Un tuffo nel passato proponiamo oggi, con la ricetta della gattafura, attestata nel Cinquecento ma nata chissà quando. In fatto di continuità delle ricette bisogna andare cauti perché nel corso dei secoli la cucina nella penisola italiana è cambiata molto, però la gattafura è così simile all’odierna pasqualina che possiamo considerare questa l’evoluzione dell’altra. Del resto nei ricettari dell’Ottocento quando compaiono i termini di pasqualina e cappuccina scompare quello di gattafura.
Ma da dove è venuto il termine? Che tra l’altro sembra affine a gattafuin o gattafin, ravioloni fritti in uso nel Levante ligure, ripieni di verdure e formaggio (vedi qui )?
Orternsio Landi, nato a Modena nel 1512 e morto a Venezia nel 1553, medico e letterato che visse vagabondando in Italia e in Europa, nel suo “Itinerario gastronomico per l’Italia” ci testimonia la diffusione della gattafura nella prima metà del Cinquecento e ci informa anche sull’origine del nome: “.. A Genova io ti aviso che vi si fanno torte dette gattafure perché le gatte volentieri le furano e vaghe ne sono; ma chi è sì svogliato che non le furasse volentieri?a me piacquero più che all’orso il mele” (( “Arte della cucina in Italia” a cura di Emilio Faccioli, Einaudi). L’etimo proposto da Landi sembra un po’ fantasioso, convince maggiormente quanto scrive Wolfgang Schweickard in “Estratto da studi linguistici italiani fondati da Arrigo Castellani, diretti da Luca Serianni”, volume XXXII (XI della III serie), fascicolo I. Secondo il filologo tedesco gattafura deriverebbe dal francese gâteau fourré, che vuol dire torta ripiena.
La ricetta completa della gattafura, a cui ci rifacciamo, si deve a Bartolomeo Scappi, nato probabilmente a Bologna agli inizi del Cinquecento e morto dopo il 1570. Scappi fu il cuoco più famoso e autorevole della sua epoca, oggi sarebbe uno chef pluristellato alla Enrico Bartolini, Joël Robuchon, Alain Ducasse, ecc… Nel 1536, al servizio del cardinale Lorenzo Campeggi, fu incaricato di allestire un convito in onore di Carlo V.
Nella sua “Opera” Scappi, alla voce “Per fare gattafura alla genovese”, scrive: «Piglinsi struccoli overo agretti, i quali sono casci freschi fatti di un giorno senza sale, e quando hanno alquanto del forte sono assai meglio, pestisino nel mortaro tanto che venghino come butiro e si mescolino con biete trite, un poco di menta battuta, e pepe pisto, poi habbisi uno sfoglio di pasta, e stendasi sopra il suolo di rame onto di butiro, e pongasi sopra esso sfoglio la compositione che non sia alta più di mezzo dito, e sopra la compositione spargasi olio dolce, e cuoprasi con un altro sfoglio sottilissimo, e facciasi cuocere nel modo sopra detto, e servasi calda perché fredda non vale niente; è ben vero che molte volte si riscaldano sopra la graticola, et in questo modo si possono fare anchora nelle tortiere» (“Arte della cucina in Italia” a cura di Emilio Faccioli, Einaudi).
Vediamo come adattare la ricetta di Scappi alla nostra terminologia e ai nostri prodotti. Perché? Non perché ciò che è originario sia migliore ma per curiosità, e poi perché la gattafura è buona, e anche facile da preparare.
Ingredienti: 400 grammi di prescinseua (che può corrispondere agli struccoli o agretti e non ha bisogno di essere pestata), 100 grammi di pecorino grattugiato, 1 kg di bietole, una mazzetto di menta fresca, 500 grammi di farina, olio Dop Riviera Ligure, meglio se con la menzione geografica aggiuntiva “Riviera dei Fiori”, visto che Scappi raccomanda “olio dolce”, burro, sale, pepe, acqua.
Procedimento. Preparare la pasta come per la pasqualina, mescolandola con con 240-250 grammi di acqua e un pizzico di sale. Lavoratela bene con le mani fino a ottenere una palla omogenea, elastica, malleabile ma non appiccicosa, che metterete da parte avvolta nella pellicola trasparente. Fate bollire le bietole, private delle coste bianche più grosse, in acqua leggermente salata per una quarto d’ora, tritatele grossolanamente, tritate fine fine la menta e mescolate in una ciotola prescinseua, pecorino, bietole e menta. Aggiungete una spolveratina di pepe e controllate se il sale va bene. Dividete la pasta in due pezzi, uno del peso di due terzi, l’altro di un terzo e, con il mattarello, fatene due sfoglie. Ungete di burro una teglia da forno di 32 cm di diametro, stendetevi sopra la sfoglia più spessa, sopra questa versate il ripieno, e sopra il ripieno passate un filo d’olio. Quindi coprite il tutto con l’altra sfoglia, più sottile. Fate cuocere in forno a 190 gradi per 45 minuti o comunque finché la sfoglia non è dorata. Servite la vostra gattafura ancora calda, come raccomanda lo Scapppi, accompagnandola con un Colli di Luni Bianco.
Placet experiri!