In Liguria una leggera ripresa c’è ma preoccupano le prospettive a medio termine. Le note sull’economia ligure, appena pubblicate dalla sede di Genova di Banca d’Italia, questa volta non sono solo il consueto puntuale spaccato dei dati maturati l’anno passato (e in parte in quello in corso), ma suscitano riflessioni come mai in passato.
Il sunto di apertura dice di una leggera ripresa dell’economia, che va a coinvolgere sostanzialmente tutti i settori, fatta parziale eccezione per l’edilizia. I vari capitoli annotano di un ampliamento del giro d’affari sui servizi, di un rilancio del turismo, di una portualità sostenuta; e bene si dice anche di un sistema industriale che si sta riassestando.
Ma quello che è lasciato alla valutazione di chi legge sono le prospettive di breve respiro e soprattutto quelle di medio (il lungo non esiste più da tempo).
Gli investimenti delle aziende sono minimi, nonostante l’abbondanza di liquidità a buon prezzo messa a disposizione dal sistema finanziario. Il grado di utilizzo degli impianti è contenuto e il generale aumento del fatturato delle aziende – specie quelle più dimensionate – non invita ancora a investimenti consistenti. Il tutto nonostante i costi da tempo mai così bassi di energia e carburante, oltre che dei noli per l’importazione e l’esportazione.
Le condizioni di mercato non sono facili per nessuno, si dirà. Ed è vero. Ma la Liguria è più lenta delle altre regioni a scommettere su se stessa e sul proprio domani. E questa condizione si legge nei dati controversi sull’occupazione.
Dice Bankitalia che sulla base della rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, nel 2015 il numero medio di occupati in Liguria è aumentato del 2,1%, dopo un triennio di calo ininterrotto. Malgrado in regione la crescita occupazionale sia stata più vivace che nell’intera Italia e nel Nord Ovest (0,8%), rispetto al 2008, ultimo anno prima del dispiegarsi degli effetti della crisi, la situazione in Liguria rimane peggiore che nelle aree territoriali di confronto: la perdita di posizioni lavorative è pari a quasi 4 punti percentuali, corrispondenti a 24mila persone. Inoltre, nella valutazione delle forze lavoro non si può certo escludere l’impatto dell’immigrazione sul territorio, per quella che si continua a chiamare “emergenza”, ma che sarebbe ormai più logico interpretare come “condizione sociale acquisita ed instabile” in assenza di decisioni politiche. Nel complesso – dice la Banca d’Italia – i cittadini stranieri in Liguria costituiscono la categoria di persone più deboli. Tra il 2011 e il 2014 la quota di stranieri poveri o esclusi socialmente è passata dal 31,6 al 45,6% (29,8% nel Nord Ovest), superando il valore nazionale, cresciuto dal 35,6 al 37,0%.
I dati su occupazione e immigrazione non gestita (sotto i profili sociali ed occupazionali) trovano riscontri anche in quelli che sono i dati relativi al reddito disponibile, ai consumi ed alla povertà. Qui i dati arrivano fino al 2014, ma difficilmente il 2015 e l’inizio di quest’anno avranno apportato correttivi migliorativi. Infatti tra il 2011 e il 2014 la contrazione dell’attività economica regionale, “più intensa rispetto alle aree territoriali di confronto, e le difficoltà sul mercato del lavoro hanno eroso il potere di acquisto delle famiglie liguri”. Il calo dei consumi ha riguardato tutte le principali tipologie di beni e l’incidenza dei casi di povertà o esclusione sociale ha segnato un deciso incremento. In base agli ultimi dati rilasciati dall’Istat, tra il 2011 e il 2014 il reddito disponibile in termini reali delle famiglie liguri si è ridotto del 6,6%, a fronte di un calo del 5,9% a livello nazionale. Così come avvenuto nel complesso del Paese, in termini nominali il calo ha riguardato i redditi da lavoro autonomo e da proprietà, a fronte di un aumento delle prestazioni sociali e degli altri trasferimenti netti. E se i redditi da lavoro dipendente sono cresciuti leggermente, certo altrettanto non si può dire del gettito pensionistico, che in Liguria ha una rilevanza percentualmente maggiore di quasi tutte le altre regioni.
Ovviamente nel periodo 2011-201414 l’andamento negativo del reddito disponibile si è associato a un calo dei consumi effettuati in regione che, in base ai dati dei conti territoriali dell’Istat, sono scesi del 6,3% (-6,1% in Italia; valori al netto della spesa dei turisti stranieri).
Dunque le varie “vision” politiche e economiche degli ultimi anni non hanno prodotto che questo. Cercare colpe specifiche o personali non serve a nulla e a nessuno. Diceva uno studio abbastanza recente della Banca d’Italia che alcune delle caratteristiche distintive dell’economia regionale, come la contenuta industrializzazione, l’importante ruolo del terziario, in particolare dei servizi ad alta intensità di conoscenza, e la limitata dimensione media delle imprese, si valutano (non in positivo) anche e soprattutto quando il confronto viene esteso alle regioni appartenenti ai principali paesi dell’Unione europea (Francia, Germania, Spagna e Regno Unito), simili alla Liguria per dimensione demografica e grado di sviluppo In base ai conti economici territoriali, il peso degli addetti manifatturieri in Liguria è inferiore di quasi 6 punti percentuali al dato mediano delle regioni europee di confronto. Il terziario assorbe quasi l’80% degli addetti liguri (72% per le altre regioni). La quota di unità locali di media e grande dimensione (con oltre 50 addetti) è meno della metà di quella dei territori europei di confronto.
Solo nella manifattura a più alto contenuto tecnologico, nelle attività energetiche e nei servizi finanziari la regione mostra un’incidenza degli stabilimenti con oltre 50 addetti pari o superiore a quella del cluster europeo di riferimento. Ma qui non si investe neanche su queste eccellenze. Addirittura neppure facendo ricorso ai fondi europei già destinati all’innovazione, che qui spesso lasciamo nei forzieri di Bruxelles. Sul perché (se non li sappiamo chiedere, spendere o non ce n’è bisogno), le risposte spettano a impresa e politica.