Una “lettera aperta”, indirizzata alle autorità, agli autori della casa editrice e in particolare al pubblico dei lettori: è questo lo strumento di cui Stefano Termanini Editore si è servito per intervenire nel dibattito su Genova Capitale italiana del libro 2023.
Le definizioni, prima di tutto. Scrive Stefano Termanini nella sua “lettera”, pubblicata per intero sul sito della casa editrice e su Linkedin e ripresa sulla pagina Facebook della casa editrice, che il “mestiere” dell’editore non è come tutti gli altri; è “una passione quasi viziosa”, una “perseveranza che è ostinazione”. L’editoria può essere un’industria e certo lo è in molti, moltissimi casi. Più spesso, però, è un’industria artigiana o un artigianato industriale. In editoria, a differenza che in altre attività, non è mai detto che, chi è più grande, meglio fa. Sono, infatti, molto spesso le piccole e medie case editrici a scoprire e far crescere i nuovi talenti. Nei suoi “caratteri originari e migliori”, scrive Stefano Termanini – l’editoria si esprime “proprio in quel connubio fra chi scrive e chi legge e nella cura di una relazione che non può essere, se non personale”.
La “lettera aperta” di Termanini passa in rassegna gli autori e i libri pubblicati nel corso di un’attività durata quasi vent’anni.
A chi si chiede perché a Genova non vi siano case editrici della dimensione di Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, Laterza, Stefano Termanini risponde, nella sua lettera aperta, con il carattere della città e dei suoi abitanti (“va pur bene che quell’industria di cui si parla sia difficile da governare, ma non ci si tolga almeno il nostro carattere e la nostra personalità e la nostra tradizione e la nostra sigla e la coerenza a cui questa e quella ci legano”), ma soprattutto con l’assetto economico della città. Negli anni in cui, in altre città d’Italia, si sviluppava una grande industria privata a cui l’editoria infine si legava, per crescere con quella, Genova era la capitale delle partecipazioni statali. Il clima era diverso. Ottimo per il fiorire di alcune professionalità, ma lontano dalle condizioni che in altre realtà d’Italia hanno favorito la crescita dei marchi editoriali maggiori.
Termanini fa alcune proposte per Genova Capitale del libro 2023 e chiama a uno scambio di idee, a una riflessione ampia e cittadina: vorrei, scrive, “che di libri si potesse parlare mattina e sera, in ogni luogo della città”. Dare maggiore evidenza al lavoro del libro è il primo obiettivo, che passa da un “programma per ridare dignità e valore alla cultura e alla lettura” e per “reinsegnare la misura del tempo che occorre alla lettura”. Dall’esperienza del suo ruolo di Capitale italiana del libro 2023, Genova, città di pensiero e di storie, dovrebbe ricavare un’eredità permanente. Scrive Termanini: “un’eredità che fosse diffusa e […] per tutti”: vetrine per i libri, piazze del libro, “a cui le persone – tutte le persone – possano avvicinarsi, senza reverenza e senza timore”. Certo, l’editoria è un settore in difficoltà, e occorrono “più risorse per chi fa libri, per chi li legge, per chi li vende”. Visto che sono bellezza e cultura ad aggiungere valore a ogni attività e prodotto del nostro Paese, l’anno di Genova Capitale Italiana del Libro, conclude Termanini nella sua “lettera aperta”, potrebbe promuovere lo studio di una proposta di legge perché “le spese in libri siano detraibili”.