Cresce la filiera dell’Asparago Violetto di Albenga, che riunisce storici produttori della piana albenganese, trasformatori e ristoratori. Il 6 novembre scorso produttori e ristoratori si erano riuniti per lo start up del programma, approvato dalla Regione Liguria e finanziato dal Psr, Piano Sviluppo Rurale.
Grazie all’ente di formazione Cipa.At della Confederazione Italiana Agricoltori, titolare del progetto, si era partiti con la costituzione ufficiale del gruppo di cooperazione e l’obiettivo di creare una mappatura genetica del prodotto oltre a un packaging e marchio territoriale unico che potesse essere promosso e valorizzato in maniera strutturale e unitaria.
Nonostante il periodo di lockdown, il progetto è andato avanti, coordinato da Luca Lanzalaco, agrotecnico, agricoltore e produttore di asparago, e membro della giunta Cia. È stato condotto uno studio scientificosull’Asparago Violetto che, mediante una tecnica molecolare di isolamento e analisi di differenti regioni di dna, chiamate microsatelliti o Ssr (Short sequence repeats), ha permesso di individuare dei profili genetici unici, che consentono una identificazione univoca del prodotto.
Grazie a questo studio e al processo derivato si può ora distinguere, per via scientifica, il Violetto d’Albenga da altri asparagi. Da ciò discende la possibilità di valorizzare l’unicità del prodotto medesimo attraverso un nuovo sistema di packaging, ovvero un nuovo e definito marchio specifico.
Luca Lanzalaco ci spiega come si è sviluppata l’iniziativa.
Come è nata l’idea di realizzare una filiera sull’Asparago Violetto?
La realizzazione della filiera dell’Asparago Violetto è la naturale conclusione, ma anche un inizio, del percorso che già da anni, anzi possiamo dire decenni, gli asparagicultori di Albenga, facenti parte del presidio Slow Food, hanno intrapreso. La coltivazione dell’asparago è un vero è proprio viaggio che tutti noi svolgiamo trovando spesso ostacoli di ogni genere, ma fare un viaggio in buona compagnia è decisamente meglio che da soli… Oggi più che mai è necessario saper fare rete e mettere insieme le capacità di ognuno di noi per superare le difficoltà e traguardare gli obbiettivi che abbiamo sia in campo professionale che sociale. La filiera dell’asparago può e deve essere un esempio tangibile di come unendosi tra imprenditori di vari settori si possa fare qualcosa di buono per il settore e il territorio. Gli agricoltori hanno un prodotto di vera eccellenza, i ristoratori possono essere il veicolo ideale come richiamo del turismo agroalimentare e i laboratori di trasformazione sono quelli che devono declinare il prodotto fresco per farlo apprezzare in ogni sua forma.
Si è creato un primo gruppo di cooperazione, come è stato il lavoro in questi primi mesi?
Questi mesi sono stati principalmente dedicati a quello che è il lavoro di progettazione e di “tessitura” della rete. Come spesso accade è stata l’occasione per conoscersi meglio, confrontarsi, scontrarsi e arrivare a conclusioni oggettive e utilissime. Soprattuto è stata l’occasione per stringere nuovi contatti e rendersi conto di quanto siano interessanti realtà diversissime con le quali si condividono numerosissimi punti di vista. Parlo del laboratorio di genetica di Trieste e del dottor Cavazzoni che è un concentrato di simpatia e di cultura mitteleuropea, e ci ha aperto gli occhi su moltissimi aspetti. Penso che codificando il Dna dell’Asparago Violetto ha forse codificato anche un pò lo spirito albenganese…
Cosa si intende per trasformatori e perché è importante unire produttori e ristoratori?
Trasformatori sono tutti quelli che dal prodotto fresco realizzano un prodotto lavorato, sia questa una semplice crema all’asparago oppure più complicati prodotti come pasta fresca ripiena o torte di verdure: sono coloro che hanno la possibilità di dimostrare la spiccata versatilità dell’Asparago Violetto in cucina, in quanto è possibile realizzare una cena tutta a base di asparago, dall’antipasto fino al dolce. Unire buoni produttori e bravi cuochi, non dico chef di proposito, è come unire nitro e glicerina… I programmi di cucina, tanto di moda di questi tempi, hanno insegnato più di tutto una cosa, con buoni ingredienti escono ottimi piatti. Ecco perché i ristoranti hanno un ruolo essenziale nel diventare veicoli dei prodotti del territorio e da fare da anello di congiunzione tra turismo e produzioni locali.
Obiettivi, possibilità e sviluppo della filiera produttiva?
L’obbiettivo principale è quello di far aumentare la produzione dell’asparago e di chi lo consuma, creare un sistema virtuoso in cui il prodotto buono, pulito e giusto (mantra di Slow food) diventi ambasciatore di un intero territorio. Quello che maggiormente differenzia Albenga ed entroterra è proprio l’asparago, che ha rischiato anche l’estinzione: oggi siamo in pochi irriducibili che teniamo duro e che crediamo fortemente in questo prodotto davvero unico e speciale. Vogliamo che il resto del territorio si riappropri di quello che è a tutti gli effetti l’ortaggio più importante e singolare che il comprensorio albenganese possiede. Siamo attualmente quattro aziende iscritte al presidio Slow Food e alla Cia provinciale, abbiamo già trovato diverse aziende che hanno sposato la nostra causa e che hanno espresso la volontà di impegnarsi seguendo un rigido disciplinare per produrre asparagi. Nello stesso tempo i ristoratori, che da anni comprano il prodotto da noi, hanno voluto sostenerci affiancandoci nel progetto e molti altri hanno già dato la loro disponibilità per far parte a pieno titolo nella nuova filiera. Ugualmente due importanti laboratori di trasformazione sono già nel gruppo di cooperazione e non è escluso che ne aderiscano a breve altri. Insomma, un processo di unione e di rete che sta proseguendo con successo, nel nome dell’Asparago Violetto.