Ritirare l’ordinanza anti-movida e definirne una nuova, in accordo con gli esercenti del centro storico, soprattutto in tema di orari di chiusura. Sanzioni più eque (complessivamente un’ottantina dall’entrata in vigore dell’ordinanza applicativa). E poi, più controllo del territorio, per garantire sicurezza agli abitanti e a chi lavora nei vicoli.
Dopo la riunione di giovedì 29 settembre tra Comune di Genova e tutte le associazioni di categoria interessate (dagli esercenti agli abitanti), terminata in un nulla di fatto, Fepag-Ascom e Fiepet-Confesercenti fanno sentire la propria voce, ancora una volta, per sottolineare l’inadeguatezza di un’ordinanza (entrata in vigore a maggio 2016) che mette sullo stesso piano esercenti virtuosi ad altri meno seri. E, soprattutto, che estende in maniera generalizzata l’obbligo di chiusura all’una di notte in settimana e alle due nel weekend, provocando danni economici a tutti. Danni che gli esercenti hanno subito proprio nell’ultimo periodo estivo, che ha visto un calo del 30% del fatturato, oltre a quello, inevitabile, della forza lavoro.
«Non ci sono sanzioni per i supermercati aperti 24 ore su 24 che possono tranquillamente vendere alcool a qualsiasi ora a dispetto di quanto dice una legge nazionale – lamenta Cesare Groppi di Confesercenti – ma i pubblici esercizi, se chiudono dieci minuti dopo l’una, vengono multati. Con sanzione consegnata 15 giorni dopo per posta, senza alcuna possibilità di contestarla. E ricordo che tre sanzioni significano cinque giorni di chiusura, un’ulteriore grave perdita di fatturato». Sanzioni (14 ai pubblici esercizi, una trentina ai minimarket nel solo periodo estivo) che hanno lo stesso peso, indipendentemente dal ritardo con cui un locale ha chiuso, in settimana o nel weekend. «Un minimo di ritardo è inevitabile per poter riuscire ad abbassare la saracinesca all’una: devi consentire al cliente di terminare la propria consumazione, devi pulire e sgomberare il dehor. Ma non è possibile sanzionare allo stesso modo chi ritarda qualche minuto la chiusura e chi invece se ne approfitta e va avanti fino alle due in settimana». Una revisione dell’orario di chiusura, riportandolo alla situazione pre-ordinanza, è il presupposto per ritirare il ricorso al Tar presentato il 20 giugno scorso Fepag e Fiepet.
A questo coro si unisce anche quello contro i minimarket, quasi una decina in “zona Erbe”, che non sempre rispettano gli orari di chiusura o le regole di vendita di alcol.
Rimarcata più volte è una totale mancanza di presidio del territorio da parte delle forza dell’ordine, un controllo che possa garantire più sicurezza a tutti i soggetti: «Continuiamo a essere convinti che questa zona non abbia bisogno di divieti, ma di controlli – sottolinea Groppi – Controlli su chi vende, ma anche su chi consuma e su chi frequenta i vicoli. Non siamo in una zona franca e non deve diventarlo». Vetri rotti, schiamazzi, urina in strada. Per non parlare dello spaccio e di altro degrado. Su tutto questo il controllo resta uguale a zero. Ed è ciò che più lamentano i gestori dei locali.
Non sono mancate, da parte degli stessi pubblici esercizi, proposte di “auto-vigilanza” sul territorio: steward che, al posto della polizia, mantengano ordine e controllino i vicoli. «Ma perché gli stessi locali dovrebbero pagare per un servizio di ordine pubblico che dovrebbe invece essere garantito?», risponde Gianni Petrelli di Ascom.
Ma le risposte più importanti che gli esercenti chiedono da tempo devono ancora arrivare: «Servono politiche per i giovani e politiche per il turismo in questa città – sottolinea Marina Porotto, Fepag Ascom – perché finora le politiche che abbiamo visto hanno colpito chi lavora nel centro storico e chi presidia questo territorio, tenendolo vivo. Sono quattro anni che facciamo sentire la nostra voce e non abbiamo ancora ottenuto una risposta».
 
			 
                                























 
			



