A Genova, parole così forti – nel caso dette da un Uomo che è anche di Chiesa – non le aveva mai dette nessuno. Coraggiose, vere, dirette. Senza paura. Ha spostato in un attimo temi politici e culturali che da cinquant’anni bloccano la città. Dal “lavorare meno lavorare tutti” post ’68 al “lavorare tutti”, il reddito viene di conseguenza. Ha rimesso al centro di tutto il rispetto della Dignità dell’uomo, messo in condizione di guadagnarsi il pane e non di riceverlo mettendosi in coda per la beneficenza. E in quel “beneficenza” ci ha fatto stare tutto, compreso l’approfittarsi di situazioni o semplicemente degli altri.
Papa Francesco, nella sua faticosa quanto splendida giornata genovese, ha richiamato i passi fondanti della nostra Costituzione, senza citarla mai. Ha ricordato che la politica è un servizio per gli altri, come lo è il volontariato. E quando si serve in nome della giustizia si deve sapere essere forti a prescindere, con i forti e con i deboli. E tra i forti ha fatto capire che ci sono anche i poveri che soverchiano gli altri poveri. Non ha citato passi del Vangelo, non ha ricordato i miracoli, nessuna parabola. Solo richiamo al lavoro e al rispetto della dignità.
Un uomo che arriva dalla “fine del mondo”, dall’Argentina, dove ha vissuto tutta la vita, non poteva far altro. Lui sa cos’è e cosa significa la rovina di uno Stato, conosce l’effetto della mancanza di cibo e medicinali anche nelle grandi città, come ha provato a Buenos Aires. Ha negli occhi i volti delle famiglie distrutte dalla cupidigia dei politici corrotti. Un Papa, Francesco, che viene da un Paese che sa bene cosa significhi, nella carne, il default. La miseria nata da una finanza killer che ha soppresso l’economia, in una nazione che avrebbe tutto per vivere con grande dignità, ma che è stata massacrata dall’avidità di pochi. Un Papa che ha parlato con la miseria e ha nel cuore la condivisione della disperazione di chi ha perso tutto. Ha ricordato suo padre, partito da Genova per l’Argentina.
Il Papa la migrazione italiana l’ha studiata. Magari qualche particolare merita di essere ricordato. Dal 1867 al 1874 i vagiti della neonata Italia unita salutavano, insieme alle sirene dei piroscafi, 20 mila emigranti all’anno. E il traffico non diminuì negli anni successivi. Dal 1902 al 1929, fatta eccezione per il periodo bellico, Genova percentualizzava il 34% delle partenze dall’Italia verso le Americhe. Le famiglie partivano via nave. Ma come e in che condizioni di bordo? Alla domanda risponde il brogliaccio del piroscafo “Città di Torino”, data novembre 1905. Su 600 imbarcati, 45 morti in navigazione: 20 per febbre tifoidea, 10 per malattie broncopolmonari, 7 per morbillo, 5 di influenza, 3 per incidenti in coperta. Una percentuale degna delle navi negriere. Numeri che ricordano la schiavitù. Solo che quella era italiana. E Francesco ha invitato i giovani a non fermarsi a guardare al futuro con sicurezza (la speranza non l’ha citata, in questo caso, perché il futuro è loro. Ha esortato i giovani a non arrendersi, a credere nel futuro, nel proprio futuro. Un invito tanto a chi studia, quanto a quegli oltre 4mila ragazzi che allo studio hanno di recente rinunciato. Tanto a quegli studenti universitari che sgobbano su libri sudati dai propri genitori, quanto a quelli che fanno con calma, tanto “lavoro non ce n’è”.
C’è chi ha provato a far passare l’evento come qualcosa di simile a una riunione di ingerenza politica. In realtà è stato un momento di idee, di confronto, di studio per trovare una soluzione per chi è debole. Sono emerse sollecitazioni. Una su tutti: investire sulla famiglia. E questa potrebbe essere una autentica riforma strutturale per il nostro Paese. Per la Liguria ancora di più. Le famiglie giovani, con figli piccoli, cioè il futuro prossimo della ex Superba – dispongono di redditi resi “variabili” da incertezze occupazionali e sociali e avrebbero bisogno di un sostegno ad hoc. Perché quelle famiglie sono un bene raro per il territorio anziano dove si sviluppano. Un supporto non costituito da contributi-elemosina o speranze di micro-aumenti di stipendio. Bensì da un sistema pubblico che sappia intervenire, in maniera mirata, sui servizi. Sicurezze di posto certo alla scuola materna per i piccoli, orari scolastici allungati, abbonamenti a bus e pasti mensa a costi tarati. In merito a questi ultimi due aspetti vale la pena ricordare che in Trentino e in Alto Adige, al di là del reddito, il bus per tutti gli studenti è gratuito e il pasto completo costa due euro. Un favore ingiusto, quanto meno, visti i prezzi che corrono a Genova.
C’è voglia di famiglia, anche in Liguria. C’è bisogno di leggi che ne tutelino la dignità, per quelle esistenti, o ne proteggano la nascita, per quelle in gestazione. E la Chiesa genovese cosa può fare? A osservarne il clero, sembrerebbe poco. Pochissimi seminaristi. Chiese quasi vuote. Durante le messe non domenicali, tra le panche, rari spruzzi di capelli bianchi, identici alla maggior parte di quelli dei sacerdoti che officiano. Rosari per pochi intimi, alla sera.
A Genova la Chiesa e le chiese sembrano diventare un bene da difendere solo quando sono da mettere in contrapposizione con qualcosa o qualcun altro di diverso. Gli altri sono soprattutto gli immigrati. Immigrati non compresi e che non ci comprendono. Forse che non vogliamo capire e che non ci vogliono capire. Ai quali, in generale, diamo solidarietà perché ci viene imposta per legge o per decreto. E che molti di loro non apprezzano appieno, perché chissà che cosa si aspettavano prima di salire sul barcone. Chissà cosa gli avevano raccontato. Eppure, sembra strano, ma quando si parla di solidarietà, aiuto e supporto da parte della Chiesa, a Genova non pochi storcono il naso. Retaggio, forse, di un passato, dove la sottana dei preti era vista come antitetica a una politica di progresso. O perché la parrocchia era ritenuta un’opposizione retriva alla politica viva dei punti d’incontro partitici. Sta di fatto che quando c’entra la Chiesa, anche quando solo fatta di popolo, in città si pensa sempre che ci sia sotto qualcosa, minimo una richiesta di un qualche tornaconto anche solo morale. A Genova il cardinale Angelo Bagnasco da sempre mette la famiglia al centro di ogni intervento. Quella famiglia da custodire, da tutelare, al ché possa di nuovo rappresentare il nucleo attivo della società. E poi a Genova arriva il Papa, e spazza via l’aria ferma, con la forza di un tornado. Un Papa che vede davvero nella povertà un nemico e sa che per capire davvero i poveri si deve davvero sapere cosa sia la povertà.