Il 50% della produzione di pasti in Italia è fornito dalla ristorazione collettiva. Diventa così importante, nell’ottica di una transizione ecologica che abbraccia tutti i settori, che anche i comportamenti della ristorazione siano nell’ottica della sostenibilità.
Un convegno scientifico organizzato dalla Camera di Commecio di Genova e Regione Liguria (assessorato Sviluppo Economico), in collaborazione con il Centro Ligure per la Produttività (Clp), Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu) e Università di Genova ha fatto il punto su cosa significhi oggi, dal punto di vista economico, fare scelte di sostenibilità in Liguria, ma anche dal punto di vista della scienza. “Vivi l’esperienza sostenibile“, questo il titolo, ha mostrato come per esempio la scelta vegana non sia la più corretta dal punto di vista della sostenibilità, perché ha dei costi di produzione enormi legati al dover produrre culture industriali e intensive per poter sfamare sempre più persone.
La dieta Mediterranea, con un ridotto uso di carne rossa, sembra essere quella più equilibrata per il pianeta, ma per una sostenibilità completa occorre fare scelte energetiche, utilizzare materiali di riciclo, privilegiare la filiera corta. Per questo le imprese che vorrebbero intraprendere questa strada ma non possono dal punto di vista economico, chiedono un sostegno alle istituzioni. «Da parte nostra – aggiunge il segretario generale della Camera di Commercio Maurizio Caviglia – metteremo a disposizione il nostro sistema di controlli per premiare i comportamenti virtuosi, che devono essere presi a modello da tutte le categorie».
«Si tratta di un progetto che nasce da lontano e che vuole arrivare lontano – commenta il presidente della Camera di Commercio Luigi Attanasio – partiamo da una collaborazione fra Camera di Commercio, Sinu e ristorazione Genova Liguria Gourmet per comunicare il fatto che si può seguire una dieta sana ed equilibrata anche mangiando ottimamente in un ristorante gourmet. Su questo si è innestato il concetto di sostenibilità, con l’adesione della nostra ristorazione alle raccomandazioni Fao in materia, e infine la certificazione della dieta mediterranea come un modello di sostenibilità per la salute e per l’ambiente. Vogliamo andare lontano perché i ristoratori Genova Liguria Gourmet, terminato il periodo di alta formazione che abbiamo organizzato con Unige e Sinu, intendono trasformare i loro ristoranti in luoghi dove sperimentare la cultura del benessere alimentare e sostenibile, e la Camera di Commercio li sosterrà in questo percorso».
Il rappresentante dell’Oms Francesco Branca sottolinea: «A Ginevra abbiamo sentito molto parlare di cavolo gaggetta, antichi ortaggi del Tigullio e in generale dei prodotti certificati del territorio ligure e del grande lavoro che la ristorazione Liguria Gourmet sta portando avanti per promuovere un’alimentazione ottimale certamente per il palato, ma anche per la salute e per l’ambiente. La biodiversità in Liguria è un ottimo punto di partenza per favorire la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e la ristorazione ha delle grandi responsabilità in questo percorso».
C’è chi però la sostenibilità la applica da anni in Liguria e le storie che hanno raccontato produttori, ristoratori e artigiani dimostra che la sostenibilità paga se va di pari passo con la qualità e con una volontà ferrea che parte dall’individuo stesso, come ha sottolineato Gianni Bruzzone dell’osteria Baccicin du caru di Mele, fondata nel 1890 e ora gestito da lui e dalla sorella: «Devi crederci nella sostenibilità, altrimenti non la riuscirai ad applicare sul lavoro. Noi quando l’autostrada ci ha tagliati un po’ fuori dal flusso del traffico ci siamo impegnati di più in cucina, con una ricerca sui prodotti tradizionali. Per esempio utilizziamo il cavolo navone, che era coltivato qui in zona, ma le persone vediamo che non sanno cos’è».
La cultura del territorio viene applicata per esempio anche nel vino da Andrea Bruzzone, titolare dell’enoteca Bruzzone che ha aperto un negozio a Bolzaneto nel 1991 e ha valorizzato le produzioni locali della val Polcevera, una delle aree vinicole più piccole della Liguria.
Lo zafferano, o addirittura il curry, sono un modo per riconvertire terreni incolti e dare vita a una produzione di qualità come testimonia Riccardo Risso (Zafferano dei Giovi), che ha ottenuto la certificazione bio per questa coltivazione a mano che promuove anche la trasformazione del prodotto al di là del semplice utilizzo per il classico risotto (caramelle, miele eccetera). «La sostenibilità ripaga, ma ci vuole tempo e costanza» afferma lui, che ha avviato la produzione nel 2015 coltivando i terreni incolti lasciati dal nonno.
Daniel Fida dell’azienda Zafferano di Rosso coltiva curry (in realtà il nome esatto del mix di spezie sarebbe masala), un prodotto che non richiede una grande lavorazione e che non necessita di essere acquistato dall’altra parte del mondo.
Sostenibilità vuol dire anche recupero, appunto, e Mario Dodici, della Cooperativa Isola di Mezzanego racconta come su quel territorio si sia passati da 7 a 330 soci grazie anche ai 22 che hanno puntato sulla Nocciola Misto Chiavari, pagata un po’ di più per la sua particolarità di essere lo scrigno di otto cultivar diverse.
Il recupero dei terreni abbandonati a uliveto è la filosofia della Cooperativa olivicola di Arnasco: «Nel 1985 chiudeva l’ultimo frantoio e nasceva la cooperativa – ricorda il presidente Luciano Galizia – oggi gestiamo 20 ettari in forma biologica e da 50 siamo passati a 300 soci».
«Non chiediamo sostegno economico, ma di capire che trattiamo prodotti unici e irripetibili, legati alla stagionalità – dice Federica Raggio dell’azienda agricola Orseggi di Lavagna – produciamo seme in ciclo completo, gli agricoltori locali ci hanno passato il testimone. Noi ci abbiamo messo studio e conoscenza. Non ci si deve inventare nulla in Liguria, basta seguire ciò che ha fatto chi ci ha preceduto».
Per Sergio Circella della trattoria La Brinca di Ne i partner più importanti sono i contadini: «Eroi che coltivano quei pochi terreni che non sono stati fagocitati dal bosco. Utilizzare il prodotto locale vuol dire sostenere il territorio e premiare pagando il giusto chi ha deciso di fare agricoltura oggi. Oggi sostenibilità è un termine abusato. Bisogna viverla tutti i giorni andando a cercare contadini e artigiani, i veri manutentori del territorio. Per fortuna tanti giovani sono tornati alla terra con produzione di qualità, anche se oggi sono disillusi: si scontrano con una burocrazia insormontabile che invece di essere di servizio è di ostacolo a chi produce».
Paolo Ferralasco del ristorante Zupp ha applicato la filosofia dei “nonni” attualizzandola, proponendo piatti al cucchiaio. La scelta di sostenibilità si applica agli attori della filiera (fornitori, logistica, processi produttivi, rifiuti e scorte).
Sono scelte che riguardano anche gli artigiani: Stefania De Martini di Damaschi e tessuti di Lorsica per esempio utilizza negli accessori tutto ciò che arriva dall’avanzo della tessitura, mentre Davide Oddone di Filigranart utilizza confezioni riciclabili per le opere in filigrana della sua azienda artigiana.