“I am a camera with its shutter open, quite passive, recording, not thinking. (…) Some day, all this will have to be developed, carefully printed, fixed.” Così scrive Christopher Isherwood nell’incipit di “Addio a Berlino”, pubblicato nel 1939, dopo avere trascorso una decina d’anni nella capitale tedesca. Composto da sei racconti, il libro, attraverso le vicende del suo autore ci descrive la Berlino degli anni Trenta, permissiva, libertina, ribollente, e sempre più cupa fino all’avvento del nazismo. Da Addio a Berlino sono stati tratti film e musical, tra cui il famoso “Cabaret” di Bob Fosse con Liza Minnelli.
Ma il narratore è una macchina fotografica che ha dei filtri. All’autobiografia mescola la fiction. E la sua arte trasfigura la realtà. Nel caso del personaggio più famoso di “Addio a Berlino”, Sally Bowles, l’autore non riesce a ricordare l’effetto che gli fece la prima volta incontrare l’originale in carne e ossa, Jean Ross, anche perché alla trasfigurazione operata da lui stesso si sono sovrapposte quelle di registi e attori che hanno ripreso il personaggio.
Con “Christopher and His Kind” pubblicato nel 1976, e in Italia, con il titolo “Christopher e quelli come lui”, nel 2024 da Adelphi, Isherwood rappresenta vicende e personaggi di quel decennio nella loro realtà in “un libro sincero e basato sui fatti, soprattutto per quel che riguarda me stesso”. Parla di sé come “Christopher”, un personaggio tra gli altri. Come gli altri da raccontare ma anche da interpretare, perché sono passati decenni tra la scrittura del libro e gli avvenimenti narrati, e perché non è facile capire quel guazzabuglio del cuore umano, nemmeno se il cuore è il nostro.
Isherwood aveva lasciato l’Inghilterra per Berlino a ventiquattro anni, nel marzo del 1929. per raggiungere l’amico Wystan Hugh Auden. Rampollo di una famiglia benestante, intendeva mantenersi in Germania, prima di affermarsi come scrittore, anche insegnando inglese. Tornò a Berlino durante l’estate, poi di nuovo in novembre, senza biglietto di ritorno. Sarebbe rimasto in Germania dieci anni, fondamentali per la sua formazione e per la sua produzione letteraria. Con Auden Isherwood viaggiò prima in Cina nel 1938 e scrisse un reportage, poi emigrerò negli Usa nel 1939.
Perché decise di lasciare l’Inghilterra per Berlino? Perché, ci spiega nella vera autobiografia, per lui Berlino significava ragazzi.
L’omosessualità in “Christopher e quelli come lui” non è condizione privata e accessoria ma una dimensione esistenziale, sociale, culturale e politica. E una griglia interpretativa: la società europea viene vista attraverso l’autobiuografia di un uomo che aveva lasciato il proprio paese per “scatenare i suoi desideri e sbattere ragione e buon senso in prigione” (pag. 12).