Entro la prima metà del 2025 nascerà un partito liberaldemocratico e riformatore che si presenterà alle prossime elezioni politiche, verosimilmente nel 2027. È l’obiettivo di Orizzonti liberali, l’associazione costituita da Luigi Marattin, economista, deputato, ex di Italia viva. Il processo costituente partirà il prossimo 23 novembre, a Milano, un incontro al quale si prevede parteciperanno schegge (tra cui i LibDem) di quel mondo che Renzi e Calenda non sono riusciti ad aggregare.
È la “missione possibile” che Marattin ha annunciato di voler perseguire ieri sera al Bi.Bi Service di Genova, presentando il suo libro, che si intitola appunto “La missione possibile-La costruzione di un partito liberal-democratico e riformatore” (Rubettino).
Quello uscito dal lavoro di aggregazione proposto da Orizzonti liberali non sarà un organismo padronale e leaderistico, ma un vero partito dalla leadership contendibile, articolato in organi previsti da uno statuto, con una vita politica interna, congressi, ecc… e una presenza fisica nei territori. Ma non sarà neppure un partito pesante di tipo novecentesco.
Saldamente agganciato all’Occidente liberaldemocatico e ai pricipi dell’economia di mercato e della democrazia politica, il nuovo partito per fare uscire il Paese dalla stagnazione punterà su grandi tematiche che destra e sinistra ignorano: meno spesa pubblica per ridurre la pressione fiscale, rivoluzione meritocratica e concorrenziale, il tema delle retribuzioni come problema di produttività, attenzione al “come” si spende più che al “quanto”, le pari opportunità come condizione di partenza, non di arrivo.
Sono temi accennati nella presentazione di ieri sera ed esplicitati nel libro, che è illuminante anche per chi segue giorno per giorno le vicende economico-politiche italiane. Marattin ci fornisce una fotografia delle condizioni attuali del nostro sistema-paese e mette a fuoco le cause e il processo che ci hanno portato allo stato attuale.
“Questo libro – scrive l’autore – ha prospettato un’analisi diversa sulle origini del ‘Problema italiano’, individuate nell’incapacità del sistema paese, dopo avere concluso il ciclo del ‘miracolo italiano’ di adeguarsi ai profondi cambiamenti di contesto già accennati negli anni Settanta e poi deflagrati con il Grande Shock della globalizzazione sul finire del secolo. L’immagine più emblematica dell’intero volume è forse la figura che rappresenta come la produttività totale dei fattori, il motore della crescita economica, abbia sostanzialmente smesso di crescere prorio negli anni Settanta. E sotto questo termine arido e tecnico ‘produttività totale dei fattori’ si nasconde invece proprio il concetto più politico di tutti: l’incapacità del Paese, e della sua classe politica, di governare il cambiamento’. (pag. 163).
La conseguenza è che ” Escludendo i Paesi devastati dalle guerre (Sud Sudal e Ucraina) e alcune micro-isole caraibiche o pacifiche, l’Italia – Paese del G7 – ha il poco invidiabile primato di essere il luogo del pianeta in cui il prodotto interno lordo è cresciuto meno negli ultimi trent’anni”. (pag. 56)
Per due decenni l’Italia è cresciuta con la svalutazione e il debito pubblico, che risolvono i problemi sul momento ma aggravano quelli strutturali e quando è arrivata la globalizzazione e con l’euro si è persa la possibilità di svalutare la lira i nodi sono venuti al pettine.
Marattin fa chiarezza su quanto siano infondate le analisi che attribuiscono il nostro declino a un’insufficiente spesa pubblica e/o all’integrazione dei mercati e ricorda i benefici che la globalizzazione ha portato nel mondo. Per questo rimandiamo alla lettura del libro. Con l’autore abbiamo cercato di chiarire alcuni concetti che riguardano il futuro partito.
- A proposito del centro liberademocratico, riformatore ecc… si parla spesso di una prateria da conquistare. Mancherebbero gli strumenti e le persone adatte ad assolvere questo compito. Ma siamo sicuri che ci sia questa prateria in Paese che nel 1924 ha attribuito alle due liste nazionali di Mussolini quasi il 65% dei voti (sia pure tra brogli e violenze), nel dopoguerra per decenni ha assegnato un terzo dei voti ai comunisti, arginati dalla Dc, un coacervo di fazioni e di indirizzi ideologici, e poi ha mandato al governo M5S e la Lega di Salvini? E ora assegna il primo posto in Parlamento a Fratelli d’Italia, che non è fascista ma di liberale non ha molto… ?
«È vero che nella storia italiana la nostra cultura politica non è mai stata maggioritaria, se non agli inizi dello Stato unitario, comunque prima del suffragio universale. Però io credo che dopo il muro di Berlino, con lo shock della globalizzazione, siano cambiate tantissime cose, alcune culture politiche sono scomparse. altre sono tornate, perché il populismo è un fiume carsico che è ritornato, ma il mondo è cambiato. Per me oggi essere liberaldemocratico significa rappresentare un pezzo di paese che probabilmente, anzi sicuramente, non è tuttora maggioritario ma che esiste e adesso si trova, purtroppo, costretto a votare il meno peggio, e non ha coscienza di sé. Non saprei quantificare con certezza questa parte di opinione pubblica, potrebbe essere intorno al 15%, ma sono sicuro che ha una sua consistenza e che se trovasse una proiezione politica nelle istituzioni potrebbe contare».
- La legge elettorale per le elezioni del Parlamento non vi aiuta…
«No di certo, questo bipolarismo, per come è stato strutturato, non offre rappresentanza politica a un pezzo importante di Paese. Questo è un sistema politico malato. Ma credo che abbiamo la possibilità di farci valere. Teniamo presente che in Gran Bretagna, il paese con la legge elettorale che più di tutte spinge alla polarizzazione, alle ultime elezioni il partito liberademocratico, autonomo da conservatori e laburisti, ha ottenuto più del 12% dei consensi. Se ce l’hanno fatta loro perché non dovremmo riuscirci noi»?
- Lei propone un vero partito, con sedi, militanti, organi congressuali, contendibilità delle cariche. Sono in molti a non sopportare il leaderismo, la politica fatta di slogan sui social, ecc… Ma non si possono riproporre i partiti di una volta, le strutture pesanti di una volta, quando i partiti avevano sedi in ogni quartiere, funzionari stipendiati, ecc..
«Sì, rifiuto il partito, diciamo, di tipo novecentesco, la società italiana non è più quella di allora, ma credo sia possibile costruire un’organizzazione leggera, che vive nel suo tempo, quindi sfruttando pienamente anche gli strumenti informatici, digitali, eccetera ma con una vera vita democratica al suo interno. Il nostro progetto politico è fatto di quattro cose: leadership, classe dirigente, visione di società e organizzazione. Se te ne manca anche solo una, non hai un vero progetto politico. Il nostro è realizzabile, lo credo io e lo credono anche altri. Mettiamoci insieme, parliamo, discutiamo».