Campioni di roccia perfettamente conservati e riconducibili a un terremoto fossile avvenuto 45 milioni di anni fa, sono stati ritrovati da un team di ricerca formato da Marco Scambelluri (Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova), Giorgio Pennacchioni (Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova), Mattia Gilio (Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova), Fabrizio Nestola (Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova), in collaborazione con le Università di Erlangen in Germania e Utrecth in Olanda.
Le rocce, scoperte sulla collina di Moncuni (località Trana, Torino, Alpi Cozie) e perfettamente conservate, testimoniano un antico sisma di subduzione (scorrimento di una placca sotto un’altra e suo conseguente trascinamento verso il basso) avvenuto a 90 km di profondità. Sono l’unico esempio al mondo di un terremoto fossile in una placca oceanica esumata da tali profondità e spiegano quanto avviene oggi nelle zone di subduzione circumpacifiche.
Nella ricerca pubblicata su “Nature Geoscience“, viene descritta la storia di queste rocce. Si tratta di materiali di una placca oceanica nata nel Giurassico (160 milioni di anni fa) durante le prime fasi di apertura dell’Oceano Atlantico, subdotti 45-55 milioni di anni fa sino a profondità di 90 km, e successivamente incorporati nella catena alpina.
«L’antica sismicità profonda è testimoniata – afferma Giorgio Pennacchioni, Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova – dal ritrovamento di una roccia chiamata pseudotachilite, nata dalla solidificazione di un fuso silicatico formatosi per attrito durante il movimento sismico, ovvero durante lo scorrimento di una faglia a velocità elevate di circa 1 metro al secondo. Le rocce diagnostiche di un movimento sismico sono difficilmente conservate, venendo comunemente cancellate durante il percorso verso la superficie. Identificare queste rocce equivale a trovare la “Pietra” di Rosetta che ci consente di “tradurre” direttamente le strutture delle rocce nei processi chimico-fisici avvenuti in un terremoto».
«L’eccezionalità della scoperta di Moncuni – dice Marco Scambelluri dell’Università di Genova – sta nella perfetta conservazione di pseudotachiliti di subduzione, risparmiate dai processi di trasformazione durante il tragitto verso la superficie terrestre. Le si potrebbero definire “rocce secche” perché hanno mantenuto intatte, come un laboratorio sterile, le strutture generate da terremoti profondi. Le pseudotachiliti si sono formate contemporaneamente ad alcuni minerali, granato e onfacite, la cui formazione indica condizioni di 550° C a 90 km». L’associazione con le rocce secche è una delle parti rilevanti della scoperta poichè ha permesso di escludere una delle più accreditate ipotesi per lo sviluppo di terremoti profondi, che prevedeva la frammentazione della roccia in presenza di acquosi in pressione.
L’attività sismica e vulcanica sono espressioni dirette della vitalità del nostro pianeta. Per questa ragione lo studio dei terremoti e dei vulcani è di importanza primaria nelle Scienze della Terra. Le profondità a cui si generano i terremoti sono inaccessibili all’osservazione diretta e lo studio dei meccanismi deformativi della sorgente di un terremoto si basa sull’analisi delle onde sismiche rilevate in superficie, su esperimenti di laboratorio che riproducono i sismi su campioni in scala ben lontani dal quelli reali e su modelli fisici computazionali.
Non esiste un’interpretazione scientifica condivisa che spieghi i processi meccanici che avvengono in profondità durante un terremoto. Vista l’inaccessibilità diretta di questi ambienti profondi e di una teoria condivisa, non rimane che “aspettare” qualche roccia ritornata in superficie che contenga le tracce di terremoti avvenuti in passato.
Le rocce di Moncuni sono la testimonianza diretta di un ambiente sismico profondo sinora inesplorato e permetteranno di avviare una nuova e avvincente linea di ricerca dedicata alla genesi dei terremoti.
Nella foto di apertura la vena di pseudotachilite (al centro della foto) in affioramento a Moncuni (Trana, Torino). Si tratta di una roccia di faglia prodotta durante un movimento sismico e testimonia il terremoto fossile avvenuto 45 milioni di anni fa durante la subduzione dell’antico oceano della Tetide.