi ricicla è premiato, qui no».
Per quanto concerne i capoluoghi di provincia Genova registra una spesa superiore alla media soprattutto per le imprese, sulle quali è maggiormente sbilanciato il carico; La Spezia mostra una spesa più alta della media per le imprese e inferiore per le famiglie che risultano quindi “privilegiate” nell’allocazione dei costi; Imperia e Savona mostrano livelli della spesa sostanzialmente allineati alla media e con un’equa ripartizione tra utenze.
Analizzando le variazioni 2012-2014 tra il valore minimo, massimo e medio, a seconda del Comune di residenza, un ristorante può aver avuto un aumento del 296% o una diminuzione del 16%. Per un parrucchiere la variazione può essere stata del 119% o del -41%, per un albergo si va dall’86% al -58%, per l’industria alimentare dal 66% in più al 78% in meno.
Per quanto riguarda l’analisi della qualità del servizio, i capoluoghi liguri si caratterizzano per una qualità deficitaria: tanti gli aspetti critici, come la quota elevata di rifiuti smaltiti in discarica, ben più alta della media nazionale, che determina una bassa qualità del servizio, lo scarso interesse per lo strumento della “carta del servizio”, adottata solo in due Comuni e anche in questi casi poco esaustiva, e una non eccellente attenzione alle agevolazioni per i comportamenti virtuosi delle utenze non domestiche.
«Bisogna pensare a livello regionale – suggerisce Barbieri – a una maggiore efficienza. A Genova per esempio il servizio non è puntuale, occorre considerare che è il biglietto da visita della città. Sulla differenziata abbiamo fatto un passo in avanti, non è uno dei punti più critici per gli esercenti, ma si tratta anche qui di un panorama non uniforme. Inoltre quando ci sediamo al tavolo dei soggetti incaricati della raccolta, la differenziata è sempre presentata come un costo anziché una risorsa. Dovrebbe cambiare l’atteggiamento».