Che cosa abbiamo visto la scorsa settimana
Eurozona: l’indice PMI (che misura le aspettative dei direttori acquisti delle principali aziende sull’andamento dell’economia per i prossimi 3-6 mesi) “composito” (ovvero di entrambi i comparti manifatturiero e servizi) redatto da Markit Economics, sceso a novembre a 52,4 punti dai 53,1 di ottobre, conferma la dinamica di rallentamento della crescita in atto da alcuni mesi sia sul “secondario” (PMI manifatturiero a 51,5 punti dai precedenti 52,0) che sul “terziario” (PMI servizi a 53,1 punti dai precedenti 53,7); anche l’indice di fiducia dei consumatori di novembre ha registrato un’ulteriore contrazione a -3,9 dai precedenti -2,7; deludente anche l’indice di fiducia IFO tedesco, in calo a livello sia di stime correnti che di aspettative; a decretare ulteriormente la fase di rallentamento della crescita economica europea, è arrivata anche la conferma del dato preliminare di calo del pil III trimestre della locomotiva tedesca a -0,2% (rispetto al +0,5% del II trimestre – ma la variazione annua è ancora +1,1%).
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, in audizione all’europarlamento, come consueto, senza mai fare specifico riferimento ad alcun paese membro dell’Unione europea, ha nuovamente sottolineato la necessità di proseguire sul cammino delle ulteriori riforme strutturali, mantenendo, però, sempre alta l’attenzione sui vincoli di bilancio (ossia di “deficit” e di “debito” pubblico), il cui rispetto crea le condizioni di fatto per una maggiore crescita economica sostenibile. Le sue dichiarazioni arrivano pochi giorni dopo la cena del 24/11 tra il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, al termine della quale è emersa la disponibilità di entrambe le istituzioni a un confronto più dettagliato sui costi e sugli effetti delle singole misure previste nella manovra italiana di bilancio per il 2019: a un’iniziale ipotesi (dei media) di slittamento a giugno (ovvero dopo le elezioni europee) del reddito e pensione di cittadinanza e a maggio della prima finestra per la Quota 100, i due vicepremier Di Maio e Salvini hanno dichiarato che la variazione dei saldi complessivi della manovra potrà essere solamente di qualche decimale (i media ipotizzano una revisione del deficit programmato dall’originario 2,4% al 2,2% del pil). Ma i commissari europei Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis hanno ribadito la non ammissibilità di un deficit superiore al 2%, di fatto, mantenendo i presupposti per l’avvio della procedura d’infrazione contro l’Italia “per debito eccessivo”, che il Governo sta cercando di prorogare a febbraio/marzo del 2019, così da posticipare l’effettiva entrata in vigore delle sanzioni “a dopo le elezioni europee del 26/05/2019”, offrendo, in qualche maniera, l’opportunità di un riesame dinanzi ad una “controparte politicamente più benevola”.
Gli investitori hanno, comunque, apprezzato l’apertura del Governo, spingendo, già lunedì 26/1, lo spread (differenziale di rendimento) tra Btp e Bund a 10 anni sotto i 300 punti base (minimo in area 286-8, poi risalito in area 290-296, dal picco di 336 del 20/11), per un rendimento del Btp decennale in area 3,24%-3,28% (dal 3,80% circa del 20/11) e dell’omologo tedesco a 0,34%-0,37%, con conseguente recupero (dai minimi degli ultimi due mesi, più volte in area 18.400-18.500) del principale indice azionario italiano Ftse Mib (fino a 19.300 punti circa), grazie al contributo dei comparti bancario e, in parte, industriale. Su quest’ultimo pesano le incertezze sulla futura crescita/domanda economica globali e sugli sviluppi degli equilibri del commercio internazionale, più fragili a seguito dell’introduzione dalla scorsa primavera/estate dei dazi tra Usa e Cina (e non solo): secondo alcuni media, con la Casa Bianca che starebbe attentamente monitorando gli effetti economici dei dazi le posizioni di Usa e Cina in vista del G20 di oggi venerdì 30/11 a Buenos Aires seppur ancora distanti sarebbero vicine a una tregua (almeno temporanea). Se confermata, la tregua consentirebbe un significativo recupero dei mercati finanziari globali e, in generale, delle asset class rischiose.
Stati Uniti: in rallentamento l’indicatore di tendenza del Conference Board di ottobre a +0,1% dal +0,6% di settembre; la seconda stima del tasso di crescita del prodotto interno lordo del III trimestre conferma il precedente +3,5%, ma risulta leggermente inferiore alle aspettative degli analisti (+3,6%), con l’indubbio supporto del pacchetto di stimoli fiscali alle imprese e dei consumi delle famiglie statunitensi: al “Black Friday” del week end del 23/11, con i super-sconti e le promozioni in-stores e on-line per la prima corsa agli acquisti natalizi, è stato, infatti, raggiunto il record di vendite dal 2011 e altrettanto incoraggiante è stato il risultato del “Cyber Monday” (il successivo lunedì di promozioni riservate ai prodotti dell’high-tech). Incoraggiati da un tasso di disoccupazione ai minimi da quasi 50 anni (3,7% in ottobre, con il dato di novembre che uscirà giovedì 7/12), i consumatori statunitensi continuano a spendere, potendo anche contare su una crescita delle retribuzioni in ottobre del 3,1% (dal +2,8% di settembre, dato di novembre in uscita sempre il 7/12).
A Wall Street, dopo una dinamica degli utili e fatturati del III trimestre complessivamente soddisfacente (su 485 società dell’S&P 500, quasi l’83% ha battuto le attese degli analisti – fonte Bloomberg), i tre principali indici azionari hanno recuperato anche oltre il 2%, grazie alle dichiarazioni del presidente della Fed Jerome Hayden Powell di mercoledì 28: con toni decisamente diversi da quelli di ottobre (in cui si lasciava presagire una lunga serie di rialzi, a causa di un livello dei tassi ufficiali della banca centrale ancora molto lontano da quello “naturale” ovvero “di equilibrio di lungo periodo che non influisce sulla crescita”), Powell ha dichiarato che gli attuali tassi Fed, pur rimanendo ancora al di sotto del target di equilibrio, vi si stanno avvicinando e che le prossime decisioni della Fed dipenderanno dai dati economici e finanziari dei prossimi mesi. Si ridimensionano, così, gli indici di volatilità implicita (misura della “avversione al rischio” degli investitori), mentre l’euro cerca il recupero di quota 1,14 contro il dollaro statunitense, al contrario della sterlina inglese, nuovamente scesa (Eur/GBP sopra 0,89), dopo l’approvazione all’Eurogruppo del 25/11 della bozza di “soft Brexit” che il primo ministro inglese Theresa May dovrà sottoporre al voto del suo Parlamento il prossimo 11/12: le incognite sull’esito di tale voto sono tali da aver indotto il governatore della Bank of England Mark Carney a lanciare un monito sui rischi di recessione economica in caso di ulteriore instabilità politica.
La nostra strategia di allocazione del portafoglio
Pur monitorando attentamente la ricerca in atto di un nuovo equilibrio dei tassi d’interesse, soprattutto, statunitensi, continuiamo a favorire il comparto azionario, che, grazie alla recente correzione, presenta valutazioni attraenti; suggeriamo di costruire le posizioni con gradualità, ricorrendo ai “piani di accumulo” o, comunque, ad “investimenti programmati” nelle fasi di maggiore volatilità/avversione al rischio.
Poiché il percorso di normalizzazione (aumento) dei tassi, ormai avviato negli Usa, è destinato a iniziare anche in Eurozona dalla seconda metà del 2019, preferiamo un approccio difensivo per le obbligazioni governative e societarie dei Paesi sviluppati, rimanendo “sotto-pesati” e preferendo le scadenze più brevi (in deroga, per gli Investitori più aggressivi/speculativi, suggeriamo il comparto delle obbligazioni bancarie “subordinate” dell’Eurozona); per i comparti azionario ed obbligazionario dei paesi emergenti restiamo “neutrali”, ma pronti a cogliere le opportunità offerte dagli attuali elevati rendimenti, non appena stabilizzatosi il cambio del dollaro statunitense e raggiunti nuovi equilibri sul commercio internazionale (fine guerra dei dazi).