Il caso di Cambridge Analytica è stato lo spartiacque. L’attenzione su dove vanno a finire i dati online ha avuto un’impennata dopo lo scandalo delle informazioni personali di 87 milioni di account Facebook raccolte senza consenso e usate per scopi di propaganda politica dalla società di consulenza britannica.
Nell’epoca in cui tutti si stanno spostando nel cosiddetto cloud occorre capire a chi si affidano i dati personali e aziendali.
Google, Amazon, Microsoft e Oracle sono i big del settore, nomi che però non rispondono al quadro regolatorio italiano: primo problema da non sottovalutare.
Un altro aspetto su cui riflettere lo ha dimostrato la guerra russo-ucraina: un Paese che non produce energia e non ne ha diretto controllo rischia parecchio in caso di crisi diplomatiche, la stessa cosa si potrebbe immaginare per i sistemi informativi digitali.
Il digitale, in effetti, non è più un comparto, un sistema a sé stante, ma un’infrastruttura trasversale abilitante e il problema non è la tecnologia in sé, ma chi la governa e con che logiche.
L’Italia a che punto è? Il mercato interno è molto frammentato. Le aziende del settore non sono dedicate esclusivamente al cloud. Per esempio sia Aruba sia Retelit hanno un portafoglio servizi molto più ampio e il cloud rappresenta una parte minima del loro fatturato ed è anche per questo Netalia, azienda genovese nata ormai più di dieci anni fa e specializzata solo in cloud, ha l’ambizione di diventare il “campione” nazionale su questo ambito. È dei giorni scorsi il riconoscimento dell’abilitazione da parte dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) al trattamento dei dati strategici della pubblica amministrazione (difesa, forze armate e giustizia, sino a quelli sanitari).
La certificazione appena ottenuta è parte integrante della strategia di sviluppo dell’azienda. Le prospettive sono di raddoppiare il fatturato 2023 dagli oltre 5 milioni del 2022 con un ambiziosissimo piano al 2030 (supportato dalla finanza) di arrivare a circa 200 milioni, diventando il primo operatore nazionale del cloud in un mercato da 10 miliardi che vede nei big già citati i veri monopolizzatori.

«Il cloud risponde a esigenze di business – spiega l’a.d. Michele Zunino – non di tecnologia e il rischio che si corre è che il servizio venga fornito a condizioni che alla fine non sono adeguate alle aspettative e su larga scala si rischia di perdere la gestione dell’economia».
Netalia ha scelto il modello del cloud definito dal Nist (National Institute of Standards and Technology) americano: «Un’architettura distribuita, scalabile e disponibile a consumo sul mercato», spiega Zunino. Il concetto del pago quello che consumo in Italia non è ancora molto diffuso.
Due delle 150 aziende sopra il miliardo di fatturato hanno scelto l’azienda genovese e l’obiettivo è ampliare questo portafoglio clienti.
«Oggi siamo una quarantina – spiega Zunino – visto che non è facile trovare personale, lavoriamo non su base geografica, ma di competenza: lo smart working è ormai intrinseco a livello organizzativo e oggi abbiamo persone dislocate in tutta Italia che fanno riferimento alle nostre quattro le sedi fisiche: Genova è la sede legale dove si concentra la parte amministrativa e organizzativa; Milano è quella dedicata alle relazioni commerciali e alle attività di comunicazione, mentre Roma serve per le relazioni con l’amministrazione. A Catania abbiamo previsto un grosso investimento nel prossimo triennio grazie al dialogo con le agenzie di sviluppo con le quali stiamo elaborando un piano. Intendiamo potenziare la sede siciliana fino a una cinquantina di persone. Catania è facilmente raggiungibile, è il primo aeroporto per passeggeri nazionali, ha un’Università di ottimo livello e prosegue l’eredità del distretto tecnologico “Etna Valley”».