Dopo i primi vaccini contro il Covid-19, il problema di come evitare l’infezione è ancora attuale. La logica delle riaperture delle attività e le regole da seguire nella ripresa della vita lavorativa e sociale ha senso che siano affidate alle evidenze che la scienza propone in una ricerca continua di risposte alle domande dei cittadini e dei governi.
Oltre alle precauzioni igieniche, è ormai prassi accettata quella di usare la mascherina in presenza di altre persone e di tenersi ad almeno un metro di distanza: ma è sufficiente?
Una nuova ricerca pubblicata su Scientific Reports dimostra che il distanziamento di un metro non ha fondamento scientifico: l’attuale ignoranza circa la dimensione iniziale delle goccioline di saliva che accompagna le esalazioni umane (tosse, starnuti, ecc.), e che fungono da veicolo per il virus SARS-CoV-2, non permette di identificare una distanza capace di garantire sicurezza tra gli individui.
Da questo punto di vista, l’uso della mascherina è l’unico modo attualmente comprovato di avere una maggiore sicurezza. La ricerca, frutto del lavoro di un gruppo di scienziati, esperti di fisica dell’atmosfera, dinamica dei fluidi e bio-fluidodinamica, afferenti all’Università di Genova, all’Okinawa Institute of Science and Technology, all’Université Côte d’Azur e alla sezione genovese dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dimostra come non esista nessun alcun fondamento scientifico alla base del distanziamento sociale nella prevenzione del rischio di contagio da Covid-19.
I perché di questa ricerca sono contenuti in un’intervista al professor Andrea Mazzino, ricercatore e docente di fluidodimamica dell’Università di Genova, che pubblichiamo integralmente:
Cosa sappiamo delle possibilità di trasmissione del Covid?
«È ormai un fatto assodato che il Covid-19 sia in gran parte causato dalla trasmissione per via aerea, un fenomeno che ha rapidamente guadagnato grande attenzione da parte della comunità scientifica. Sono svariate le pubblicazioni scientifiche, tutte molto recenti, che dimostrano tale evidenza. Il virus SARS-Cov-2 ospitato in diversi tratti del nostro apparato respiratorio viene espulso all’esterno attraverso emissioni violente (tosse o starnuti), ma anche semplicemente parlando o cantando o semplicemente respirando. In tutti questi casi vengono emesse piccole goccioline di saliva che fungono da veicolo per il virus. Esso non viaggia da solo in aria ma necessita di tale mezzo per essere trasportato e contagiare altri individui garantendo così la sopravvivenza della specie virale. Gli esperimenti dicono che la dimensione delle goccioline emesse copre un grosso intervallo di variazione: possono presentarsi goccioline di un millimetro e goccioline di meno di un micron (1/1000 di millimetro), sebbene come vedremo ci siano grosse discordanze nei risultati oggi disponibili nella letteratura scientifica.
Alla luce di tale meccanismo di contagio, il distanziamento è di fondamentale importanza per limitare la diffusione della malattia. La ragione di ciò è ovvia: le goccioline hanno un certo peso e prima o dopo cascano a terra. Il punto cruciale è conoscere al meglio la distanza a cui cascano la maggioranza di esse per identificare una fascia di rischio attorno alla persona infetta».
Come conoscere questa fascia di rischio che ci serve per mantenere la giusta distanza? Si tratta di un metro, come suggerito dall’Oms?
«No, non esistono evidenze che dimostrino che il distanziamento di un metro sia sufficiente. Il nostro studio “Fluid dynamics of Covid-19 airborne infection suggests urgent data for a scientific design of social distancing”, utilizza modelli fisico-matematici che dimostrano che le linee guida Oms in fatto di distanziamento non hanno alcun fondamento scientifico, ben tre ragioni ne minano la fondatezza: delle goccioline di saliva emesse, che hanno raggi variabili in un intervallo molto ampio (dal micron al millimetro), non è noto con sufficiente precisione come si distribuiscano tra le varie taglie: range di variazione di grandezza e la loro distribuzione statistica si sa solo approssimativamente, per esempio, quante goccioline ci siano in un intervallo di raggi tra 1 micron e 2 micron, o intervalli simili) all’interno di un’emissione non è conosciuta; l’incertezza di cui al punto precedente impedisce di fare previsioni univoche sulla distanza raggiunta dalle goccioline emesse: questo vale per un colpo di tosse, l’oggetto del nostro studio, ma riteniamo valga anche per le altre emissioni, violente e non non ci sono sufficienti informazioni per fare previsioni sulla distanza raggiunta dal droplet: nello studio ci concentriamo sulla tosse ma riteniamo che le conclusioni valgano anche per le altre emissioni, violente e non; non c’è ancora nessuna ricerca evidenza scientificamente provata sulla “preferenza” (ossia la sua possibilità di mantenere inalterata la sua carica virale) del virus di essere veicolato da verso goccioline liquide o verso piuttosto che da nuclei secchi».
Quindi non siamo in grado di identificare una distanza di sicurezza tra individui?
«Non si tratta di ignoranza dei processi fisici che regolano il moto di queste goccioline in aria e del processo di evaporazione cui sono soggette durante il loro viaggio. Di tali processi conosciamo le equazioni evolutive. Il problema è un altro: per prevedere il moto delle nostre goccioline serve conoscere non solo le equazioni del moto (appunto note) ma anche la dimensione di partenza delle goccioline. La letteratura scientifica esistente su questo aspetto mostra dati molto discordanti. Ci sono studi che sostengono che il 97% delle goccioline di saliva emesse hanno raggi inferiore al micron (e quindi sarebbero la stragrande maggioranza), altri autori riportano evidenze che siano il 45% delle goccioline a stare sotto la taglia del micron. Altri ancora non riportano evidenze di goccioline sotto il micron. Si va quindi dalla quasi totalità di gocce sotto il micron a nessuna. Sfruttando i migliori calcolatori oggi disponibili al mondo abbiamo dimostrato come tale incertezza sia la causa alla base dell’impossibilità attuale di fissare una distanza di sicurezza fondata su argomentazioni solide e quantitative».
Ha detto che la potenziale maggiore o minore trasmissibilità è anche una questione di umidità e di “preferenza” del virus verso di essa o verso un clima secco.
«Questo è un altro dilemma che gli scienziati a oggi non hanno ancora risolto. Il virus trasportato si trova maggiormente a suo agio (avendo la possibilità di mantenere cioè inalterata la sua carica virale) su goccioline liquide o su nuclei secchi? Questi ultimi possono essere lo stadio finale a cui arrivano le nostre goccioline di saliva qualora evaporassero completamente (la saliva è infatti una soluzione salina): non si sa quale dei due tipi di veicolo prediliga SARS-Cov-2. Dalle nostre simulazioni, a seconda dell’umidità relativa dell’ambiente che ci ospita (e questa può variare molto sia in ambienti domestici che all’aperto), le goccioline possono diventare completamente secche (nel giro di una frazione di secondo, purché l’ambiente sia sufficientemente secco, orientativamente con una umidità relativa (RH) inferiore al 45%) o, al contrario, rimanere allo stato liquido indefinitamente (quando RH è maggiore del 45%)».
Quali sono le implicazioni di questo sul distanziamento?
«Sarebbero diametralmente opposte a seconda delle preferenze per un veicolo di trasporto secco o bagnato da parte di SARS-Cov-2. Se preferisse il secco, ma un individuo si trovasse in un ambiente con RH superiore al 45%, le goccioline non evaporerebbero mai e il virus si troverebbe a perdere la sua carica virale con buona pace del contagio che sarebbe inibito e rendendo meno cruciale il ruolo del distanziamento sociale. Se al contrario SARS-Cov-2 preferisse il veicolo bagnato (e ci si trovasse come prima in un ambiente con RH superiore al 45%) la soglia del metro non garantirebbe affatto la sicurezza come già discusso in precedenza».
Cosa si può fare?
«Serve un grosso sforzo per arrivare a una convergenza di risultati sulla distribuzione iniziale delle dimensioni delle goccioline emesse durante una espulsione (starnuto, tosse, parlare, cantare). In assenza di ciò il concetto di distanziamento per minimizzare il contagio appare evanescente. Inoltre, le condizioni dell’ambiente condizionano pesantemente lo stato delle goccioline di saliva emesse che possono rimanere allo stato liquido o ridursi a un nucleo secco salino. Serve quindi un grosso sforzo per arrivare a definire il potenziale infettivo del virus SARS-Cov-2 quando trasportato su nuclei secchi rispetto a quanto accade se il veicolo è costituito da goccioline liquide. Solo la ricerca multidisciplinare (ingegneria, fisica, chimica, biologia, …) potrà svelare queste due risposte ancora inevase garantendo così la possibilità di attuare linee guida solide per la difesa da un nemico invisibile ma spietato. Nel frattempo usare la mascherina è l’unico modo veramente sicuro per ridurre il contagio».