Il 22 ottobre 1965 per Angiolino, per alcuni Angelo per altri Lino, Barreca, è la data di inizio di sessant’anni di lavoro, con decine di progetti portati a termine. Eppure Barreca, genovese e ‘migrante all’incontrario’, classe 1945, non intende affatto fermarsi: ha in cantiere un progetto per la realizzazione di un distretto industriale totalmente green a Ronco Scrivia ed è presidente e project manager del consorzio “Riqualificazione e Sviluppo” che si propone per il recupero di Punta Vagno, cioè del tratto a valle di piazzale Kennedy e corso Italia a Genova. Il master plan progettuale è pronto da tempo, era già stato presentato all’Autorità Portuale (proprietaria delle aree) e alla giunta comunale precedente; ora dovrebbe affrontare l’iter autorizzativo con i nuovi amministratori di entrambi gli enti. «In attesa di essere ricevuti dall’Autorità portuale, recentemente abbiamo illustrato la nostra iniziativa al vicesindaco Alessandro Terrile – dice Barreca – e ad alcuni dei suoi colleghi, come avevamo fatto con la giunta Bucci. Mi sembra che sia stato un confronto positivo. Ovviamente vogliamo essere messi in gara con la massima trasparenza».
Il consorzio è nato nel 2023, quando un primo gruppo di sette promotori si è costituito in società consortile, prevedendo nello statuto la possibilità di accogliere altre adesioni, che sono poi arrivate. Riqualificazione e Sviluppo chiede di prendere in gestione quella che oggi è un’area abbandonata per realizzare principalmente, d’intesa con l’Università di Genova, il quartiere e le varie associazioni di quel territorio, attività sportive, ludiche e formative all’aperto, con una spiaggia libera per adulti e bambini, garantendo, attraverso la presenza, la sorveglianza della zona. Sono previsti anche visite guidate ai siti di interesse marino e paesaggistico, noleggio di piccole imbarcazioni e trasporto via mare e altro. Escluse cementificazioni ed ingombri paesaggisticamente incompatibili, saranno realizzati solo mezzi di vigilanza per la sicurezza e piccole strutture stagionali amovibili, caratterizzate in prevalenza dall’utilizzo di elementi naturali e materiali di recupero e tanta piantumazione ove possibile. «Visto che alla Foce – spiega il presidente del consorzio – nascerà un parco urbano di alta qualità, non si può consentire che tutto intorno permangano il degrado e il malaffare. L’unico modo per evitarlo è rendere frequentabile quella zona per i cittadini di ogni fascia di età. Certo si dovranno trovare le soluzioni più idonee per dare ricovero dignitoso a coloro che, solo per incolpevole indigenza, hanno necessità di aiuto».
Un progetto, “sostenibile” per un’area che di recupero avrebbe un gran bisogno: il territorio dal Bisagno a Punta Vagno è nota per bivacchi, risse, rifugi improvvisati tipo favelas, denunce e condanne per violenze sessuali e stupro. Al momento il consorzio non sembra abbia nemici dichiarati, anzi, ma in Italia certi percorsi non sono quasi mai agevoli. E in una città in cui da decenni non si riesce a partire con la costruzione di un nuovo ospedale al posto di uno vecchio di 130 anni non c’è niente di scontato. Barreca è sereno: «Finora in ogni opera di riconversione in cui sono stato coinvolto il risultato è stato raggiunto in maniera soddisfacente. Certo, non bisogna avere fretta e non festeggiare i compleanni!».
E sì che il suo curriculum è piuttosto denso e complesso: non comprende solo interventi di riuso urbano. Come definire il profilo professionale di una persona che, ha ricoperto incarichi in enti pubblici e in società economiche e sportive, si è occupato di finanza, urbanistica, calcio e pallanuoto, è diventato potenziale bersaglio delle Brigate Rosse ed è stato tenuto sotto osservazione dalla Cia, ha lavorato con i politici ma non ha mai rivestito un incarico politico, non si è mai candidato a nulla e non ha mai avuto un inciampo? Forse il termine più appropriato è quello di “civil servant”, che un tempo voleva dire “servitore dello Stato”, e oggi ha un significato più ampio, indica chi pone la propria competenza professionale al servizio della collettività, all’interno o all’esterno di strutture pubbliche e spesso per solo spirito di servizio.
Laureato in Giurisprudenza, Barreca ha seguito corsi di specializzazione in pubblica amministrazione, pianificazione territoriale e politiche per lo sviluppo, in Italia e all’estero, compresi gli Usa e gli Stati membri della vecchia Unione Sovietica, in paesi africani, asiatici e del medio oriente. Dal 1971 al 1976 è stato funzionario e dirigente della Regione Liguria, vicecapo di gabinetto del presidente (il deputato Dc Gianni Dagnino, poi presidente di Banca Carige), dal 1976 al 1983, funzionario e dirigente della Filse fino a diventarne vicedirettore generale. Nel 1983 ha lasciato la Filse per dedicarsi alla libera professione, nel settore (pubblico e privato) dello sviluppo economico e della finanza, della gestione di processi di riconversione urbana di particolare complessità, della gestione di compendi demaniali, delle costruzioni, della cultura, della formazione di alto livello. Tra l’altro si è occupato di recupero di aree dismesse nel ponente genovese, dell’utilizzo razionale delle risorse idriche della Toscana, della riconversione e messa in sicurezza di aree portuali, della realizzazione del compendio ‘Porto Antico di Genova’, di Sviluppo Genova spa e della riqualificazione di tutta la Val Polcevera facendosi portatore di investimenti per l’occupazione, del Piano regolatore del porto di Imperia, dell’Aeroporto di Albenga, dell’ex Fonderia di Multedo, della Fondazione Mediaterraneo, della riqualificazione e del rilancio del porto turistico di Santa Margherita Ligure, dello sviluppo del nuovo porto di Piombino, è stato project manager per un nuovo terminal crociere e per la riconversione dell’area delle riparazioni navali, aprì un ponte tra la Liguria e gli Emirati Arabi . C’è molto altro ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Per quanto riguarda gli incarichi sportivi, basti ricordare che è stato amministratore delegato e presidente della Pro Recco quando ha vinto, nello stesso anno, Coppa dei Campioni, Coppa Italia, Campionato italiano e Supercoppa europea, nello stesso periodo è stato vicepresidente, con deleghe di rappresentanza legale, dello Spezia Calcio…. Ma facciamo parlare lui.

– Partiamo dall’inizio. Una carriera, oggi sessantennale, che richiede capacità di organizzazione e pianificazione, razionalità e metodicità è iniziata con un big bang emotivo. Che cosa è successo?
«In effetti, il giorno in cui, nel 1964, al mattino presto, partii da casa per iscrivermi a Medicina, al pomeriggio rientrai…ma iscritto a Giurisprudenza. Accadde che, durante il tragitto dall’ingresso dell’Ateneo verso la segreteria per l’iscrizione, incontrai un mio cugino iscritto al secondo anno di Medicina, che mi invitò ad assistere a una lezione. Entrai in aula e vidi sezionare quello che sembrava un cadavere, resistetti tre o forse cinque minuti e poi svenni. Capii che sarebbe stato meglio cambiare facoltà. Al pomeriggio tornai a casa non da promettente medico, ma da futuro avvocato».
– Non è stato l’unico colpo di testa…
«Conseguita la laurea magistrale in Giurisprudenza mi consigliarono di fare pratica notarile presso un notissimo notaio di Genova. Eravamo due praticanti. Dopo circa un anno, in periodo prepasquale, il notaio ci convocò e ci disse: sono contento del vostro impegno, meritate un premio. I nostri cuori si riempirono di gioia: sarebbe stato il primo riconoscimento venale per la nostra attività. La gioia durò pochissimo, l’uomo mise mano al portafogli ed estrasse … quattro biglietti omaggio del cinema Orfeo di via XX settembre e disse: “due ciascuno, così potete invitare anche le vostre fidanzatine”. La sera dopo andai al cinema ma…. non tornai più dal notaio».
– Una sliding door che le ha aperto la strada giusta.
«Avevo, nel frattempo, conosciuto, per il tramite di un mio parente, il prof. Paolo Emilio Taviani, vicepresidente del Consiglio dei Ministri e, successivamente, Ministro degli Interni, del Bilancio e del Tesoro. Mi volle con sé sia all’Università sia al Ministero, con incarichi fiduciari, e mi presentò a Gianni Dagnino, primo presidente della Regione Liguria, il mio vero grande maestro dopo mio padre, che mi inserì nel suo ufficio di Gabinetto come assistente per le questioni economiche, responsabile del personale, incaricato della gestione delle incombenze organizzative, “correttore” dei suoi discorsi e, dopo un po’ di tirocinio, anche “preparatore” delle bozze dei suoi di discorsi nel suo ruolo di presidente della Regione Liguria. Al mio ingresso in Regione eravamo in cinque e la mia matricola penso fosse la numero 1. Il compenso mensile 30.000 lire, un bel salto rispetto ai biglietti omaggio del notaio!»
– Come è che è finito nel mirino delle Brigate Rosse?
«Negli “anni di piombo” noi dirigenti di enti di Stato e nell’entourage di democristiani di spicco come Taviani e Dagnino eravamo bersagli. Facili bersagli. Nel 1974, anno del sequestro Sossi, venne in Regione il questore di allora e ci consegnò due licenze di porto d’armi consigliandoci, caldamente, di girare armati. Toccò a me comperare due pistole per la difesa personale, una per me e una per Dagnino, in un’armeria nel centro di Genova. Erano due Beretta calibro 22, piccolissime perché si potessero tenere nascoste con facilità ma a portata di mano. E quasi innocue. Per fortuna non c’è mai stata l’occasione di usarle, comunque nell’archivio sequestrato nel covo BR di via Fracchia furono trovati anche i nostri nomi, futuri bersagli».
– Aveva paura?
«No, almeno fino a quando, per un puro caso, non mi trovai lungo il tragitto in cui fu assassinato, nel 1976, il procuratore generale Francesco Coco. Avrei dovuto raggiungerlo per consegnargli documenti riservati. Da allora mi sentii obbligato a essere prudente: evitare lo stesso tragitto giornaliero, cambiare orario di ingresso e uscita dall’abitazione, non portare la famiglia in auto, cambiare l’auto, stare in gruppo, evitare luoghi appartati, usare mezzi pubblici…»
– Nel suo curriculum sono numerose le esperienze di studio e lavoro all’estero.
«Memore di quanto fece mio padre nel 1964 quando, non appena mi diplomai al liceo classico, mi regalò una sorta di abbonamento per girare l’Europa in treno, secondo lui scuola di vita (e non sbagliò), conservai sempre l’amore per i viaggi perché li consideravo per l’appunto occasioni di apprendimento. Visitai le principali capitali europee e l’Unione Sovietica sino a quando, nel 1975, partii, insieme a Gianni Dagnino per un periodo di perfezionamento negli Stati Uniti, visitando una quindicina di Stati e conseguendo un master in Pianificazione e Sviluppo dei Porti e dei Traffici marittimi, a San Francisco».
– E come andò con la Cia?
«Non so se si trattasse della Cia o di un’altra agenzia di sicurezza Usa. Fatto sta che, ormai abituati a essere guardinghi, notammo che, durante i nostri spostamenti, una figura di un uomo di considerevoli dimensioni era sempre, sia pure a una certa distanza, accanto a noi, incombente. Ci rivolgemmo all’ambasciata per sapere perché: era un appartenente dei servizi Usa che tutelava la nostra incolumità».
– Si è interessato anche di sport
«Da giovanissimo praticavo l’atletica e, futura promessa, a quindici anni venni scelto per portare, per un tratto, la fiaccola Olimpica ai Giochi di Roma del 1960. Ebbi così il diritto di assistere a qualche gara. Allora vivevo, emigrato da nord a sud, in Calabria e non conoscevo uno sport che poi caratterizzò parte della mia vita: la pallanuoto. Assistetti, in quanto legato alla mia terra di origine, a una partita e ammirai la forza fisica degli atleti, la loro capacità di dominare l’acqua e vidi, tra questi, un grande campione: Eraldo Pizzo. Eraldo non nuotava, scivolava nell’acqua senza farla muovere, tanto da meritarsi il nome di “Caimano”. Passarono circa cinquanta anni, di Eraldo Pizzo conservavo soltanto il ricordo di un magnifico atleta, sino a quando mi chiamarono a presiedere delle squadre di pallanuoto, la Chiavari Nuoto prima e la pluriblasonata Pro Recco Waterpolo, dopo. Apprezzai, quindi, cinquanta anni dopo, un altro Eraldo Pizzo, il dirigente. Erano gli anni di Gabriele Volpi, della cui stima di allora ancora oggi ringrazio, nonostante le divergenze che ci hanno allontanato. Volpi, in quanto proprietario oltre che della Pro Recco anche dello Spezia Calcio, mi volle dirigente apicale di entrambe le società. Fu un’esperienza fantastica di cui conserverò sempre alcuni dei ricordi più belli della mia vita, sia per i risultati ottenuti sia per le meravigliose, anche se a Spezia un po’ turbolenta, tifoserie».
– Nel 1983 lascia la Filse da vicedirettore generale, perché?
«Per la voglia di libertà, di autodeterminazione, della competizione (da buon sportivo) e… per un pesce. Credo, infatti, di aver fatto, inconsapevolmente, un piacere, elargendo buoni consigli, a un noto imprenditore di Chiavari, il quale pensò di “sdebitarsi” portando a casa mia un completo da tavola in argento e un dentice di circa dieci chilogrammi. Chi aprì la porta, conoscendo la mia ritrosia a ricevere regali costosi, trattenne il pesce e rifiutò l’argento. L’imprenditore venne a scusarsi e, avendo appreso della mia passione per il mare e la pesca, mi invitò parecchie volte alle sue escursioni pescherecce in Corsica. Diventammo amici e poi, abbandonata la Filse, soci».
– Lei ha conosciuto Taviani e quindi, si può immaginare, altri big democristiani.
«Certo, per esempio conobbi in quel periodo Ciriaco De Mita, segretario nazionale della Dc e presidente del Consiglio dei Ministri, amico del mio socio e abituale frequentatore del Tigullio. Altro grande insegnamento di vita! E nel Tigullio, a Chiavari in particolare, ho messo le radici, trovando inseparabili affetti. De Mita amava il Tigullio, ci veniva, a volte con la moglie Anna, quando poteva permettersi qualche giorno di vacanza. Era ospite nella villa del mio socio e amico, Ferdinando, detto Nando, Dentone. Spesso c’ero anche io e venivano in visita altri democristiani, big nazionali come Fanfani, Taviani, vertici delle Partecipazioni Statali ed esponenti locali come Gianni Bonelli, Gianni Vassallo, Gregorio, detto Rino, Maggiali, Billy (nome di battaglia partigiana) Brizzolara e altri politici e imprenditori. Si giocava a carte, cirulla, tresette e scopone scientifico, e non mancava mai lo stoccafisso, che Nando Dentone sapeva cucinare benissimo. Allo stoccafisso, e al pesce fresco, rinunciavamo solo per la focaccia al formaggio alla Manuelina di Recco, da Gianni Carbone, altro buon amico di De Mita e da lì iniziò il mio sovrappeso!».
– Sono passati tanti anni ma lei non sembra ancora stanco…
«Giovanni Malagò quando, nel 2015, la Pro Recco vinse il titolo europeo, mi scrisse una lettera di congratulazioni dove tra l’altro spiegava che il nostro successo si doveva anche alla “capacità di non essere mai paghi, ricercando e trovando sempre nuovi stimoli”, attribuendoci, poi, l’onorificenza del ‘Collare d’Oro al Merito Sportivo’. Ecco, io trovo sempre nuovi stimoli. Senza dimenticare le cose semplici che pure fanno bella la vita, come lo stoccafisso o la focaccia col formaggio. La scuola della Democrazia Cristiana mi ha insegnato la moderazione, che non è moderatismo, ma capacità di raggiungere l’obiettivo, non solo con i giusti mezzi, anche con buonsenso ed equilibrio. In conclusione, ai sessantenni ricordo di non festeggiare i futuri compleanni!»