Un gruppo di ricercatori dell’Università di Genova ha scoperto un nuovo bersaglio terapeutico per la cura del cancro ovarico. Il team ha identificato una particolare sottopopolazione di cellule NK, caratterizzata dall’espressione del recettore PD-1: si tratta di un “braccio operativo” dell’immunità innata, che potrebbe essere rilevante per la cura dei carcinomi sierosi ad alto grado (HGSC), la forma più aggressiva di tumore ovarico.
I risultati dello studio, coordinato da Emanuela Marcenaro, docente UniGe di istologia ed embriologia umana, sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research. La ricerca è stata possibile grazie al fondamentale sostegno di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, tramite un Investigator Grant 2021 di cui Marcenaro è Principal Investigator.
Il recettore PD-1 è uno dei cosiddetti checkpoint inibitori del sistema immunitario, il bersaglio di diversi tipi di immunoterapie per togliere i “freni” alle nostre difese. PD-1 è il fulcro di uno dei meccanismi più potenti con cui il sistema immunitario può essere inibito nella propria azione contro le cellule tumorali. Inizialmente è stato scoperto e studiato nelle cellule T, un’altra componente chiave dell’immunità, in questo caso acquisita, e delle capacità delle nostre difese di uccidere le cellule tumorali.
L’espressione di PD-1 sulle cellule NK, individuata per la prima volta proprio dal gruppo di ricerca dell’Università di Genova, guidato da Emanuela Marcenaro, indica un ruolo cruciale di questa proteina anche nell’immunosoppressione mediata da questa componente dell’immunità innata.
Nelle pazienti con carcinoma ovarico la sottopopolazione di cellule NK PD-1+ esprime anche NKG2A, un altro checkpoint inibitorio inizialmente identificato sulle cellule NK dal gruppo di ricerca fondato da Alessandro Moretta, già direttore dello stesso Laboratorio di immunologia molecolare. Tale popolazione si è rivelata straordinariamente abbondante nel microambiente tumorale e in particolare nelle metastasi delle pazienti, risultando invece virtualmente assente nei soggetti sani.
Queste cellule hanno un aspetto e un comportamento profondamente alterato e di conseguenza non sono in grado di uccidere efficacemente le cellule tumorali. La loro quantità risulta significativamente aumentata nelle pazienti con forme più avanzate di malattia, mostrando una chiara correlazione tra la loro concentrazione e la gravità clinica del tumore. Si tratta quindi di nuovi possibili bersagli terapeutici, nonché di promettenti biomarcatori prognostici, in grado di fornire indicazioni preziose sul decorso della patologia e sulla potenziale risposta alle terapie.
Lo studio è stato condotto dal gruppo di ricercatrici e ricercatori del Laboratorio di immunologia molecolare – Dipartimento di medicina sperimentale – Dimes dell’Università di Genova, in collaborazione con diversi ricercatori di prestigio internazionale, e inoltre con il contributo scientifico di Silvia Pesce, docente UniGe di istologia ed embriologia umana, e Marco Greppi, docente a contratto presso lo stesso Dipartimento di medicina sperimentale – Dimes e vincitore di una borsa di ricerca post-dottorato della Fondazione Umberto Veronesi.
I ricercatori hanno inoltre effettuato un’approfondita analisi integrata, con tecniche di citometria a flusso multiparametrica, RNA-sequencing, immunoistochimica multiplex e saggi funzionali. Hanno così identificato specifiche nicchie di immunosoppressione nel tessuto tumorale. In tali nicchie coesistono cellule NK infiltranti, che esprimono simultaneamente i checkpoint PD-1 e NKG2A, e cellule tumorali sulla cui superficie si trovano le molecole PD-L1 e HLA-E. Queste ultime sono in grado di legarsi in maniera specifica ai due checkpoint. Ciò suggerisce l’esistenza di un raffinato meccanismo con cui il tumore riesce a sfuggire al sistema immunitario. Tale meccanismo è spazialmente organizzato e permette alle cellule tumorali di inattivare selettivamente l’attività delle cellule NK che sono riuscite a penetrare nel tessuto tumorale. Il cancro limita così l’efficacia delle risposte immunitarie innate.
Di particolare rilievo è il fatto che lo stato disfunzionale delle cellule NK è reversibile grazie all’impiego combinato di inibitori dei checkpoint immunitari, in particolare PD-1 e NKG2A.
I risultati ottenuti aprono la strada a strategie terapeutiche innovative, in grado di riattivare l’attività citotossica delle cellule NK anche nei contesti tumorali più avanzati. Si tratta di una base solida per lo sviluppo di nuove immunoterapie mirate alle cellule NK e pensate per agire in sinergia con gli approcci basati sulle cellule T attualmente in uso. La prospettiva terapeutica è particolarmente promettente per i tumori solidi resistenti, come l’HGSC, in cui l’elusione delle difese immunitarie è ancora oggi una delle sfide cliniche più rilevanti.
I dati raccolti segnano un progresso significativo nella comprensione dei meccanismi di immunosoppressione nei tumori ovarici e nella definizione di nuove strategie per contrastare efficacemente la progressione di questa malattia.



























