In Liguria appena tre imprese individuali su 5 sopravvivono a cinque anni dalla nascita. Sulle 6.606 imprese avviate nel 2014, ben il 38,5% hanno chiuso nei primi cinque anni di attività (dati Unioncamere-InfoCamere). Un valore di un punto percentuale superiore alla media nazionale: sulle 235.985 imprese individuali nate nel 2014 in Italia, il 37,4% ha chiuso i battenti troppo presto (addirittura una chiusura su 2 avviene nei primi due anni di vita): 88.184 sono cessate entro il 30 giugno 2018 e, di queste, 48.377 entro il 2015. Ma sono molte le iniziative imprenditoriali che non superano il primo anno di età, solo nel 2014 sono nate e morte 20.538 imprese.
Forse ancora più preoccupante è il dato sulle riaperture, che di certo non riesce a compensare l’emorragia nei primi anni di vita imprenditoriale: in Liguria appena il 4,5% delle ditte individuali che non ce l’hanno fatta si rimette in gioco rialzando le saracinesche (solo 114). Un tasso di riapertura, quello ligure, di quasi un punto inferiore rispetto al trend nazionale (5,2%).
A livello nazionale, la selezione “darwiniana” risulta più cruenta nei settori del turismo (il 43,5% chiude entro il primo lustro), dei servizi alla persona (40,1%) e dell’assicurazione e credito (39,6%).
Le più resilienti appaiono le imprese individuali lucane (30,5% non supera il primo quinquennio), seguite dalle sarde (30,7%) e dalle trentine (31,3%). Le perdite più forti, invece, tra i titolari dell’Emilia Romagna (40%), Toscana (39,9%) e Piemonte (39,5%). Al Sud e nelle Isole si registra in media una percentuale inferiore di chiusure, forse perché qui più che altrove la via dell’impresa e del lavoro autonomo rappresenta spesso la sola prospettiva di sbocco occupazionale e di reddito a cui ci si aggrappa nonostante le difficoltà. Nel Mezzogiorno chi chiude quasi mai si rimette in proprio. Viceversa nelle regioni del Centro-Nord emerge una maggiore propensione a ritentare la carta dell’imprenditorialità, i più audaci sono i titolari della Valle D’Aosta (9,8%), Lombardia (8,2%) e Veneto (7,1%).
Dall’analisi delle business community straniere la mortalità più elevata si registra tra le imprese con un titolare cinese (il 47,7% ha chiuso l’attività entro i primi cinque anni). Seguono le realtà a guida indiana (44,1%) e rumena (42,3%). Ma se sono in molti a scoraggiarsi e a rinunciare al sogno di mettersi in proprio, ancora una volta i titolari cinesi si smarcano dagli altri rimettendosi in gioco nel 15% dei casi (contro il 5% delle media). Più audaci di loro sono solo i pakistani che oltre a essere tra i più resistenti (29,5% chiudono i battenti entro cinque anni contro la media di 37,4%) sono anche i più disposti a mettersi nuovamente alla prova (il 18,8% riapre i battenti).