Il libro di Pinocchio ha subito dalla critica le interpretazioni più disparate, massonico-esoteriche, esoteriche e basta, senza massoneria, teologiche, filosofiche, antropologiche, pedagogiche, storiche, psicologiche. È il destino delle grandi opere, e il racconto (o romanzo, o fiaba?) di Collodi, sotto la vivacità e la freschezza del linguaggio e il divertimento dell’autore e del lettore contiene la ricchezza, la complessità e la pluralità di significati dei capolavori della letteratura. Il libro di Giorgio Agamben “Pinocchio” (Einaudi), elimina le interpretazioni esoteriche delle avventure del burattino e però le riformula, dalla morte alla rinascita, l’incontro col Gatto e la Volpe, la vita nel Paese dei Balocchi la metamorfosi in asino, l’inghiottimento nel ventre del pesce-cane, la trasformazione in bambino, il rapporto con la fata dai capelli turchini.
L’errore della lettura esoterica – esemplare quella di Elémire Zolla (“Uscite dal mondo” (Adelphi) – secondo Agamben «non è nei concetti che suggerisce all’interprete … consiste piuttosto nel considerare l’iniziazione come una dottrina segreta, che viene rivelata ad alcuni – gli iniziati – e nascosta ai profani. L’esoterismo è accettabile, solo se si comprende che esoterico è il quotidiano e il quotidiano esoterico. Collodi inventa poeticamente, non applica dottrine massoniche che gli sono state trasmesse da improbabili iniziati». E «Se simboli e archetipi incessantemente ritornano, se non fanno che vestire ogni volta nuove figure, ciò non è per via di dottrine: è l’immaginazione che vive in essi e per essi, e può evocarli a suo piacimento tanto in un libro sacro – la Bibbia – che in una dimessa favola per bambini. Come l’illuminazione profana, l’immaginazione non conosce gerarchie e ignora candidamente ogni distinzione fra il sacro e il profano, che non fa che rimestare e confondere. E così faremo anche noi, con licenza dei superiori principi».
Il “rimestare” di Agamben ci regala una lettura affascinante, ricchissima di riferimenti, che innervano la trama dell’opera e vengono poi condensati negli “Appunti bibliografici”, da prendere come guida per una nostra rilettura del racconto di Collodi. Coglie nel segno l’interpretazione dello studioso? La ricchezza della storia del burattino rende problematica una interpretazione esaustiva. E, a nostro avviso, sono discutibili alcune singole interpretazioni (come anche alcune di Manganelli con cui Agamben costantemente si confronta) ma è convincente la visione complessiva, e la constatazione che «simboli e archetipi costantemente ritornano» perché «è l’immaginazione che vive in essi e per essi».
Collodi, in effetti, non era massone. Lo ha accertato, sulla scia degli studi condotti da Ornella Catellani Pollidori, Daniela Marcheschi, curatrice dell’edizione critica delle opere collodiane presentate nella collana ”Meridiani” di Mondadori. Perché ha scritto il libro Pinocchio? Non certo per rivelarci delle verità esoteriche, probabilmente per guadagnarsi da vivere e a causa delle insistenze di G. Biagi, suo vecchio amico. E, scrivendo per i bambini, ha voluto trasmettere un messaggio pedagogico, che inevitabilmente discende da una visione politica – ideologica dell’Italia di allora.
Su questa visione si sono scatenate le interpretazioni e e le polemiche: Collodi era ancora mazziniano quando ha scritto il suo Pinocchio? O, disilluso dall’Italia nata dal Risorgimento (a cui aveva partecipato combattendo), riflette nel suo racconto un avvicinamento alla morale e alla teologia cattolica, appresa a suo tempo dalla madre, con cui era era tornato a vivere e dalle scuole religiose in cui era stato educato?
Il tema dell’impianto ideologico del racconto è stato molto dibattuto, e in particolare la contrapposizione tra Mazzini e la Chiesa come fonti ispiratrici di Collodi a suo tempo ha dato origine a una garbata polemica tra Giovanni Spadolini e il cardinale Giacomo Biffi. In realtà Collodi per quanto deluso dell’esito risorgimentale esprimeva e raccomandava le idealità nazionali di lavoro, di operosità, di sacrificio ritenute necessarie alla vita dell’Italia appena nata. Proponeva una pedagogia del lavoro e della famiglia, il rifiuto dell’illusione dei facili arricchimenti e dell’ozio. Chi non segue questi insegnamenti finisce in carcere o in ospedale, o si trasforma in asino e muore di stenti. La vita che deve affrontare il bambino dell’Italia descritta dallo scrittore toscano è dura. Il racconto si conclude con Pinocchio divenuto ragazzino che guarda le sue spoglie burattinesche «con grandissima compiacenza» ed esclama: «Come ora son contento di essere diventato un ragazzino perbene!» Obiettivo pedagogico raggiunto che è dispiaciuto e dispiace a molti – come assai poco amati sono la fata dai capelli turchini e il grillo parlante – ma che era quello di Collodi. Una pedagogia assai vicina a quella di Edmondo De Amicis e, vista da oggi, non così lontana da quella cattolica di allora. Pinocchio e Il Cuore non contengono nessuna allusione alla dottrina e al magistero della Chiesa, aspetto rilevante non tanto nel primo che è una fiaba ma nel secondo, che ci presenta lo svolgimento dell’anno scolastico senza accenni alle festività religiose. E l’interpretazione teologica proposta dal cardinale Biffi convince poco, la creazione di Pinocchio sembra una bonaria parodia di quella dell’uomo contenuta nella Bibbia più che una sua riproposizione. La pedagogia del lavoro, del dovere e della famiglia, però, era comune tanto ai cattolici quanto ai mazziniani, e Pinocchio e Il Cuore sono entrati nelle famiglie di tutti gli italiani.
Una pedagogia che, in Pinocchio, per fortuna si fonde in un incantevole apparato fiabesco, animato dai simboli e dagli archetipi indicati da Agamben.
(Le illustrazioni sono tratte dal libro di Agamben)