Józef Czapski nella “Terra inumana” (Adelphi) racconta tre anni di vita nell’Unione sovietica, dal 1939 al 1942. Ventitré mesi di prigionia come ufficiale polacco catturato con l’invasione sovietica della Polonia e un anno da uomo libero, ufficiale del ricostituito esercito polacco, incaricato di recuperare gli altri prigionieri suoi connazionali o almeno di ricostruirne la sorte. I militari polacchi erano stati imprigionati quando combattevano contro l’invasione nazista del loro paese. Il 1° settembre 1939 la Wehrmacht invase la Polonia. L’Armata Rossa varcò il confine con la Polonia solo due settimane più tardi, il 17 settembre. Grazie a questo ingresso ritardato la propaganda sovietica riuscì a presentare l’Unione Sovietica come una potenza di pace. Ma Hitler e Stalin con il trattato di non aggressione tedesco-sovietico del 23-24 agosto 1939 si erano alleati. La vicenda è ricostruita con chiarezza nel “Patto-Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale” di Claudia Weber, pubblicato da Einaudi. (Vedi qui ).
Al centro dell’accordo, spiega Claudia Weber, si trovava il Protocollo aggiuntivo segreto, di cui Ribbentrop, Molotov e Stalin negoziarono i contenuti nell’agosto a Mosca e di cui Mosca negò sempre l’esistenza fino al dicembre 1992 quando Gorbaciov consentì la consultazione dell’originale russo conservato negli archivi del Cremlino il quale documentava un accordo che avrebbe scosso dalle fondamenta il mito dell’antifascismo comunista. Il protocollo aggiuntivo attestava che Stalin non accondiscese al patto solo per differire l’attacco di Hitler e la guerra all’Unione Sovietica. Entrambi i dittatori condividevano la volontà di espansione politico-ideologica. Il protocollo definiva le “sfere di interesse” di entrambi o meglio i confini dell’Europa orientale. Nel caso di una “riorganizzazione politico-territoriale” della Polonia il confine sarebbe stato la linea dei fiumi Narew, Vistola e San.
La storica precisa che «Fin dall’inizio la repressione della resistenza polacca fu attuata con azioni militari e atti di violenza coordinati degli occupanti tedeschi e sovietici».
Quando, nel 1941, i nazisti invasero l’Urss, i prigionieri polacchi, furono liberati (“amnistiati”, secondo il linguaggio sovietico) per costituire l’armata polacca, alleata dei sovietici contro la Germania. Furono liberati i sopravvissuti, perché già nel 1940 molte migliaia erano state eliminate dall’NKVD di Berija e altre migliaia morirono nei campi di prigionia o furono deliberatamente uccisi in esecuzioni di massa. Fino al 1941. Il libro di Czapski è frutto degli appunti presi a caldo in quei due anni di ricerche dei sopravvissuti e di ricordi aggiunti in seguito. Il suo lavoro smonta il negazionismo sovietico delle fosse comuni a Katyn ma è anche una delle prime e più autorevoli testimonianze sull’universo concentrazionario sovietico e ci fa capire che Katyn fu solo una parte dello sterminio pianificato da Stalin della classe dirigente polacca e interrotto soltanto dalla scoppio della guerra tra nazisti e sovietici.
Questi fatti ormai sono noti. Ma non tolgono interesse al libro di Czapski. Illuminante, anche a questo proposito, è il saggio di Andrea Ceccherelli, “Servire la verità” – Un profilo di Józef Czapski, inserito dopo il testo della Terra inumana nell’edizione di Adelphi. Ceccherellli ricostruisce la biografia e il profilo intellettuale dell’autore, e scrive: “Si noterà che Czapski, quando si riferisce ad azioni o sentimenti negativi, non parla mai di ‘russi’ ma di ‘sovetici’: una scelta lessicale che distingue la Terra inumana dalle testimonianze sui lager nazisti, dove generalmente l’espressione del risentimento chiama in causa i ‘tedeschi’. Si tratta di una scelta intenzionale, ricca di significato (…) Czapski distingue fra chi detiene il potere e il popolo che lo subisce verso il quale ha un atteggiamento privo di pregiudizi e pieno di compassione”. “La resistenza all’annientamento, nella ‘terra inumana’ – scrive ancora Ceccarelli – è affidata ai valori della tradizione europea: la ricerca del vero, a fronte della menzogna che ne ha preso il nome; il bello che irrompe all’improvviso in mezzo al grigiore e alla lordura (…) Tutto il libro è come un quadro di Caravaggio: sfondo cupo e luminosi sprazzi di umanità (…) è fondamentalmente un libro di incontri, con esseri umani che resistono o che soccombono”.