Il centrosinistra guidato dal Pd vince in Italia ma non in Liguria. Il primo turno delle elezioni amministrative del 12 giugno ha riguardato 971 Comuni, 22 capoluoghi di provincia e 4 di regione. Dei 971 Comuni 142 hanno popolazione superiore a 15 mila abitanti e 829 pari o inferiore, per un totale di 8.831.743 elettori.
Al ballottaggio ieri si è votato in 65 Comuni, di cui tredici erano capoluoghi. Oltre 2 milioni i cittadini chiamati a votare, con un’affluenza al 42,16%, ancora in calo rispetto al primo turno, quando ha votato il 54,77% degli aventi diritto. Il centrosinistra ha vinto a Verona, Parma, Piacenza e Catanzaro, mentre Lucca, Frosinone, Barletta, Gorizia sono andati al centrodestra, che ieri ha vinto anche a Chiavari. Al primo turno il centrodestra aveva già vinto a Genova e La Spezia. La mappa delle nuove amministrazioni nelle città più grandi più grandi ci mostra 13 Comuni al centrodestra (Asti, Barletta, Belluno, Frosinone, Genova, Gorizia, L’Aquila, La Spezia, Messina, Pistoia, Rieti), 7 al centrosinistra (Alessandria, Catanzaro, Cuneo, Lodi, Lucca, Monza, Padova, Parma, Piacenza, Taranto, Verona), due a liste civiche.
Se consideriamo che il centrosinistra aveva già città come Roma, Torino, Milano, Napoli, Bologna, conquistate l’ottobre scorso, quest’ultima tornata elettorale, con la vittoria a Verona, roccaforte della Lega e del centrodestra, sancisce una vittoria del Pd, in netta ripresa dopo le sconfitte degli anni scorsi, nonostante la generale disfatta del suo alleato M5S.
In Liguria lo scenario è in gran parte differente. Il centrodestra aveva perso Savona nell’ottobre 2021 ma ha rivinto a Genova, alla Spezia, a Chiavari. E a Imperia dal giugno 2018 siede sulla poltrona di primo cittadino Claudio Scajola, che aveva vinto con proprie liste civiche, battendo anche il candidato del centrodestra ufficiale ma che del centrosinistra non fa parte di certo.
Che cosa distingue la Liguria dal resto d’Italia? Intanto va detto che a Milano e Roma il centrodestra aveva sbagliato candidati, due macchiette (come politici) che era difficile prendere sul serio. A Verona si è diviso: il sindaco uscente Federico Sboarina, ex leghista passato a Fratelli d’Italia, arrivato al ballottaggio con un consenso inferiore a quello dell’avversario Damiano Tommasi, ha rifiutato il sostegno di Flavio Tosi, l’ex potente sindaco di Verona, prima leghista e ora in FI, detentore di un pacchetto di oltre il 23% dei voti. Tosi aveva proposto l’apparentamento che a lui avrebbe portato un buon numero di consiglieri e il posto di vicesindaco e a Sboarina la vittoria.
Del resto a Savona il sindaco uscente di centrodestra, Ilaria Caprioglio, aveva perso il sostegno della sua coalizione, tanto che non si era ripresentata (o era stata invitata a non ripresentarsi) e il sindaco del centrosinistra, comprese le componenti liberaldemocratiche, aveva vinto con Marco Russo al 62,3% dei voti, contro il candidato del centrodestra Angelo Schirru, con il 37,8% dei voti.
Alla Spezia e a Genova il centrodestra, unito, ha vinto. Alla Spezia, per la verità, aveva rischiato di dividersi. Pierluigi Peracchini è riuscito a ottenere il sostegno di Lista Toti, Lega, Fratelli d’Italia, Udc, Forza Italia, Liguria Popolare e liste civiche, pur avendo perso quello dell’ex commissario di Forza Italia Giovanni Grazzini, sceso in campo con una lista civica. «Ho sacrificato il nostro interesse particolare – dichiara a Liguria Business Journal il coordinatore regionale di Forza Italia e sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco – per tenere unito il centrodestra. Da soli avremmo fatto il 4-5% ma deve prevalere la coalizione. E non solo nei giorni prima del voto. La polemica interna, il parlare male degli alleati, non giova di certo».
Secondo Bagnasco le vittorie del centrodestra a Genova e alla Spezia, come in altre città, si spiegano con tre fattori fondamentali: «Un candidato forte e credibile, una coalizione unita e l’apertura al mondo delle liste civiche. Ma non si parli di modello Genova, Bucci ha fatto quello che avevo fatto io già dieci anni fa, ha composto delle liste civiche aprendole a personalità che provenivano da ambienti politico-culturali non del centrodestra. Ma a singole personalità non a partiti. Così avevo fatto io, tra l’altro scegliendo come vicesindaco una personalità vicina a un concetto di centro in parte diverso dal mio».
Un’altra lezione che viene da questa tornata elettorale, secondo Bagnasco, è «basta con i ripescati, chi ha già perso non va riproposto, non ha senso andare contro il parere degli elettori».
Come sottolinea il coordinatore di FI, non sono entrati nella coalizione di Bucci schegge lib-lab ma singole personalità sì. Anche di peso, perché nella lista civica principale di Bucci, Vince Genova, subito dopo dopo i due big, gli assessori uscenti Piero Piciocchi e Matteo Campora, si sono piazzati Paolo Gozzi, ex consigliere Pd, e due esponenti di Italia Viva, Mauro Avvenente e Davide Falteri.
E nell’altra lista facente capo a Bucci, Genova Domani, i primi due sono Lorenzo Pasi che ha contribuito alla nascita del gruppo genovese di Azione di Carlo Calenda, e Federico Barbieri, ex tesoriere di +Europa. Barbieri è entrato nella coalizione di Bucci contro le indicazioni di +Europa. «Come si evince dal sito ufficiale di +Europa – ha precisato Mauro Gradi, unico ligure della direzione nazionale del partito – erano solo due i candidati comunali di +Europa a Genova, entrambi in Genova Civica, la lista d’ispirazione riformista del candidato sindaco Ariel Dello Strologo: Giovanna Basile e Alessio Bonomi che hanno sommato oltre 400 preferenze. Completano il quadro i dodici candidati municipali con tre eletti».
Pur diviso, e senza bandiere proprie, il mondo liberalriformista ha dimostrato di contare. Che cosa avrebbe potuto ottenere se fosse stato unito e magari parte ufficiale di una coalizione compatibile con i suoi principi? La domanda vale per Genova come per il resto d’Italia. Il fatto è che in Italia l’attuale centrodestra non sembra compatibile con il mondo lib-lab, e il Pd, a Genova e in gran parte del paese, ha fatto una scelta diversa, considerando strategica l’alleanza con M5S. A Genova i dem si sono accordati con grilllini e componenti della sinistra radicale e poi hanno invitato gli altri a far eventualmente parte della coalizione.
«Lo abbiamo detto, anche pubblicamente, in tempi non sospetti – commenta Gradi – è stato un gravissimo errore politico abbandonare la linea vincente delle amministrative di ottobre di un centrosinistra con i riformisti e senza i grillini, vedasi, tra le altre, Milano e Savona, per riproporre un’alleanza giallorossa che più che un “campo largo” si è rivelata un campo a perdere, da Genova, alla Spezia, a Palermo. La bassissima partecipazione al voto e il risultato fallimentare del centrosinistra laddove è contaminato dai populisti-giustizialisti, schierati contro i Referendum per una giustizia più giusta e responsabile, sono fattori che ci evidenziano come sia il momento di costruire un terzo polo riformista e garantista di cui il nostro Paese ha tanto bisogno».
Secondo “Genova che osa”, invece, «la più grave sconfitta della sinistra in città» si deve al fatto che «il centrosinistra ha seguito un percorso chiuso tra i leader di partito, senza mettere al centro una visione chiara, alternativa, coerente, coraggiosa della città basata sulla lotta alle disuguaglianze», e quindi «Il percorso sbagliato e chiuso dei partiti ha determinato un candidato, Dello Strologo, per gestire la sconfitta, che non rappresentava un centrosinistra nuovo, né innovativo». Dello Strologo, è «proveniente dalla “Genova bene”: un avvocato con forti legami con le passate esperienze amministrative del centrosinistra e gli apparati di partito».
Il centrosinistra, però ha perso, e di molto, anche nel settembre 2020, con Ferruccio Sansa, giornalista del “Fatto quotidiano” candidato presidente della Regione, preferito a Fausto Aristide Massardo, professore universitario caro ai liberaldemocratici, e alle comunali genovesi del 2017 con il candidato sindaco Gianni Crivello, una figura differente da quelle di Sansa e Dello Strologo. Tre figure molto diverse, tre sconfitte molto pesanti.
Una ripensamento della strategia in casa Pd, anche alla luce della progressiva dissoluzione di M5S, sembrerebbe opportuna, nonostante il successo di questi giorni. Ma anche a destra non possono dormire sonni tranquilli. Tra i fattori della sostanziale sconfitta alle amministrative, oltre a quelli che si potrebbero considerare, fino a un certo punto, contingenti, come le scelte sbagliate dei candidati, può esserci il fatto che parte del suo elettorato tradizionale non si riconosca in uno schieramento a trazione sovranista. La Lega è in calo e divisa – non per nulla Toti, che ai tempi d’oro di Salvini partecipava ai raduni di Pontida oggi è in costante attrito con il Carroccio e propone di «allargare la politica alle forze civiche, costruire classi dirigenti serie, preparate, pragmatiche, refrattarie agli slogan e alle ricette semplicistiche senza inseguire il consenso facile, quello dei social», cioè il contrario del salvinismo – e Fratelli d’Italia può assorbire parte dei voti persi dalla Lega ma avrà difficoltà a conquistare l’elettorato più sensibile ai valori liberali. Valori che Forza Italia non sembra in grado di garantire a nome della coalizione, non fosse altro che per il suo ormai scarso peso elettorale.
A entrambi gli schieramenti servirebbe poter contare su un centro forte, che forse non pochi elettori voterebbero, se sapessero dove votarlo.
Foto in apertura: https://www.pdlecco.it/