Ex Ilva, il ministro Adolfo Urso a Genova ha registrato unità di intenti sul mantenere a Genova la siderurgia e il forno elettrico. È quanto è emerso dall’incontro tra le principali istituzioni cittadine, associazioni datoriali e sindacati con il ministro delle Imprese e del made in Italy. Ora però la palla spetta agli investitori, anche se sul campo ci sono anche risorse pubbliche.
«Il forno elettrico a Genova − spiega Urso al termine dell’incontro − è un’opportunità che può essere data agli investitori a fronte del fatto e della consapevolezza che a Taranto sono previsti al massimo tre forni elettrici per una capacità comunque complessiva certificata dal rilascio dell’Aia, dell’autorizzazione integrale ambientale che non può superare i 6 milioni di tonnellate, molto dipenderà dalla localizzazione dei Dri».
Secondo le prime stime servirebbero 1 miliardo e 300 milioni per realizzare l’opera.
Il problema degli impianti di Dri
Il problema vero è dove localizzare gli impianti di Dri (Direct Reduced Iron, ossia il preridotto o semilavorato: un modo alternativo di purificazione dei minerali ferrosi che richiede delle temperature inferiori, un consumo energetico minore e degli impianti di dimensioni più ridotte) che producono la materia prima che serve ad alimentare i forni elettrici per realizzare quell’acciaio di qualità che oggi in Italia forniscono solo gli impianti dell’ex Ilva. Si tratta di materiale necessario per produrre l’acciaio che serve a chi realizza l’industria conserviera, l’acciaio per l’auto, per gli elettrodomestici, per le rotaie dell’alta velocità, l’acciaio per i tubifici, l’acciaio per l’industria di difesa e dello spazio. Come ha spiegato il ministro deve essere un acciaio pulito che si realizza attraverso i forni a caldo oppure si può realizzare attraverso i forni elettrici, ma solo se alimentati con questa materia prima chiamata preridotto. «Perché se fossero alimentati come accade nei 34 forni elettrici che oggi sono in produzione in 29 località italiane, alcune ad alta densità abitative, dal rottame ferroso, non sarebbe un acciaio utile per l’industria. Quindi devono essere alimentati col preridotto. Noi abbiamo ipotizzato che il polo del preridotto sia localizzato a Taranto sia perché vicino ai forni elettrici sia perché assorbirebbe gran parte dell’occupazione che non potrebbe essere assorbita dagli stabilimenti siderurgici. In caso Taranto non desse l’autorizzazione all’approdo di una nave rigassificatrice fondamentale per realizzare il polo del preridotto, dovremo trarne le conseguenze e realizzarlo altrove». Gioia Tauro potrebbe essere un’alternativa.
Ex Ilva, chi ci mette i soldi?
Il governo ha destinato all’ex Ilva 750 milioni di euro, pari alla cifra che Mittal non ha mai realizzato per tutto il complesso. Urso puntualizza: «Ove gli investitori avessero progetti più significativi è sempre possibile utilizzare ulteriori risorse attraverso i contratti di sviluppo di Invitalia nel rispetto delle regole europee, perché la densità degli incentivi cambia se l’investimento è fatto a Genova o a Taranto e le regole europee limitano ovviamente la partecipazione dell’investimento pubblico, del supporto pubblico a un investimento privato. Siamo disponibili a fare la nostra parte a fronte di un investimento privato particolarmente sfidante. Al momento la dote, che era quella richiesta da Mittal per i progetti che non hanno realizzato, è di 750 milioni. Diversa è la questione che riguarda il Dri, realizzato da una società 100% Invitalia, che in questo momento ha in dotazione un miliardo di euro del Fondo di coesione nazionale, quindi destinato al Mezzogiorno. Per questo i Dri comunque devono essere fatti nel Mezzogiorno, a parte il fatto che dal punto di vista tecnico non è possibile realizzarlo a Genova perché interferirebbe con gli aerei che devono atterrare nell’aeroporto. Comunque le risorse sono destinate al Sud».
Tutto dipenderà comunque dai piani industriali dei soggetti che presenteranno le offerte, perché, suggerisce Urso, ci può anche essere un’offerta che prescinde dalla realizzazione del Dri: «Possono esserci soggetti che ritengono di avere il loro preridotto realizzato all’estero o parzialmente realizzato all’estero. Quindi noi sulla base delle richieste degli investitori programmeremo la realizzazione degli impianti Dri a partire dal miliardo di euro che ha già in dotazione la società Dri Italia. Se servissero altre risorse perché pensano di realizzare più Dri, in quel caso il nostro impegno è utilizzare le risorse del nuovo piano settennale per il Fondo di coesione nazionale che è il 2028-2035».
Il cosiddetto “spezzatino”, rifiutato dai sindacati, non è nei piani principali del governo: «Le proroghe che abbiamo fatto prevedono in via preferenziale il mantenimento dell’unità degli stabilimenti dell’Ex Ilva o in via subordinata di valutare se eventuali proposte diverse che possono riguardare l’una l’area di Taranto e l’altra l’area del Nord, ma non lo spezzatino. Prevede in via subordinata di esaminare due proposte compatibili tra loro, l’una per l’area Sud e l’altra per l’area Nord, se le due proposte nel complesso, siano sia per quanto riguarda la produzione sia per quanto riguarda soprattutto l’occupazione, migliorative rispetto all’unica proposta».
Ex Ilva, tempistiche per il nuovo forno
Il termine per presentare le manifestazioni di interesse è il 15 settembre. «Solo dopo − dice Urso − sapremo se c’è qualche investitore che intende produrre più di 6 milioni di tonnellate o se ci sono possibilità per investitori che condividono gli stabilimenti, nel senso che c’è comunque la possibilità, ove fosse più alta la produzione e più alta il livello occupazionale, anche eventualmente di far coesistere due investimenti, uno per l’area Nord e uno per l’area di Taranto, ove nel complesso fossero migliori di un’unica attività produttiva che noi comunque preferiremmo».
Tempi che per il ministro sono sfidanti per operazioni di questo tipo. «Oggi Genova mi ha detto in maniera compiuta, unitaria, responsabile, che nel caso ci fosse l’opportunità del forno elettrico, la accoglierà, con gli impianti collaterali. Anche perché questo aumenta notevolmente l’occupazione. Io chiederò nelle prossime ore a Taranto di dare anch’esso una risposta chiara: se intende o meno far approdare la nave rigassificatrice affinché possa nascere a il polo del preridotto necessario per tutti gli stabilimenti dell’Ilva e quindi anche per Genova. Dove non ci fosse questa risposta positiva devo valutare le alternative e l’alternativa verosimilmente sarà proprio Gioia Tauro dove già il governo regionale e i Comuni hanno manifestato il loro interesse e il loro consenso e incontrerò loro giovedì prossimo. A quel punto, dopo le manifestazioni di interesse avremo le prospettive industriali, i commissari cominceranno il lavoro di negoziato con i vari attori per migliorare le proposte, per poter capire esattamente di cosa abbiano bisogno, quale potrebbe essere l’impegno dello Stato nei singoli casi. Prevedo, ma è una previsione, che questa seconda fase si possa concludere entro fine novembre, poi inizia una terza fase che è quella del procedure per l’antitrust europeo e delle procedure per l’esercizio della golden power nazionale affinché l’investimento, come facciamo ormai, da quando questo governo si è insediato sia anche garantito dall’esercizio della golden power che è molto stringente sia sul piano produttivo, sia sul piano della transizione ambientale, sia su quello occupazionale. Queste procedure impiegheranno almeno tre mesi, quindi verosimilmente se tutto andrà come speriamo, ma dipende molto dalle scelte del Comune di Taranto, si potranno assegnare gli impianti ai nuovi investitori privati nella prima parte del prossimo anno».
A quel punto si potrà passare alla fase degli accordi di programma con gli investitori o l’investitore e gli enti locali, che sarà fatto anche con un confronto con le organizzazioni sindacali. L’accordo di programma poi stabilirà attraverso le sue misure tutto quello che è necessario sapere e conoscere perché i piani industriali vengano realizzati.
Bucci: si libererebbero 300 mila mq di aree
«C’è un sostanziale consenso nell’andare avanti con la disponibilità di Genova per un impianto di forno elettrico e treno a coils − dice il presidente della Regione Liguria Marco Bucci − per poter arrivare al materiale pronto per far produrre la latta e lo zincato. Questo sarebbe un investimento di circa 1 miliardo e 300 milioni che viene a Genova e porta ovviamente un numero di posti di lavoro in aumento. Adesso è presto per indicare quanti, però parliamo di centinaia. Inoltre con questo impianto si libererebbero 300 mila metri quadri delle aree che potrebbero essere utilizzate ovviamente per altre attività industriali. C’è un sostanziale consenso su questo e questo a me personalmente fa molto piacere perché Genova vuol dire che punta a essere ancora uno dei player principali per quanto riguarda l’industrializzazione e soprattutto anche per quanto riguarda l’acciaio. Oltre a tutte le altre cose che facciamo sia per la blue economy che per l’alta tecnologia ma questo è ovviamente un altro argomento».
Salis: «La paura più grande è che questa gara vada deserta»
«Il discorso è un po’ più ampio − analizza la sindaca di Genova Silvia Salis − perché c’è una grande crisi dell’acciaio in Europa, arriva da Cina, India, acciaio a bassissimo prezzo. Questa è un’ultima crisi di un mercato che è già molto in difficoltà. È un errore perdere la filiera dell’acciaio in Italia, un grande errore, ma non solo per la ricaduta occupazionale. Un Paese che perde industria è un paese che perde potere e posizionamento internazionale. Abbiamo approfondito il tema di ricaduta ambientale, ci sono 34 forni elettrici in 26 città d’Italia, alcuni anche molto vicini, come in questo caso, a luoghi densamente popolati. Questa è una riflessione che abbiamo fatto, ma che ci ha portato comunque a rendere disponibile il sito per eventuali approfondimenti. La paura più grande è che questa gara vada deserta, che non ci sia un interesse per Genova. E questa è la cosa che veramente ci preoccupa. Per cui credo che in generale questa sia una soluzione che debba essere vista sia su scala locale, ma anche e soprattutto su scala nazionale».
In merito alla posizione dei comitati contrari al forno elettrico, Salis risponde: «Capisco la loro rabbia per quello che è successo nei decenni a Cornigliano, per quello che Cornigliano ha pagato. Però sono passati anni. Abbiamo delle rassicurazioni dal punto di vista di ricaduta ambientale della tecnologia con delle basi scientifiche molto solide. Ed è ovvio che io, come istituzione, devo accettare il dissenso, ma loro sono venuti dicendomi “noi ci dobbiamo preoccupare delle ricadute sociali e ambientali e non di quelle industriali e occupazionali”. Io ho detto, capisco il vostro punto, però capite anche il mio, io mi devo occupare di entrambe».