135 miliardi di fatturato, crescita record dell’export, +7,4% fino a raggiungere i 37 miliardi, obiettivo 50 miliardi entro il 2020. Di questi, 24 miliardi nell’Unione europea. Sono alcuni dei numeri che emergono dalla ricerca di Cdr Communication sul settore agroalimentare italiano, presentata oggi nella sede di Confindustria a Genova. Numeri che hanno trainato la ripresa, «anche se questa è ancora lenta», come precisa Francesco Palau, presidente della sezione Alimentare degli industriali genovesi.
Lo studio è stato redatto dal team di Cdr Communication, società di consulenza nella comunicazione finanziaria e nelle investor relation, che ha analizzato 484 società operanti nel settore agroalimentare (fatturato superiore a 20 milioni, Ebitda positivo, non quotate).
Il food occupa l’87% del comparto, il beverage il restante 13%. «Un settore, quello dell’agroalimentare, che nell’area genovese conta circa 700 dipendenti, per un totale di poco più di trenta imprese», spiega Palau.
Per ciò che riguarda l’export 2015, «i prodotti top five sono stati il vino, con 5,4 miliardi di export, gli ortaggi e la frutta, con più di 4 miliardi, e la pasta, con quasi 2 miliardi e mezzo», descrive Silvia Di Rosa di Cdr. Chiudono i formaggi e le conserve di pomodoro. Gli incrementi delle esportazioni in tutti questi settori, escludendo il +55% dell’ortofrutta, sono tutti compresi tra l’80% e il 95%.
«Un grosso balzo in avanti è stato compiuto dal comparto della birra, che ha registrato un +200% negli ultimi dieci anni, un numero importante in un Paese in cui è il vino a farla da padrone», precisa Di Rosa.
Per ciò che riguarda i singoli comparti, quello dell’olio e grassi vegetali e animali, che maggiormente interessa l’area genovese e ligure in generale (il 13,6% tra quelle del comparto analizzate nello studio), sta vivendo una situazione difficile. Le imprese soffrono la competizione internazionale, ma anche la crisi dei consumi, la scarsa capacità di aggregazione in filiera necessaria per raggiungere una massa critica per adeguate economie di scala. Le 22 società analizzate sono in linea con i risultati del settore e mostrano una flessione del fatturato tra 2014 e 2013 (-3,3%), anche se, secondo la ricerca, nel biennio 2015-2016 si è recuperato il 60% della produzione (460 mila tonnellate).
Anche il settore della lavorazione e conservazione di pesce, crostacei e molluschi ha visto il coinvolgimento delle realtà liguri (14,3%) nello studio. L’analisi mostra una situazione positiva, in cui il fatturato è in crescita del 4,6%. Tra i dati più significativi, il fatto che il consumo annuo di pesce sia raddoppiato rispetto agli anni Sessanta: un risultato ottenuto grazie al ruolo dell’acquacoltura, che oggi rappresenta il 44% della produzione globale e il 50% del consumo. L’Italia è al settimo posto nella classifica mondiale degli importatori di pesce.
Altra area produttiva che ha visto anche l’apporto ligure alla ricerca è quello della produzione di preparati, omogeneizzati e alimenti dietetici, che segna una crescita nei volumi (oltre il 6%) e nei ricavi (+12%).
Tra gli altri settori, dallo studio emerge una crescita del comparto lattiero-caseario, della lavorazione delle granaglie e prodotti amidacei (ma margini contenuti), e caffè e te (comparto su cui hanno inciso le vendite del segmento capsule, raddoppiate nell’ultimo anno), prodotti da forno, cioccolato e confetterie, e una flessione della carne e dello zucchero. Costante l’area condimenti e spezie.
Piccola la presenza del settore agroalimentare italiano in Borsa: sono quotate solo 12 società, che rappresentano il 2,3% del capitale quotato totale.