Nel 2015 sono sbarcati sulle coste italiane oltre 149.000 migranti e 85.000 sono state le istanze di protezione internazionale presentate al nostro Paese. Lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è stato affidato dalla legge Bossi-Fini all’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) e si basa sull’adesione volontaria delle amministrazioni comunali che, attraverso la collaborazione di soggetti qualificati, attivano posti e progetti per assistere gli stranieri richiedenti protezione umanitaria e integrarli nella comunità che li accoglie, un fiore all’occhiello della gestione italiana degli sbarchi, ma che per ora non rappresenta la maggioranza dei posti di accoglienza.
Nei 21.613 posti Sprar nel corso del 2015, sono state accolte 29.698 persone, nel 2003 erano poco più di duemila, l’incremento si è avuto dal 2013 in poi. Con l’ultimo bando i posti sono diventati più di 26 mila in tutta Italia, con un coinvolgimento di oltre il 10% dei Comuni italiani.
Tuttavia, per far fronte al fenomeno di flussi non programmati, sono stati attivati altri 37.028 posti da parte delle prefetture nei cosidetti Cas, i centri di accoglienza straordinaria (quelli che di solito creano più tensioni perché non condivisi con amministrazioni e abitanti) in aggiunta ai 9500 posti nei centri governativi. Un sistema che si basa dunque sull’emergenza.
Sprar, dal flop del bando alla riforma

Il decreto di riforma di accesso allo Sprar, approvato lo scorso 3 agosto in conferenza unificata delle Regioni, ha l’obiettivo di favorire la stabilizzazione dei progetti già attivi e lo snellimento delle procedure di accesso alla rete per nuovi Enti locali che intendano farvi ingresso, permettendo di superare l’attuale rigidità imposta dalla periodicità di pubblicazione dei bandi di adesione e optando per una gestione “a liste sempre aperte”, così da accogliere le domande degli Enti locali senza più vincoli temporali ma solo in base alla disponibilità delle risorse. Un modo per tamponare il flop del bando scaduto lo scorso febbraio: su diecimila posti previsti dal ministero dell’Interno, i Comuni ne hanno messi a disposizione circa cinquemila. Le motivazioni? Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes, dichiarava a redattoresociale.it di un’incapacità dello Sprar di poter contare sugli enti locali per costruire una rete che riesca a far superare un sistema basato sui Cas, anche per questioni di propaganda politica.
Dal 29 agosto Anci, il servizio centrale Sprar e la Fondazione Cittalia, lanceranno un piano di comunicazione del nuovo decreto e una serie di attività di assistenza a favore dei Comuni (un vademecum, un numero verde dedicato e un indirizzo di posta elettronica a cui sarà possibile scrivere per ricevere assistenza tecnica, più un ciclo di webinar).
Le attività nei centri
Eppure i progetti della rete Sprar contribuirebbero a evitare ciò che viene percepito con fastidio da una certa parte di cittadinanza: vedere queste persone parcheggiate in strutture a far nulla. Nei centri di accoglienza vengono garantiti a ogni persona un posto dove dormire, il cibo e un massimo di 3 euro al giorno. In realtà è anche la legge che non agevola: i cosiddetti profughi sono persone che chiedono protezione internazionale e si dividono in richiedenti asilo (che non hanno ancora ricevuto una risposta dallo Stato e che hanno diritto all’accoglienza fino a quel momento) e i rifugiati (coloro ai quali è stata riconosciuta una protezione internazionale o umanitaria).
A remare contro il fattore tempo: la media di attesa per ottenere l’accoglimento o il rifiuto della domanda di asilo è di circa un anno. A due mesi dalla presentazione della domanda però il profugo può svolgere attività lavorativa (ma non si tratta di permesso di lavoro, quindi nessuno ruberebbe nulla “agli italiani”).
Nei centri Sprar, attraverso operatori del terzo settore, i richiedenti asilo vengono inseriti in servizi di orientamento e accesso ai servizi del territorio, coinvolti in interventi di sostegno, di accompagnamento e di mediazione linguistico culturale, in interventi per la formazione scolastica professionale e l’inserimento lavorativo, in interventi per la ricerca di soluzioni abitative anche per favorire l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e al mercato privato degli alloggi, oltre che in azioni di tutela legale e tutela psico-socio-sanitaria.
A finanziare il tutto il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, che la legge di stabilità 2015 ha stabilito in oltre 187 milioni. I centri Sprar ricevono 40 euro al giorno, i Cas 30 euro. Il denaro non va dunque ai migranti stessi, ma serve per formazione, pulizia e personale delle strutture.
Anci ha precisato che la strada per una gestione sostenibile dell’accoglienza migranti passa per una “distribuzione equa e intelligente sui territori e Sprar”, sottolineando la necessità che i Comuni che decidono di accogliere i profughi col metodo Sprar non siano destinatari contemporaneamente di allocazioni di profughi da parte dei canali prefettizi, come invece accade oggi.
A Genova
Nel capoluogo ligure, stando alla relazione dell’aprile 2015 nella commissione consiliare sull’accoglienza dei rifugiati, il costo complessivo annuale del progetto “ordinari e vulnerabili” è quantificato in 3.152.735 euro (comprensivo di cofinanziamento suddiviso per il 10% tra i soggetti privati partner della coprogettazione e il Comune di Genova).
Il capoluogo è attivo da molto nei confronti dei rifugiati (richiedenti e titolari di protezione internazionale): fin dal 2001. In 15 anni sono state accolte e accompagnate lungo un percorso di integrazione socio economica più di 70 famiglie e oltre 1000 persone: donne, uomini e minori soli. Si è iniziato ad accogliere 43 persone nel 2001, si è passati a gestire 82 posti nel triennio 2011-13 e si è giunti agli attuali 194 posti sino al 31 dicembre 2016 attraverso la collaborazione di 11 soggetti tra cooperative sociali e associazionismo laico o religioso.
I centri Cas a Genova sono 20 collettivi e oltre 60 appartamenti, i centri Sprar sono 5 collettivi e 15 appartamenti. Per un certo periodo anche Genova è stato un hub di smistamento.
Quanti sono?
In Liguria ci sono centri del sistema Sprar e Cas. Secondo i dati Anci, sono 12 i Comuni che aderiscono allo Sprar e ospitano circa 400 profughi. Oltre 4.000 le persone accolte in centri di accoglienza straordinaria. L’invasione che non c’è, vedendo i numeri.
La Liguria nel 2014 è stata anche terra di sbarco, anche se in percentuale minima rispetto alle regioni del Sud: 106 immigrati, 499 al primo giugno 2015, lo certifica il rapporto sulla protezione internazionale 2015.
Le domande di protezione internazionale presentate in Liguria ammontano al 2% del totale. Sempre nel 2014 nella nostra Regione erano 1.161 i richiedenti asilo in attesa di audizione, il 2,3% del totale italiano. Il dato nazionale vede almeno il 50% ottenere una forma di protezione umanitaria, ma aumentano i dinieghi (circa il 47%). I richiedenti asilo ospitati a Genova arrivano principalmente da Mali, Nigeria, Pakistan, Bangladesh, Gambia, Costa D’Avorio, Senegal e Ghana.
Sempre secondo il rapporto 2015 sulla protezione internazionale, in Liguria erano 956 gli stranieri presenti nelle strutture temporanee Cas (il 2,7% del totale italiano), mentre al giugno 2015 erano 1.272 (il 2,5%). Guardando il cruscotto statistico del ministero dell’Interno aggiornato al 29 luglio 2016, gli immigrati presenti nelle strutture temporanee erano 4.298, i posti Sprar 398, per un totale di 4.696, il 3% del totale italiano. Il cruscotto giornaliero vede al 23 agosto 4.886 stranieri in strutture temporanee, 398 nei posti Sprar, pari al 4% del totale di quasi 146 mila stranieri nella stessa situazione in Italia. Anche la Liguria non fa eccezione: pochi i posti Sprar.
Secondo l’ultimo rapporto Sprar 2015 i posti della rete sono soprattutto nella città di Genova, alla Spezia, ad Albisola Superiore, a Masone, in alcuni Comuni della provincia di Savona e a Sanremo.
Sono pochi i posti che si occupano delle persone con disagio mentale (4 a Sanremo) e dei minori non accompagnati (17 a Genova). La Liguria quindi accoglie l’1,6% del totale degli stranieri inseriti nella rete Sprar: l’1,7% di ordinari, l’1,7% di minori non accompagnati e l’1,4% di persone con disagio mentale. Paragonando le cifre liguri sul totale nazionale delle singole categorie si ha l’1,6% di ordinari, l’1,7% di minori non accompagnati, il 2% di persone con disagio mentale. Nei 17 posti per minori sono stati accolti 29 tra bambini e ragazzi. Le Regioni più accoglienti sono il Lazio con il 22,4% la Sicilia con il 20,1%. Al pari della Liguria l’Umbria poi l’Abruzzo (1,1%), il Trentino Alto Adige (0,8%) e la Sardegna (0,6%).
L’accoglienza dei minori non accompagnati
Nel corso del 2015 ci sono stati 15 progetti finanziati nell’ambito del Fami (Fondo asilo migrazione integrazione). Strutture governative di primissima accoglienza ad alta specializzazione, per accogliere minori stranieri non accompagnati nella fase di primo rintraccio. Tra le Regioni coinvolte proprio la Liguria. Nel complesso, i 15 progetti finanziati in tutta Italia, hanno coinvolto circa 50 strutture, per un totale di oltre 770 posti di accoglienza, distribuiti nel territorio in 9 Regioni.
Sprar, non è la soluzione
In ogni caso pensare che l’accoglienza nello Sprar possa essere l’elemento risolutivo per ogni esigenza e bisogno delle persone accolte è scorretto, lo dice nel proprio report lo stesso Sprar. Il sistema interviene per l’acquisizione di strumenti che possano consentire ai richiedenti asilo di agire autonomamente, una volta usciti dai programmi di assistenza. Gli interventi si incentrano, pertanto, sull’apprendimento dell’italiano, sulla conoscenza e sull’accesso ai servizi, sulla individuazione di proprie reti sociali di riferimento, e non è dato per scontato che da questo possano automaticamente scaturire un posto di lavoro e un’abitazione autonoma. Nessun sistema di accoglienza potrà mai essere da solo sufficiente alla riuscita dei percorsi di inclusione sociale dei propri beneficiari. Questo è in sostanza il vero problema e ciò di cui dovrebbero preoccuparsi realmente le amministrazioni, per evitare che le persone che riescono a ottenere lo status di rifugiato o l’asilo politico, non siano costrette a vivere ai margini della società e magari a trovare le uniche risposte ai propri bisogni primari nella malavita organizzata che ha costante bisogno di nuove forze.
Per approfondire: Atlante Sprar 2015; Percorsi di inserimento socio economico dello Sprar; Rapporto sulla protezione internazionale 2015