Negli Usa il comparto servizi continua a manifestare una crescita robusta, come evidenziato dall’indice anticipatore ISM di ottobre (effettivo a 60,1 vs. precedente a 59,8), ai massimi degli ultimi 10 anni, così come il comparto manifatturiero (ISM effettivo a 58,7, in lieve rallentamento rispetto alle attese degli analisti di 59,5 e al dato di settembre di 60,8). Sempre tonico anche il mercato del lavoro, con il tasso di disoccupazione in calo dal 4,2% di settembre al 4,1% di ottobre e ben 261.000 (un po’ meno delle previsioni di 313.000) nuovi posti di lavoro creati dal comparto non agricolo, ma anche con un tasso di crescita annuo modesto dei salari orari a +2,4% (contro attese per un +2,7%): si confermano, così, le considerazioni della Fed nel suo ultimo aggiornamento economico mensile (“Beige Book”), in cui la crescita economica statunitense è stata definita “solida”. Sul fronte inflazione, non si colgono particolari surriscaldamenti, visto che il modesto incremento annuo dei salari annui, di fatto, controbilancia il recente aumento dei prezzi energetici (con il WTI di Chicago a quota 56 dollari al barile e il Brent di Londra da più di una settimana sopra i 60, entrambi in recupero di oltre il 30% dai minimi del 21 giugno scorso e in attesa della riunione OPEC in calendario a Vienna il 30 novembre prossimo).
Il presidente degli Usa Donald Trump, anticipando di qualche giorno e rompendo, come ormai di consueto, il protocollo delle “sedi ufficiali”, ha annunciato che Jerome Hayden Powell (“Jay”) sarà il prossimo presidente della Federal Reserve (da febbraio 2018, quando scadrà il mandato dell’attuale presidente Janeth Yellen): già membro Fed dal 2012, di formazione giuridica e non economica, a differenza dei suoi predecessori (solo negli anni ‘70 la Fed era stata presieduta da un non accademico), Powell è visto dagli operatori come un presidente di continuità rispetto alla Yellen, con un approccio di politica monetaria cauto e comunque orientato ad assecondare i mercati finanziari (quindi, nel gergo tecnico degli operatori, una “colomba”). Nel frattempo, dopo le dimissioni di Stanley Fischer, da sempre considerato un “falco” (al contrario di Powell e Yellen) del 6 settembre scorso, si dimette un altro membro del Comitato Direttivo della Fed, William Dudley e, questa volta, si tratta di una “colomba”. Nonostante i media statunitensi non evidenzino alcun conflitto tra “falchi” (sostenitori di una più rigorosa politica monetaria restrittiva orientata a prevenire ogni e qualsiasi spinta inflazionistica potenziale) e “colombe” (fautori, al contrario, di una politica monetaria più morbida e graduale, per esempio, in ambito di durata e intensità del “tapering”), la sequenza di membri Fed dimissionari in così poco tempo appare inconsueta o, quanto meno, il segnale di un auspicato ricambio all’interno del Board della banca centrale più importante e influente a livello globale.
In Europa, l’indice di fiducia economica della Commissione Europea ha superato i massimi del 2007 e il PIL del III trimestre ha accelerato da +2,3% a +2,5% a/a (oltre le attese di +2,4%); il tasso d’inflazione al consumo, però, è inaspettatamente sceso dall’1,5% di settembre all’1,4% di ottobre e proprio quest’ultimo dato spiega il rally dei mercati obbligazionari europei, con il rendimento del Btp decennale italiano sceso all’1,72% e quello dell’omologo tedesco calato allo 0,33% (spread in area 140 punti base, anche dopo l’esito delle attese elezioni regionali siciliane). Poco sopra il 2,30% (ma anch’esso in calo) il rendimento del titolo governativo decennale statunitense (Treasury).
Sugli scudi pressoché tutti i principali indici azionari, a cominciare da quelli statunitensi (Dow Jones a quota 23.575, S&P500 a 2.593 e Nasdaq a 6.790), con 408 società dell’S&P500 che hanno riportato i propri risultati societari trimestrali e che per il 78% dei casi hanno battuto le attese sugli utili (92% per il comparto tecnologico). Con ottobre, si è chiuso a Wall Street il dodicesimo mese consecutivo positivo per i mercati azionari statunitensi, un fatto accaduto due sole volte negli ultimi 90 anni ovvero nel 1935/36 e nel 1949/50 e che, per gli amanti della statistica, ha visto nel successivo 13° mese ribassi, rispettivamente, del 7,7% e del 3,6%. Ancora in rialzo anche le borse europee, con il Dax di Francoforte al nuovo massimo storico in area 13.500 punti (anche senza che sia stato ancora costituito il nuovo Governo dopo l’ultimo voto politico del 24/09 scorso …!) e l’indice FTSE Mib di Milano che, nonostante la fase di stallo del comparto bancario italiano (in attesa che la Bce e la European Banking Authority chiariscano entro dicembre quali saranno le nuove modalità di gestione e svalutazione dei futuri nuovi crediti deteriorati a partire dal 1° gennaio 2018), riesce a mantenersi sopra quota 23.000 punti (23.120). Strepitoso il rialzo dell’indice azionario giapponese Nikkei 225 che, approdato al nuovo top di 22.953 punti, segna i massimi dal 1992.
A livello di dati economici, sono attesi l’Indice di fiducia dei consumatori statunitensi dell’Università del Michigan (previsto per novembre un lieve rallentamento a 100,60 dopo la forte accelerazione a 100,70 di ottobre).
Proseguono gli annunci dei risultati societari del III trimestre, con Allianz, BMW, Crédit Agricole, Intesa, Allianz e Toyota.
Sul fronte geo-politico, dopo le visite in Medio-Oriente, proseguono le altre tappe ufficiali del presidente Usa Donald Trump in Giappone, Cina e Corea del Sud (pare che il protocollo non preveda più la passeggiata di Trump, originariamente prevista, lungo il confine tra Corea del Nord e Corea del Sud).