Non convince il Decreto Dignità: alle critiche, scontate, delle opposizioni, si aggiungono quelle del mondo delle imprese e dei professionisti del lavoro.

Giulio Dapelo, titolare dello Studio Dapelo di Genova, attivo nella consulenza del lavoro, dichiara a Liguria Business Journal: «Bisogna leggere il testo integrale del provvedimento, comunque sorprende, e non poco, la decisione di porre dei vincoli e delle restrizioni alle assunzioni a tempo determinato. Contrastare o disincentivare l’occupazione a tempo determinato non genera, come diretta conseguenza, nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato»
«Dal 2015 a oggi, a fronte di un calo dell’occupazione a tempo indeterminato di circa 115 mila posti di lavoro – spiega Dapelo – i contratti a tempo determinato sono aumentati di circa 800 mila unità. Tenuto conto che la finalità del provvedimento, come afferma il ministro del Lavoro, è quella di dichiarare guerra alla precarietà, non si comprende sulla base di quali concreti presupposti questo provvedimento possa mutare la precarietà in stabilità. Contrastare o disincentivare l’occupazione a tempo determinato non genera, come diretta conseguenza, nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato».
«Inoltre – precisa il professionista – delle circa 5 milioni di imprese attive nel mercato nazionale, il 95% non occupa più di dieci dipendenti. Si tratta quindi di aziende che non “temono” l’art. 18, sia nella formulazione precedente sia in quella successiva del Jobs Act. La fragilità del comparto produttivo, nel suo senso più ampio, e le incertezze circa il futuro degli equilibri economici, finanziari e sociali europei non incentivano il nostro debole sistema a investire nel medio-lungo periodo. L’occupazione a tempo indeterminato è poca più per necessità che per volontà speculativa delle aziende. Il primo impegno politico e progettuale è quello di seminare i nuovi presupposti culturali e sociali per il lavoro del futuro, iniziando la semina, con serietà e competenza, dai banchi delle scuole elementari. Il resto è inutile propaganda».
 
			 
                                






















 
			

