“La scommessa di Putin” di Sergio Romano (Longanesi) intende mettere a fuoco, come annuncia il sottotitolo, “I motivi di un conflitto nel cuore dell’Europa”, in una ottantina di pagine. Secondo l’autore i motivi risiedono nella personalità di Putin, nell’esito della fine della guerra fredda, nella ricerca della Russia, dopo la fine del comunismo, di uno status e di una missione internazionale, nell’atteggiamento degli Usa e dell’Europa sullo scenario internazionale. (Sull’argomento vedi anche qui )
Per quanto riguarda Putin, scrive Romano, «conoscevamo le sue ambizioni di restauratore dello stato russo, ma lo credevamo sufficientemente politico per attendere un’occasione in cui la Russia avrebbe potuto perseguire i suoi obiettivi senza creare una crisi europea. Vi sono circostanze, tuttavia, in cui la politica deve farsi da parte per lasciare spazio alla psicologia … Vi è (nel comportamento di Putin, ndr) qualcosa di caratteriale che non avevamo sufficientemente valutato. Non è stato costretto a fare la guerra. Come vedremo, aspettava l’occasione che gli avrebbe permesso di farla».
Putin, secondo l’autore, non ha mai cercato una soluzione politica dei rapporti con l’Ucraina, vuole una conquista, una guerra vinta – «la guerra come strumento per la conquista del potere appartiene alla sua cultura e alla sua formazione» – che gli darebbe la forza per combattere gli altri nemici, in sostanza il liberalismo e la democrazia. I suoi obiettivi sono la restaurazione della potenza russa in Europa e nel mondo e la costruzione di un Paese libero dalle licenze del costume occidentale.
Romano sostiene che «se gli Stati Uniti, con i loro alleati, avessero trasformato la Nato in una organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intera area euro-atlantica e avessero offerto a Mosca una decorosa partecipazione, la Russia di Putin sarebbe stata un partner affidabile. Ma gli Stati Uniti credettero di potersi comportare da vincitori, conservarono alla Nato le sue originali funzioni e permisero agli ex satelliti dell’Urss … di farne parte e di cogliere l’occasione per saldare qualche conto con gli eredi dell’Urss … Non è sorprendente che la Russia, in queste circostanze abbia considerato quei Paesi come suoi potenziali nemici».
Non sappiamo come si sarebbe comportato Putin se con la fine della guerra fredda gli Usa e i Paesi dell’Europa occidentale avessero avuto nei confronti della Russia un atteggiamento più inclusivo, un personaggio come quello descritto da Romano, però, non sembra l’ideale come “partner affidabile”.
Gli Usa, secondo lo studioso, con la morte del comunismo sono rimasti privi della loro originale missione di custodi della democrazia e della libertà nel mondo, e del resto è la stessa società americana che si è stancata di esercitare questo ruolo e tende a ripiegarsi su se stessa. Un processo che offrirebbe all’Europa «l’occasione per assumere nuove responsabilità internazionali e fare altri passi verso la sua unità».
La prima responsabilità sarebbe quella di risolvere la crisi ucraina. E le condizioni per ottenere un trattato di pace sarebbero «alcune concessioni reciproche e un progetto comune per il futuro». Tra le concessioni dovrebbe esserci la neutralità dell’Ucraina. E se questo accadrà il merito, secondo Romano, non sarà né della Russia né degli Stati Uniti ma probabilmente dell’Unione europea e forse del Vaticano.
Gli ultimi avvenimenti, però, non sembrano confermare questa prospettiva: un progetto comune per il futuro, dopo quella che è successo, appare improbabile. Gli Usa, d’altra parte, sul teatro di guerra russo-ucraino non sono affatto assenti, non «stanno a guardare» come scrive Romano e anzi, insieme alla Gran Bretagna, che dall’Unione europea è uscita, con le loro forniture di armi all’Ucraina esercitano un ruolo decisivo: probabilmente ritengono che la loro reazione al conflitto scatenato da Putin venga considerato nel mondo un test indicativo per altre questioni: per esempio, quella di Taiwan. È indubbio, comunque, che per noi europei, come scrive l’ex diplomatico, «la nostra capacità di promuovere la nostra visione e di difendere i nostri interessi è messa alla prova».
Una prova impegnativa e per la quale a breve termine non siamo preparati se, come ha affermato Mario Moretti Polegato alla edizione del World EconomicForum di Davos appena conclusa, «oggi l’ 80% della capacità militare europea è garantita dagli Stati Uniti».