Un primo passo per rendere il nostro stile di vita più sostenibile è sicuramente quello di decidere di intervenire sulla mobilità e sui mezzi che utilizziamo per i nostri spostamenti. Secondo l’osservatorio “Chance Lab, Italia 2030“, questo è un tema molto caldo per gli italiani, infatti, nei prossimi dieci anni 1 su 2 (53%) afferma di voler rivedere le proprie abitudini in termini di mobilità.
Esistono diversi mezzi e comportamenti che definiscono la mobilità sostenibile, dall’incentivare gli spostamenti in bicicletta, in monopattino o a piedi, all’utilizzo di auto ibride o elettriche fino al trasporto pubblico o alla condivisione di veicoli.
La mobilità sostenibile, quindi, indica modi alternativi di spostarsi all’interno delle città, legati al concetto di sostenibilità territoriale e incentrati sul risparmio energetico, con lo scopo di ridurre l’inquinamento atmosferico, salvaguardando la salute dei cittadini e dello spazio comune. E in questo mese si tiene la Giornata Mondiale Del Risparmio Energetico, un tema che, mai come in questo ultimo periodo, è fortemente collegato ai concetti di sostenibilità e attenzione per l’ambiente, che sempre di più si stanno rilevando importanti nella quotidianità.
La necessità di un nuovo approccio ai trasporti e alla mobilità è stato ampiamento dimostrato anche dalle ultime decisioni del governo, il Decreto Rilancio del 10 maggio 2021 ha ridefinito il ruolo del Mobility Manager. La figura, infatti, è stata introdotta in maniera obbligatoria in tutte le aziende con più di 100 addetti operanti in territorio con oltre 50.000 abitanti, ed avrà il compito di redigere il piano spostamenti casa-lavoro, pianificando lo smart-working e gestendo in maniera responsabile gli spostamenti dei collaboratori.
Il Mobility Management pur essendo “tornato in voga” in questo ultimo anno, è in realtà un tema che risale al 1998 con il Decreto Ronchi, il quale introduceva norme in materia di «Mobilità sostenibile nella aree urbane», a seguito degli impegni assunti a livello internazionale con la firma del protocollo di Kyoto (1997) sui cambiamenti climatici.
Tale decreto definiva la figura del Mobility Manager, ossia un responsabile aziendale in grado di ottimizzare gli spostamenti del personale e ne prevedeva la nomina all’interno degli enti pubblici/imprese con singole unità locali con più di 300 dipendenti e le imprese con complessivamente oltre 800 addetti, ubicate in alcuni Comuni identificati a “rischio di inquinamento atmosferico”. Nel 2000 venne ridefinito anche il ruolo del Mobility Manager d’Area, figura di supporto e coordinamento al Mobility Manager aziendale, istituito presso l’Ufficio Tecnico del Traffico, il cui compito è di fornire supporto ai responsabili della mobilità aziendale, di coordinamento degli stessi, di collegamento con le strutture comunali e con le aziende di trasporto.
Ad oggi i compiti di un Mobility Manager sono molteplici, ma il più importante è sicuramente la promozione ed elaborazione del Piano degli Spostamenti Casa-Lavoro, con lo scopo di individuare misure utili a orientare la mobilità del personale verso forme più sostenibili, sulla base dell’analisi degli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, delle loro esigenze di mobilità e dello stato dell’offerta di trasporto presente nel territorio interessato.
Il Mobility Management quindi, inserito in una strategia più ampia legata alla gestione delle risorse umane, diventa un punto fondamentale per formulare nuove azioni che possano avere un impatto sia sul benessere dei lavoratori, favorendo la conciliazione vita-lavoro, sia sull’ambiente. Se infatti ai tempi della sua istituzione, più di 20 anni fa, l’unico obiettivo era quello di ottimizzare gli impatti degli spostamenti sul territorio, con l’attenzione all’ambiente, oggi invece con la pandemia l’attenzione si è spostata anche sulla salute dei dipendenti, sul distanziamento sociale e sulla gestione dello smart-working. I benefici dell’introduzione di un sistema di lavoro agile all’interno delle aziende hanno portato a notevoli miglioramenti soprattutto nella conciliazione vita-lavoro dei dipendenti, nonché una maggiore autonomia personale e da una maggiore soddisfazione lavorativa.
Ma come è possibile conciliare lo smart-working e le politiche di welfare aziendale? Potrebbero essere previste misure economiche o strumenti di welfare per supportare l’attività da remoto, come l’introduzione di un voucher per l’acquisto di strumenti per il lavoro a distanza del dipendente, oppure, ancora, per l’acquisto di device per i figli impegnati con la Dad. Le politiche di smart-working e il welfare aziendale possono essere implementate all’interno di una azienda, al di fuori dell’ottica emergenziale, concedendo ai propri collaboratori la possibilità di gestire con maggiore autonomia tempi e spazi di lavoro. In tal senso, la portata di interventi simili avrebbe un impatto enorme sull’intero sistema impresa.
Se iniziative di smart-working si estendessero ad almeno il 70% della platea potenziale in Italia (circa 5 milioni di persone), ci sarebbe un incremento della produttività quantificabile in circa 13,7 miliardi di euro. Se la produttività aumenta, però, il vantaggio non è solo dell’azienda, ma anche del dipendente. Tali politiche generano una consistente riduzione dell’assenteismo poiché tra le altre cose permette al lavoratore di non avere necessità di prendere ore di permesso. Il lavoro agile e il welfare, infatti, aiutano a superare la visione della “timbratura del cartellino”.
Le aziende, intese come luogo fisico, specialmente quelle più strutturate, in quanto luogo della prestazione lavorativa, sono state da sempre pensate come il centro delle politiche del benessere aziendale. La cura degli spazi per renderli più accoglienti, i benefit quali asili nido, palestre e luoghi di interazione tra i lavoratori posti all’interno o nei pressi della sede dell’azienda, gli abbonamenti al trasporto pubblico, andranno sicuramente rivisti nell’ottica di implementazione di politiche di lavoro agile strutturali. Le aziende potrebbero trovarsi quindi nella necessità di impostare sistemi di welfare aziendale più periferici, di prossimità ai propri lavoratori. Ecco, quindi, che diventa fondamentale il ruolo di una piattaforma di welfare aziendale che abbia come focus principale la territorialità e offra la possibilità di poter convenzionare i fornitori di servizi welfare sul territorio, non solamente delle aziende, ma anche sui luoghi dove vivono i lavoratori.