Una lettera aperta da parte degli enti gestori dei servizi sociosanitari alla cittadinanza, ma anche alla Regione Liguria perché il Covid non solo sta mettendo in ginocchio le strutture dal punto di vista economico, ma anche del personale (sono circa novemila tra medici, infermieri, educatori, fisoterapisti, animatori, operatori socio sanitari, personale dei servizi di refezione e dei servizi ausiliari). Lo stato dell’arte delle strutture residenziali e semiresidenziali liguri (Rsa, comunità, centri di riabilitazione, centri diurni, ambulatori) è preoccupante. Nonostante tutto però saranno 15 mila gli utenti che trascorreranno le festività natalizie al loro interno e a cui i gestori non faranno mancare conforto, assicurano.
Il ristoro per i posti vuoti, sinora, è stato stabilito solo sulla carta dopo un incontro con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e una richiesta da parte di Alisa a cui le strutture «hanno dovuto rispondere nel giro di due giorni» si lamenta Paolo Merello del Coread, il Coordinamento regionale enti accreditati dipendenze, e per ora ha riguardato solo le Rsa per anziani. Sono rimaste fuori tutte le altre. Una galassia complessa che si occupa di disabili, minori, persone con dipendenze o con problemi psichiatrici.
Una galassia articolata
Le tredici sigle che rappresentano le sigle datoriali e i coordinamenti dei servizi socio sanitari liguri sono: Agespi Liguria, Anaste Liguria, Anffas Liguria, Aris Liguria, Coordinamento regionale aziende pubbliche di servizi alla persona, Confcooperative Liguria, Coread – Coordinamento regionale enti accreditati dipendenze, Corerh – Coordinamento regionale enti riabilitazione handicap, Crea – Coordinamento regionale enti anziani religiosi e no profit, Fenascop Liguria – Federazione nazionale strutture comunitarie psichiatriche, Forum Ligure Terzo Settore, Lega Cooperative Liguria, Uneba Liguria.
«Servono fondi straordinari – spiega Giuseppe Grigoni, direttore dell’area sociosanitaria del Villaggio del Ragazzo e portavoce delle tredici sigle che si erano unite già ben prima Covid – i costi sostenuti per rendere sicure le strutture sono notevoli e li abbiamo anticipati noi, ma ora la nostra sopravvivenza è a rischio».
Andrea Bongioanni di Aris Liguria (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) spiega: «Abbiamo picchi di riduzione degli introiti intorno al 40%, molte strutture hanno raggiunto il 30%, poi ci sono casi in cui per fortuna il virus non è entrato, ma i sovracosti ci sono stati comunque».
Le spese sostenute sono al di fuori del contratto in essere con la Asl di riferimento, essendo stato firmato prima dell’inizio della pandemia.
Il Covid ha fatto emergere problemi che hanno radici lontane: «Un settore che è stato trascurato da almeno una ventina d’anni – afferma Grigoni – con tariffe insufficienti e di conseguenza contratti meno allettanti per il personale. In questi mesi si è verificato un esodo verso il settore pubblico ospedaliero, che era in difficoltà e ha attivato bandi per reperire personale. Un infermiere di una Rsa guadagna 300 euro in meno rispetto a un collega che lavora in ospedale».
Se a marzo il problema era la mancanza dei Dpi, i dispositivi di protezione individuale, oggi è proprio nella fuga del personale e nei costi sostenuti per rendere sicure le strutture: «Oggi la Regione Liguria distribuisce il 20% di quello di cui abbiamo bisogno – chiarisce Grigoni – il restante lo reperiamo sul mercato. Dentro le nostre strutture ci siamo attrezzati con reparti di isolamento, i cosiddetti buffer, in cui vengono inseriti i nuovi ingressi per un periodo di osservazione o l’ospite che rientra dalle visite ospedaliere, oltre che utili per una migliore gestione dei positivi. I tamponi sono forniti dal Servizio sanitario regionale, ma noi ci siamo dovuti dotare di personale sanitario adeguato per effettuarli. Non parliamo dell’onere della disinfezione». La distribuzione dei Dpi, per esempio avviene a carico degli enti stessi e grazie al contributo di alcuni volontari che si sono messi a disposizione per prelevarli dal magazzino centrale.
Sandro Frega presidente LegaCoop, aggiunge: «Serve che vengano messe in campo azioni per sopperire a queste mancanze. Intanto bisognerebbe non continuare a reperire operatori dalle nostre strutture, avevamo avuto garanzie, ma non è andata così. Occorre accelerare i percorsi per inserire laureati o ragazzi vicini alla laurea. Abbiamo inoltre proposto un rafforzamento degli operatori sociosanitari, un osss con tre esse, una specie di via di mezzo tra oss e infermiere, che in altre regioni è già operativo».
Valerio Balzini di Confcooperative Liguria evidenzia: «Si stanno accumulando ritardi che comportano una fatica non è solo più mentale, ma economica».
Aldo Moretti del Corerh, il Coordinamento regionale enti riabilitazione handicap mette in guardia: «Le persone hanno paura e vengono meno nei centri ambulatoriali. Rischiamo di perdere operatori se non lavorano e di conseguenza una storia che ha circa 60-70 anni. Bisogna ragionare insieme e organizzare l’emergenza».