La questione di Amiu Genova, spa con unico azionista, è complicata. Molto. Ma in questa situazione, c’è un aspetto difficilmente comprensibile. Tutta la “battaglia” consiliare che è sfociata nel rifiuto della partnership con Iren porta a una domanda: perché quel consiglio che ha escluso un partner di mestiere (libera scelta in democrazia) aveva pochi mesi prima approvato il bilancio di Amiu?
Al di là dei numeri espressi da quel resoconto contabile, ordinati e chiusi addirittura in utile, nella relazione di gestione c’è scritto tutto, dalla a alla zeta, quello che è il programma per la controllata del Comune di Genova, i perché delle difficoltà gestionali, come e per quanto l’azienda avrebbe potuto farcela da sola senza dover obbligatoriamente far ricorso ai “soci” dell’unico azionista (il Comune) cioè i cittadini.
Note ben definite che esplicitano nitidamente l’impossibilità di mantenere viva l’azienda senza un supporto finanziario esterno ai muri di Palazzo Tursi.
Tempo per studiare le carte ne avevano avuto tutti, visto che il bilancio, è stato approvato: oltre il termine di 180 giorni dalla data di chiusura dell’esercizio “per esigenze prettamente operative, al solo fine di meglio definire gli aspetti di seguito riportati nella Relazione sulla Gestione”. Nella quale chiaramente si legge che: “l’azionista ha formalmente avviato le procedure per la ricerca di un partner industriale per la società tramite una manifestazione di pubblico interesse che dovrebbe essere pubblicata entro il corrente mese di luglio 2016; in diversi contesti (in particolare tavoli di confronto con i sindacati) l’amministrazione ha evidenziato la volontà politica di addivenire a un prolungamento dell’attuale contratto di servizio (a oggi valido fino al 2020) nell’ambito di tale percorso di ricerca di un partner industriale”.
Questo partner, sicuramente di mestiere, poteva essere Iren, bocciata dal consiglio. Motivi politici, ideologici o di differenze di idee sulla gestione di Amiu, timore dell’ingresso di un socio privato all’interno di una aziende comunale? L’ultima ipotesi è difficilmente comprensibile.
Dove sono i privati?
Iren, multiutility quotata alla Borsa Italiana, opera nei settori dell’energia elettrica (produzione, distribuzione e vendita), dell’energia termica per teleriscaldamento (produzione e vendita), del gas (distribuzione e vendita), della gestione dei servizi idrici integrati, dei servizi ambientali (raccolta e smaltimento dei rifiuti) e dei servizi per le pubbliche amministrazioni. I soci? L’azionariato è così suddiviso: il 36% è controllato direttamente dai Comuni di Genova e Torino, l’8,3% dal Comune di Reggio Emilia, il 7,7% è nelle mani del Comune di Piacenza ed altri comuni minori emiliani, il 5,1% fa capo al al Comune di Parma. La maggioranza assoluta e sicuramente il controllo del gruppo non appare propriamente in pugno a padroni delle ferriere, ma ad amministrazioni locali pubbliche. Quindi, dove sono i privati, se non nel flottante di borsa o in soci di assoluta minoranza? In Iren era a suo tempo confluita Amga e poi Mediterranea delle Acque nata nella primavera del 2006 dalla fusione dei tre principali gestori del servizio idrico dell’Ato genovese: Genova Acque, Acquedotti De Ferrari Galliera e Acquedotto Nicolay. Il tutto senza “scossoni” né sull’occupazione né – a quanto si sa – sulla qualità del lavoro.
Ma torniamo alla relazione di bilancio di Amiu. Vi si legge, riprendendo il capoverso: “La società sta sostenendo significativi esborsi finanziari per extra-costi per lo smaltimento dei rifiuti fuori regione successivamente alla chiusura della discarica di Scarpino e in attesa dell’apertura del nuovo polo impiantistico, la cui prima parte è prevista – come detto – per l’inizio del 2017. Un eventuale ritardo rispetto a tale processo potrebbe però provocare, analogamente all’esercizio 2015, un aggravio di costi per lo smaltimento dei rifiuti fuori regione rispetto alla situazione ottimale a regime. Finanziariamente, attraverso il contratto in essere con il Comune di Genova, la società è di fatto titolata a essere remunerata per i costi sostenuti nell’anno attraverso la Tari dell’anno successivo a quello di rilevazione economica degli oneri”.
“Per quanto riguarda i costi per smaltimenti esterni inerenti l’esercizio 2015 (che ammontano a circa a 28 milioni di euro) il Comune di Genova – per i motivi già evidenziati – ha recepito la delibera della Città Metropolitana che prevede a partire dalla Tari 2016 una remunerazione a favore di Amiu dilazionata in 30 anni anziché integralmente nella Tari 2016. Tale circostanza comporta pertanto la necessità per Amiu di reperire nuove risorse finanziarie per gestire una situazione di carenza di liquidità nel 2016. Al riguardo quindi l’azienda e l’azionista (periodicamente e puntualmente informato dagli amministratori e dal collegio sindacale circa l’evoluzione della situazione finanziaria), hanno concordato una differente articolazione dei pagamenti da parte del Comune, e avviato una procedura finalizzata all’ottenimento ad Amiu della necessaria provvista finanziaria. Tale procedura ha prodotto un anticipo di liquidità di 25 milioni di euro a favore di Amiu da parte del Comune di Genova. In considerazione del fatto che anche per il 2016 si prevede un completo smaltimento dei rifiuti fuori regione, occorrerà valutare l’impatto (e quindi la fattibilità) di eventuali ulteriori dilazioni nell’erogazione ad Amiu dei corrispondenti corrispettivi nell’ambito della Tari 2017, per non impattare sulla situazione finanziaria della Società”.
A tutto ciò, sempre nel corpo del bilancio consolidato, si aggiunge che, “qualora a causa di ritardi nella realizzazione del polo impiantistico di Scarpino 3 dovesse continuare lo smaltimento dei rifiuti fuori regione, potrebbe creare uno scenario di incertezza tale da far fare sorgere dubbi sulla continuità aziendale del gruppo. In tale ipotesi, pertanto, al fine di garantire la continuità aziendale gli amministratori sarebbero costretti a spostare nel tempo la realizzazione di una parte consistente dei nuovi impianti, con un aggravio di costi correnti per smaltimenti fuori regione e con il conseguente rischio (oltre a un ritardo nell’attuazione del Piano industriale) di non poter cogliere le opportunità di sviluppo che il Piano evidenziava come collegate alla nuova impiantistica – e, quindi, con una significativa perdita di valore della società nel tempo”.
In buona sostanza, la Tari e i relativi aumenti verrebbero utilizzati non per la nuova impiantistica, ma per continuare a portare i rifiuti altrove, finché si può.
Poi la società rischierebbe davvero il salto nel buio.
Mentre a Genova ci si arrovella, la Germania ha già risolto. Per i tedeschi – si legge su Hera – la riduzione dei rifiuti è una priorità, per questo la Germania ha investito nel settore del riciclo dei rifiuti al punto di trasformarsi da esportatore a importatore per quanto riguarda il recupero di packaging leggero e carta (importava carta dall’Italia negli anni Novanta). Nel 2010 la Germania riciclava già il 62% dei rifiuti urbani raccolti (il ricorso all’incenerimento, in questo Paese, è pari al 37%, mentre il conferimento in discarica è stato eliminato). I tedeschi, quindi, hanno già da tempo superato il target sul riciclo imposto dall’Unione Europea al 2020. Questo vale anche per le indicazioni relative al minor ricorso alla discarica. Non è finita qui: le proiezioni al 2020 vedono la Germania con un tasso di riciclo che salirà tra il 70 e l’80%, a riprova della validità del sistema adottato da questo Paese in materia di gestione dei rifiuti. Ma in Germania il bene comune è “über alles” e senza confini di interesse, a Genova lo si limita all’orto di ogni singola famiglia.