“Che succede a Baum?” è il primo romanzo di Woody Allen e contiene i motivi che il grande regista e letterato americano ha sviluppato in decenni di lavoro. Asher Baum, il protagonista, è un intellettuale ipocondriaco, scontento e insicuro di sé, ferito da fallimenti sentimerntali e professionali, ma, al fondo quelllo che lo paralizza è il senso di futilità e di vuoto della vita. Come altri personaggi di Allen e come lo stesso Allen: lo storia di Baum non è un calco della biografia del suo autore ma la rapprasenta nei suoi tratti essenziali (e perfino in alcuni dettagli biografici), e nell’ambiente, quello dell’editoria newyorkese. Il risultato è esilarante e inquietante.
Baum è un giornalista ebreo sui cinquanta anni diventato romanziere e drammaturgo. Senza successo. I suoi drammi filosofici ricevono recensioni tiepide e si vendono poco, tanto che il suo prestigioso editore newyorkese lo scarica. Il suo terzo matrimonio è in crisi, per di più sua moglie adora il figlio (avuto da un precedente marito), giovanissimo ma scrittore già molto più affermato del patrigno. E per di più, in un attimo di follia Baum ha cercato di baciare una giovane giornalista durante un’intervista, lei ne farà un articolo da scoop e nell’ambiente intellettuale newyorkese un episodio come questo segna la fine di un personaggio pubblico. Ma la crisi di Baum nasce da un motivo più profondo di queste sventure contingenti. Il giornalista si è trasformato in scrittore perché “voleva portare ordine nel caos e nella tragica verità che sembravano annuvolare ogni alba dell’umanità. Molto tempo fa aveva dichiarato guerra a colei che Ayden paragona al rombo di un tuono lontano durant un picnic. Credeva di poter condurre al meglio questa battaglia contro la condizione umana facendo il romanziere, scrivendo libri pieni di pathos. Opere necessariamente ponderose, pensava, perché la notte è smisurata e il nemico conosce sporchi trucchi di ogni tipo” (pag. 11). Non è chiaro – almeno per noi – se e in quale misura abbia ragione Baum a insistere nello scrivere le sue onerose opere o se siano nel giusto quelli che non le apprezzano, fatto sta che la dialettica tra l’impopolarità dello scrittore e il facile successo del giovane figliastro è la molla che mette in moto la dinamica della trama fino alla suo imprevedibile conclusione. Ed è anche il filo conduttore delle frecciate sarcastiche scoccate sull’ambiente intellettuale newyorkese, fatuo, ipocrita e moralista, dove “un’accusa vale quanto una condanna” e dei quasi esplici riferimenti autobiografici: la terza moglie di Baum, Connie, ha qualcosa di Mia Farrow e il figliastro Thane ha qualcosa di Ronan Farrow che, dopo un lungo silenzio, nel 2016 ha preso le difese della sorella Dylan con un articolo su Hollywood Reporter, in cui spiegava che aveva affrontato la sua storia da giornalista e aveva trovata fondata l’accusa di Dylan di essere stata molestata dal padre. (Peraltro Ronan è stato sconfessatato dal fratello Moses che ha sostenuto che ad avere un rapporto disfunzionale con i figli era la madre).
Il libro si conclude con l’emersione del suo motivo di fondo che è anche il motivo di fondo di tutta l’opera di Woody Allen”: lo scrittore confida al fratello l’idea del suo nuovo lavoro: “Siamo venti miliardi di anni nel futuro. L’esistenza è finita. Non c’è niente. Nessun universo. Nessuna stella, nessuna luce, nessuno spazio, nessun tempo. Il nulla assoluto”.
“E che cosa succede?”
“A questa parte non ho ancora pensato”.



























