C’è voluto più di un anno di pratiche burocratiche per rendere WyLab di Chiavari il primo incubatore di imprese certificato in Liguria. In mezzo anche un cambio di modulistica e un aumento dei requisiti – più stringenti – per ottenere questo status.
Una sorta di odissea tra carte e documenti da produrre, quella che ha affrontato l’incubatore nato nel febbraio 2016 per aiutare a decollare le startup in ambito sportivo, con la collaborazione della Camera di Commercio di Genova, che gestisce il registro controllato dal ministero dello Sviluppo economico.
Un incubatore è un’azienda che offre (anche non in maniera esclusiva) sostegno per la nascita o per lo sviluppo di startup innovative.
«Come Camera di Commercio – spiega il segretario generale della Camera di Genova Maurizio Caviglia – abbiamo fornito documentazione e supporto. Esiste un quadro di regole che rende difficile essere iscritti nel registro degli incubatori, occorre superare una dura prova».
Per esempio serve una superficie minima: sino all’anno scorso era di 400 mq, da quest’anno è di 500 mq (per fortuna WyLab occupa i 1500 mq dell’ex liceo Delpino, ma altri sono stati tagliati fuori anche per questo), inoltre occorrono determinati servizi di tipo tecnologico da servire alle startup, come la banda larga per esempio, ma anche requisiti tipo gli anni di esperienza in materia di sostegno a nuove imprese innovative maturata dal personale della struttura tecnica di consulenza, o i rapporti con ricerca e università, ma anche i tipi di contratti e quanti progetti di imprese inseriti nell’incubatore. «Ci sembrava di essere in un gioco di società – scherza, ma neanche troppo, Caviglia – per esempio l’impresa aveva previsto 470 mila euro di investimenti e non ha raggiunto i 500 mila indicati nella tabella, ha preso zero punti, nonostante si sia avvicinata di molto».
Tutto ciò spiega perché gli incubatori certificati in Italia sinora siano solo 38, di cui 12 in Lombardia.
«Con questa certificazione – spiega Vittoria Gozzi, ceo di WyLab – siamo assimilati alle startup innovative per le agevolazioni all’accesso al credito, ai benefici fiscali, e per remunerare i collaboratori in una logica di “work for equity” cedendo quote della società. Principalmente però l’abbiamo fatto perché ci sono alcuni vantaggi per le startup stesse, come la possibilità di scaricarsi le spese per l’incubatore nella sezione ricerca e sviluppo del bilancio o di accedere al bando regionale start & grow, ma anche per orgoglio e prestigio personale, siamo un incubatore privato e dopo un anno di lavoro volevamo raggiungere un certo posizionamento».
Wylab è partecipato al 50% dalla famiglia Gozzi, al 25% da Wyscout ex startup ora azienda di primo piano a livello mondiale nell’ambito dello scouting per il calcio e al 25% da Virtual, azienda specializzata in Ict del gruppo Duferco.
L’innalzamento dell’asticella dei criteri di certificazione dimostra che ora, per diventare incubatore certificato, occorre davvero dare lo sprint alle startup, anche se i requisiti sullo spazio fisico, per esempio, non sono condivisi da tutti: i modelli americani di successo come Y combinator non prevedono spazi a disposizione delle startup, ma funzionano benissimo. «Sono d’accordo su alcune misure – dice Gozzi – l’unico appunto è che queste norme più stringenti sono state calate un po’ dall’alto dal Mise, senza interpellare gli incubatori stessi».
La speranza di WyLab è di non restare l’unico incubatore certificato in Liguria per molto tempo, anche se la Camera di Commercio ha dichiarato che almeno in provincia di Genova non ci sono pratiche attive al momento: «L’ecosostema non nasce se ci siamo da soli – sottolinea Gozzi, che aggiunge – purtroppo tante startup innovative in Liguria preferiscono non iscriversi al registro, vorremmo far capire che invece è importante e che ci sono agevolazioni utili».
Oggi WyLab occupa tre persone a tempo pieno e tre part-time, ha speso 800 mila euro per ristrutturare l’edificio, che ospita anche il reparto marketing & sales di WyScout, e ha spese correnti per 300 mila all’anno. Due le call per incubare le imprese realizzate sinora: lo scorso marzo su 100 domande, 30 incontri, 12 approfondimenti, 5 idee presentate al pitch degli investitori e 4 startup incubate. A fine marzo la seconda call, chiusa a fine aprile: 60 le domande, il 12 maggio la prima scrematura con una trentina di incontri. «L’obbiettivo – dice Gozzi – sarebbe fare un paio di round all’anno, riducendo almeno a quattro gli attuali sei mesi di lavoro insieme per arrivare al pitch day».
Dopo il finanziamento degli investitori, la startup si ferma per un anno nell’incubatore per lo sviluppo e dopo decidono come procedere. Il ritorno per l’incubatore si ha nel momento dell’exit, quando la startup è grande abbastanza per camminare da sola, un periodo di 5-7 anni almeno. Non tutte arrivano a quel momento.
Oltre alle imprese incubate, WyLab collabora con altre startup, soprattutto estere, che erano già più avanti con il proprio progetto imprenditoriale e non avevano bisogno di un incubatore, ma che si sono candidate per arrivare ai clienti di WyScout (su duemila società ci sono i primi 600 club del mondo): in pratica 5 sono state finanziate, mentre sono 13 in totale le partnership.
«L’idea futura – annuncia Gozzi – sarebbe di concentrarci sul calcio probabilmente, perché sarebbe più complesso trovare candidati, ma anche noi alzeremmo l’asticella per garantire maggiori possibilità di successo a chi verrà incubato a Chiavari».