Il primo capitolo di “Tempi moderni” di Fabrizio Galluzzi (De Ferrari) si intitola “Riflessioni di un liberal conservatore che rimane progressista”. Titolo che non è né paradossale né contradditorio. Perché il conservatore non è passatista e reazionario, e del resto il concetto di progresso indica un moto: in avanti, sì, ma verso che cosa ? Il conservatore, prima di muoversi, lo vuole sapere.
Ma non accetta a priori lo status quo: “Bisogna prendere definitivamente coscienza – si legge a pag. 81 – che se questa impostazione dirigista e assistenzialista non cambia (…) là fuori c’è un’enorme quantità di gente che ormai in contatto con il mondo globalizzato e a conoscenza delle opportunità che vengono loro offerte, prontissima a prendere il posto che per anni è stato dei paesi come il nostro, oggi in fase di lento è inarrestabile declino”.
Per avere un’idea dei ceppi ideologici e politici che secondo l’autore bloccano la crescita del paese basta leggere i titoli dei primi capitoli riportati nell’indice: 1) Una repubblica fondata sul lavoro, 2) Esondazioni di denaro, 3) L’eccesso di regolazione genera mostri, 4) Una crisi inarrestabile, 5) Lavorare stanca, 6) Lavorare è dignità, sempre, 7) Così è se vi pare, 8) Un generoso welfare, 9) A velocità sostenuta, 10) La Piaga funesta del PC (politicamente corretto, ndr), 11) Deciderà l*i, 12) Moriremo di diritti, 13) L’Italia vista da lontano, 14) Italiano, lingua universale, 15) Quale destra?.
A pag 87 Galluzzi a proposito della destra si riferisce a un’ambiguità strutturale, “fondativa della sua base ideologica”. “Il percorso della destra, non solo in Italia, è stato impregnato da un nazionalismo costantemente riaffermato, sul quale dunque non esiste ambiguità, e da uno statalismo socialisteggiante che non mi piace per niente”. È un’osservazione illuminante, che fornisce una chiave per capire la genesi dell’Italia come stato-nazione. E in proposito sarebbe importante approfondire – ci ripromettiamo di farlo alla prima occasione – una considerazione espressa da Franco Cardini in un saggio contenuto nel libro di Giovanni Raboni “I grandi scrittori? Tutti di destra”, edito da Delle Piante (vedi qui ): “Il fatto è che la ‘cultura di destra’ resta una galassia dai contorni indefiniti e sovente contraddittori anche perché, almeno dal 1848, una parte della destra recepì e fagocitò il concetto di “nazione”, sorto originariamente durante la Rivoluzione francese come concetto – al contrario! – esplosivamente di sinistra, contrapposto al trono e all’altare”.
C’è poco posto nella tradizione della destra italiana per il pensiero e la prassi liberale: pochi giganti, Cavour, Giolitti, Einaudi, don Sturzo, e alcuni studiosi, in un paese che, sostanzialmente, destra ed sinistra, ha le sue radici ideologiche nella rivoluzione francese e nel pensiero di Giuseppe Mazzini, con le sue sue funeste elucubrazioni sulle nazioni che coincidono con stati unitari e popoli animati da una religione laica della patria che sostituisce la fede religiosa.