La ristrutturazione del porto di Genova rappresenta una grande occasione di sviluppo per le attività dello scalo e per la città ma è anche oggetto di uno scontro politico. Il sindaco Marco Bucci, rieletto nel giugno scorso al primo turno, può vantare una quantità di progetti realizzati con successo dall’amministrazione comunale, anche in collaborazione con altri organismi e istituzioni: la nuova strada costruita a tamburo battente dopo il crollo di Ponte Morandi, la sistemazione delle famiglie evacuate, la ricostruzione del viadotto, la soluzione radicale, attesa da decenni, della questione di Begato, il successo del Salone Nautico, di Euroflora, mentre la ristrutturazione del Waterfront di Levante procede spedita. Ora, però, sul primo cittadino, ma anche sui presidenti della Regione e dell’Autorità portuale, incombono i problemi del porto. Nuova diga foranea, tunnel sub-portuale, cassoni a Pra’, riparazioni navali, riallocazione dei depositi chimici e altre questioni sono argomenti complessi che toccano molti interessi ed espongono le istituzioni alle proteste di chi si sente danneggiato e agli attacchi degli avversari politici. Sabato scorso a Pra’ e a Pegli un corteo ha manifestato contro l’estensione del porto di Pra’ e la fabbrica dei cassoni. A Sampierdarena cresce la mobilitazione contro la riallocazione dei depositi chimici di Attilio Carmagnani AC e Superba da Pegli-Multedo a Sampierdarena voluta dal sindaco.
Finora le opposizioni per il porto non hanno avanzato proposte alternative. Claudio Burlando, che dopo il secondo mandato da presidente della Regione ha lasciato gli incarichi istituzionali e di partito ma non ha mai smesso di fare politica e in questi anni ha costruito una chat molto animata, “Vasta Liguria”, con circa 300 aderenti, sta organizzando un convegno sul porto per il 21 aprile. Anche il Pd ne vuol fare uno suo. Vedremo se da questi convegni verranno proposte alternative a quelle delle attuali amministrazioni. È possibile, la materia è ampia. Al momento, per esempio, si sta facendo strada l’idea di costruire i cassoni a Vado e non più a Pra’.
E per i depositi chimici? Qualcuno ha parlato di “opzione zero”. Prospettiva che appare poco attraente in una città che ha bisogno di lavoro, e anche improbabile in uno stato di diritto. Bisognerebbe provare che Carmagnani e Superba rappresentano un pericolo per la salute pubblica ma i riconoscimenti che le due società in questi anni hanno ottenuto dagli organi competenti e anche la loro gestione non confermano questa tesi.
Per capire perché la riallocazione dei due impianti sia così controversa bisogna rifarsi al 1987. Quell’anno Carmagnani aveva subito un incidente che era costato la vita a quattro lavoratori all’interno del sito. Per la verità l’abitato di Pegli-Multedo non aveva subito danni, a parte qualche vetro di finestra rotto. Ma i pegliesi si erano spaventati, in particolare gli abitanti delle case costruite vicine agli impianti di Carmagnani e di Superba e da allora chiedono che i depositi chimici vengano dislocati. Ma dove? Sono passati 36 anni e le istituzioni non sono riuscite a prendere una decisione. Molte ipotesi sono state considerate e poi accantonate. Finché, nel giugno 2017, non è stato eletto sindaco Marco Bucci, che appena insediato ha dichiarato ai giornalisti che Carmagnani e Superba sarebbero restate a Genova, e all’interno dell’area portuale, e che avrebbe studiato la questione. Ora, nel suo secondo mandato il sindaco, con l’assenso dell’Autorità portuale, ha scelto la localizzazione: ponte Somalia, nel porto di Sampierdarena. Secondo il primo cittadino i depositi devono lasciare Pegli «Perché lì dove sono non è concepibile l’attività di manutenzione, non c’è nessun rischio per gli impianti che ci sono adesso ma non si possono fare impianti nuovi, quindi se vogliamo che il business funzioni e i posti di lavoro vengano mantenuti e si possa andare avanti dobbiamo spostare gl impianti».
Attualmente il perimetro dello stabilimento Carmagnani racchiude un’area di circa 30.000 metri quadrati di proprietà della società. Su questa superficie 31 serbatoi interrati garantiscono una capacità complessiva di oltre 27.000 metri cubi. L’azienda è certificata secondo i più alti standard sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, la tutela dell’ambiente e i propri processi interni e la prevenzione degli incidenti rilevanti. Gli oleodotti che collegano l’impianto del Deposito con gli accosti a mare del Porto Petroli sono situati in un cunicolo ispezionabile. Tutti i gas connessi alla movimentazione dei prodotti sono captati e gestiti da un moderno sistema di abbattimento dei vapori che ne intercetta oltre il 99,9%, ben oltre i limiti previsti dalla legge. I lavoratori diretti sono 27.
Sentiamo come Emilio Carmagnani, direttore generale della Attilio Carmagnani AC spa, e Attilio Carmagnani, padre di Emilio e presidente della società, illustrano i problemi e le prospettive della società.
«Ponte Somalia? È l’unica ipotesi sul tavolo oggi, e ci va bene. Ma qualunque ipotesi che ci permettesse di superare i limiti della nostra collocazione attuale ci andrebbe bene. Abbiamo bisogno di essere sul mare e di avere spazi. Decidano le istituzioni» dice Emilio. «Abbiamo bisogno di stare vicino alle navi perché movimentiamo volumi modesti, noi non trattiamo petrolio che può essere pompato via oleodotti a molta distanza. L’ideale sarebbe trovarsi proprio in banchina, qui siamo a 500 metri dal mare e va bene anche così, ma non possiamo operare troppo lontano dai punti di sbarco» – precisa il padre.
Chi sono i proprietari della Attilio Carmagnani AC spa?
Emilio. L’azienda è di tre famiglie, quella di mio padre che ha il nome dell’azienda, poi c’è un 20% della sorella di mio padre, e quindi dei miei cugini che si chiamano Rossi, e un 30% in mano ai cugini di mio padre che si chiamano Bonetti. Io sono entrato in azienda nel 2010 e ho ricoperto diversi ruoli, ora sono direttore generale. Abbiamo tre attività che sono il nostro core business: il commercio di prodotti chimici, l’attività con la quale l’azienda è nata, la logistica, i servizi analitici. Le prime due sono svolte con la ragione sociale Attilio Carmagnani AC spa, che già nel nome si porta dietro la fusione di due società: Attilio Carmagnani, l’impresa commerciale che fondò Attilio Carmagnani nel 1904, e Attrezzatture Carburanti-AC, che Attilio fondò per strutturare il gruppo dal punto di vista logistico. AC allargò la sua attività fino ad avere distributori di benzina, più di un centinaio di punti vendita tra Liguria, Basso Piemonte ecc. Questa società gestiva i punti vendita e il deposito costiero. Poi le due aziende vennero fuse e nacque Attilio Carmagnani AC. Oggi portiamo avanti l’attività commerciale e quella dei servizi di stoccaggio anche per conto terzi».
Attilio. «In seguito abbiamo sviluppato un piccolo laboratorio chimico, nato per soddisfare una necessità interna, analizzare i prodotti che passavano da qua, e poi col tempo è stato capace di rispondere alla domanda di soggetti terzi, al punto che nel ’94 venne creata una società che si chiama Analisi e Controlli, proprietaria del laboratorio chimico. Il laboratorio ha sede qua e oggi Carmagnani è solo uno dei suoi clienti, Analisi e Controlli si è specializzata in analisi merceologiche, soprattutto su carburanti, benzine, gasoli, carbone, e sostanzialmente lavora per conto delle società ispettive, grandi gruppi internazionali che mandano a noi i campioni prelevati nelle navi per l’analisi della qualità».
Oggi come vi si potrebbe definire?
Emilio. «Noi oggi siamo un hub integrato di fluidi funzionali. I prodotti che compriamo e rivendiamo trovano impiego in uno spettro molto ampio di settori industriali e questa è la nostra fortuna. La stessa molecola la vendiamo a chi fa farmaci, resine, a chi estrae l’olio dalle sanse, a chi fa prodotti per il drilling, abbiamo a valle tanti settori diversi».
Molecole di idrocarburi?
Emilio. «Sì, e recentemente abbiamo iniziato a trattare anche oli vegetali. Come già avvenuto durante la crisi pandemica, e ancor di più oggi nel complesso scenario energetico delle materie prime derivante dal conflitto russo-ucraino, ci stiamo distinguendo per garantire continuità di approvvigionamento di fluidi funzionali a un ampio spettro di settori manufatturieri alla base del nostro “Made in Italy”: agrotecnico (food), vernici (desing), tessile (fashion), farmaceutico ecc. Settori che tirano, da sempre con una vocazione spiccata all’export e, per loro natura, con investimenti in ricerca e sviluppo sopra alla media. Il nostro mestiere è soddisfare la loro domanda di materie prime, che non vengono prodotte nel mercato nazionale, garantendo competitività e continuità di forniture».
Quali sono le materie prime?
Emilio. «Trattiamo prodotti che derivano dalla raffinazione del greggio: prodotti aromatici, alifatici , alcoli. Di fatto i nostri rifornitori sono le raffinerie. Mandiamo da loro le navi cisterna a caricare, le facciamo arrivare qui a Genova, le sbarchiamo, stocchiamo il materiale in parte nei nostri serbatoi e da qui lo consegniamo ai clienti finali. Via autobotte.
Dove si trovano i clienti?
Emilio. «In tutta Italia, principalmente, e abbiamo anche iniziato a servire impianti in Germania, Polonia, Svizzera, Slovenia. La nostra fortuna è il posizionamento: essere a monte di settori produttivi che crescono in un contesto locale di offerta di materie prime che si sta restringendo. La nostra funzione è quella di andare a prendere le materie prime e portargliele a casa. Soddisfiamo un bisogno crescente perché le materie prime saranno sempre meno disponibili vicino a noi. In più, riusciamo a operare in maniera magari un po’ di versa rispetto agli altri competitor perché abbiamo il deposito qua e l’offerta di prodotti è integrata con i servizi di logistica. Grazie a noi le imprese della pianura padana possono fare affidamento su uno stock di materie prime a 150 km dai loro impianti. L’alternativa che hanno è quella di comprarle ad Anversa, Rotterdam, il che vuol dire sette giorni di trasporto, con tutto quello che può succedere in fatto di blocchi, ecc… e il rischio di dover fermare l’impianto perché la materia prima non arriva. In quest’ottica il fornitore Carmagnani è più sicuro di altri perché rifornisce da più vicino. Per noi è essenziale rimanere sul mare a Genova».
La transizione energetica per voi che cosa comporta?
Emilio. «Delle opportunità. La premessa è che i prodotti che trattiamo anche se hanno origine minerale al momento non hanno alternative verdi. La transizione quindi non ci tocca da vicino immediatamente nelle dinamiche commerciali, però è chiaro che ci sarà una transizione verso prodotti sempre più green e noi cercheremo di seguirla. Oggi siamo coinvolti nel commercio di prodotti da idrocarburi ma se, per fare un esempio, domani dovremo vendere aranciata, lo faremo».
Quindi le prospettive sono buone.
Emilio. «L’anno scorso abbiamo fatto un salto di fatturato importante perché tutti i prezzi legati al nostro mondo sono saliti molto, e anzi c’è stato un combinato disposto tra aumento dei volumi, che sono cresciuti del 25%, con prezzi saliti anche dell’80% in alcuni casi, quindi siamo passati da fatturare 30 milioni nel 2021 a 50 come attività commerciale nel 2022. In totale l’azienda fatturerà 53 milioni».
Il grosso dell’aumento quindi si deve all’attività commerciale?
Emilio. «L’abbiamo rinforzata. Siamo proprietari del deposito qui, utilizziamo una parte e il resto lo affittiamo a società terze che hanno necessità di far passare da Genova le loro materie prime. In questa veste siamo dei puri provider di servizi logistici e anche questa attività sta avendo un momento di grande richiesta perché con quello che è successo sui noli molti che si erano strutturati per ricevere prodotti via container stanno cercando passare di nuovo al bulk e in generale Genova è un porto ambito per tutta l’industria del Nord Ovest, è il punto più vicino da cui fare arrivare la merce. Se avessimo nel paese un’infrastruttura logistica più efficiente, soprattutto nel settore ferroviario, potremmo arrivare a servire il centroeuropa. L’attività di deposito ha tantissimo potenziale di crescita ma non lo possiamo sfruttare perché ci mancano gli spazi. La delocalizzazione per noi deve essere un’opportunità di sviluppo. Purtroppo da una trentina d’anni l’azienda è gestita nell’imminenza di un fatto che non succede mai. Abbiamo un mercato che offre opportunità e non riusciamo a coglierle, mandiamo via clienti perché ci mancano gli spazi, avremmo idee per investire anche qui dove siamo e ripristinare la capacità del deposito però temiamo di fare investimenti senza poi avere il tempo necessario per ottenere un ritorno. È un danno enorme».
Emilio. «Una cosa che mi sta scomoda è la maniera in cui viene affrontato il tema: a volte per semplificare si dice: bisogna scegliere tra salute e lavoro, e in alcune realtà purtroppo è così, ma da noi nessuno deve decidere tra salute e lavoro, la nostra attività è ipercompatibile con il tessuto urbano dove siamo oggi, nel senso che non lavoriamo niente, facciamo tutto a ciclo chiuso, non c’è interazione tra il prodotto e l’ambiente».
Siete classificati come impianto a incidente rilevante
Emilio. «Quello che ci fa entrare in questa categoria è il fatto che movimentiamo sopra una certa soglia di volume un prodotto che è pericoloso per la fauna acquatica, mentre la gente quando sente parlare di rischio rilevante pensa a incendi e cose del genere. Qui ci sono sistemi di monitoraggio, di prevenzione, per cui il rischio di incidenti è un’ipotesi molto, molto remota».
Attilio. «Trattiamo materiale anche infiammabile ma il rischio che qualcosa prenda fuoco non è maggiore di quello che c’è in un distributore stradale di carburante. Abbiamo ottenuto dall’Arpal il rilascio di compatibilità ambientale, sono venuti a misurare le nostre emissioni. Avevamo un vulnus, che era la vicinanza di alcuni punti di carico alla linea Genova-Ventimiglia, ci hanno fatto fare delle opere di prevenzione e hanno concluso che eravamo compatibili con il territorio. E anche per quanto riguarda il livello di traffico che generiamo, si tratta in media di una trentina di camion al giorno. In sostanza questa è un’attività compatibile con il territorio, ha bisogno di restare vicino al mare per scaricare dalle navi e di essere collegata alla ferrovia e alla strada in maniera efficace per fare uscire i prodotti. Può coesistere dove è oggi e tanto più in un contesto portuale in cui speriamo si trovi un domani».
Storia dell’azienda
Attilio Carmagnani aveva 19 anni quando nel 1904, da poco trasferito dalla provincia di Verona, fondò a Passo Nuovo, nel porto di Genova, una ditta individuale per la vendita al dettaglio di prodotti chimici tra cui il petrolio illuminante che veniva utilizzato nelle lampade. Trainata dallo sviluppo del tessuto industriale, la crescita dell’attività fu rapida e i volumi al dettaglio diventarono presto volumi all’ingrosso. Nel giro di un decennio Attilio trasformò la propria attività da business to consumer a business to business. Nel 1913 venne inaugurata la filiale con deposito di Milano, nel 1919 quella di Torino a cui seguirono altri due depositi, a Biella e Chivasso.
Genova era il punto in cui convergevano tutte le importazioni, la sede di Passo Nuovo e altri due magazzini a Sampierdarena lasciarono il posto, nel 1924, a un nuovo deposito a Cornigliano, raccordato alla linea ferroviaria. L’attività si estese ai carburanti, ai lubrificanti, all’essenza di trementina e al carburo di calcio commercializzati con i propri marchi.
Negli anni Trenta il successo dell’azienda è legato, sul lato degli acquisti, ad accordi commerciali con marchi storici dell’industria come Terni e Liquigas e, sul lato delle vendite, a un portafoglio di più di 800 clienti raggiunti tramite una distribuzione capillare che andava dalle piccole attività commerciali, farmacie, officine meccaniche, mobilifici, cantieri di riparazioni navali e concerie, fino ai grandi nomi della storia industriale del nostro Paese come Ansaldo, Odero, Terni, Orlando, Fiat, Edison, AFL Falck, Pirelli, Ilva. Nello stesso periodo entrarono in azienda anche i due figli di Attilio: Ernesto ed Emilio. Al primogenito Ernesto, fu affidata la gestione della filiale più importante, quella di Milano, a Emilio quella di Torino.
Nell’imminenza della seconda Guerra Mondiale, con la cessione dell’impianto di Cornigliano e la realizzazione di un’apprezzabile plusvalenza, venne acquistata a Multedo-Pegli un’area quattro volte più estesa per costruire un nuovo impianto di stoccaggio, un deposito costiero. Questo investimento fu un passaggio chiave nella storia della società perché con esso l’azienda conquistò l’accesso al mare e alle infinite rotte che vi si possono disegnare. Con la realizzazione del nuovo impianto, alla tradizionale attività commerciale, venne affiancata quella logistica che offriva servizi di stoccaggio sotto una nuova ragione sociale, Attrezzature Carburanti “AC” spa.
Negli anni successivi l’azienda sviluppò anche la rete di distributori stradali con il marchio “AC” che arrivò a contare un centinaio di punti vendita tra Liguria, Piemonte e Lombardia. A gestire questa fase di espansione nel dopoguerra fu Emilio, nato a Genova nel 1909. Dopo aver gestito le filiali di Torino e Milano in seguito alla morte nella seconda guerra mondiale del fratello Ernesto, Emilio Carmagnani tornò a Genova dove assunse la direzione generale e seguì la realizzazione del nuovo deposito costiero. Nel 1962, Emilio fece entrare in azienda il nipote Giorgio Bonetti, figlio della sorella Dina; classe 1939. Oltre all’inserimento della terza generazione, gli anni 60 videro una profonda riorganizzazione delle attività e dell’assetto azionario. Per far fronte all’uscita di un ramo della famiglia (la vedova di Ernesto) venne venduta la rete di distributori all’Api., avviando così il processo di distacco dal mondo petrolifero per focalizzarsi sul settore della chimica. Nel 1967 le due società, Attrezzature Carburanti “AC” spa e la commerciale Attilio Carmagnanisas, vennero fuse per dare vita all’attuale ragione sociale: Attilio Carmagnani AC spa. Nel 1970 Giorgio Bonetti diventò direttore commerciale e orientò da subito le attività aziendali al mercato del trading internazionale. Questo percorso portò nel 1975 a creare una partnership con i produttori libici di metanolo, grazie alla quale l’azienda diventò nei primi anni ’80 market leader nel Mediterraneo.
Negli stessi anni entrò in azienda il figlio di Emilio, Attilio Carmagnani, classe 1945, oggi presidente del consiglio di amministrazione. Dopo aver conseguito numerosi successi sui campi di regata, Attlio dedicò la sua carriera dapprima alla gestione operativa del deposito e delle filiali, successivamente allo sviluppo di una nuova terza attività, quella delle analisi chimiche merceologiche.
Gli anni 80 furono quelli di massima espansione. L’azienda, abbandonato definitivamente il settore petrolifero, si era integrata verticalmente nella supply chain dei prodotti chimici. Aveva una forte presenza nei mercati di trading internazionale, sfruttava la capacità del proprio deposito di Genova per concludere l’acquisto di grandi lotti in arrivo via mare che venivano poi valorizzati al meglio grazie a una distribuzione capillare realizzata attraverso i depositi di Milano, Torino e Roma. Si contavano circa 130 dipendenti, 50 agenti e un fatturato che andava oltre i 40 miliardi di lire.
Nel 1989 scomparve Emilio e l’anno seguente, Giorgio Bonetti venne nominato amministratore delegato. Gli anni 90 furono difficili poiché seguirono all’incidente, avvenuto nel 1987 nel deposito costiero. Per fare fronte alla situazione economica e finanziaria che ne scaturì, vennero vendute le filiali di Milano, Torino e Roma, si rinunciò alla distribuzione al dettaglio di prodotti chimici commercializzati col proprio marchio (tra cui l’Essenza di Trementina San Giorgio ed l’Acquaragia Tre Stelle Pino) e si puntò unicamente sul trading integrato con l’attività di deposito costiero. Da questo downsizing l’azienda uscì molto indebolita, soprattutto sul fronte commerciale. La gran parte dei 30 dipendenti erano in forza nell’impianto di deposito costiero e negli uffici amministrativi. In questi anni Attilio si dedicò allo sviluppo del business delle analisi merceologiche acquisendo un laboratorio concorrente (TecnoERG Ricerca Applicata) e fondando nel 1994 la “Analisi & Controlli”, società ancora oggi controllata dalla Carmagnani con sede nel complesso di Multedo, che attraverso propri laboratori svolge tutti i controlli qualitativi sui prodotti in transito e integra la value proposition dell’azienda.
Negli anni successivi, il clima di precarietà e incertezza scaturito da innumerevoli progetti di delocalizzazione e rilancio (mancato) del deposito costiero non giovò all’attività che nel 2008 era ridotta ai minimi termini: 8 milioni di fatturato e 20 clienti attivi, in gran parte rivenditori. Nel 2010, con Giorgio Bonetti amministratore delegato e Attilio Carmagnani presidente, avviene l’ingresso della quarta generazione: Irene Bonetti, figlia di Giorgio, classe 1966, Antonio Ernesto Rossi, nipote di Emilio Carmagnani, classe 1969, Emilio Carmagnani, figlio di Attilio, classe 1984. Inizia quindi l’attuale percorso di rilancio dell’attività che, facendo leva sui punti di forza della storia aziendale, promuove la capacità di gestire la logistica primaria – dalle raffinerie al deposito costiero – e secondaria – dai serbatoi agli stabilimenti dei clienti – attraverso un servizio di consegne puntuali con massima attenzione alla sicurezza ed agli standard qualitativi dei settori di impiego. L’offerta è rivolta non solo al mondo dei distributori, ma anche ai consumatori finali che operano nei più svariati settori industriali: farmaceutico, delle vernici, alimentare, agrotecnico, aerospaziale, ecc…
A seguito della scomparsa di Giorgio Bonetti nel 2017, Emilio Carmagnani assume la carica di direttore generale, Irene Bonetti di direttrice del deposito costiero e Antonio Rossi ICT manager. Attilio Carmagnani è presidente del consiglio di amministrazione.