Il contesto macroeconomico globale prevalente permane di crescita moderata, nonostante alcuni indicatori siano meno sincronizzati nei paesi emergenti o abbiano, almeno in parte, deluso le aspettative di crescita ulteriore per l’Eurozona.
Che cosa abbiamo visto la scorsa settimana
Negli Stati Uniti, dopo i robusti dati economici del mercato del lavoro (ad agosto, 201.000 nuovi posti per il comparto non agricolo e tasso di disoccupazione al 3,9%, vicino al minimo degli ultimi 18 anni segnato in maggio al 3,8%) e del prodotto interno lordo (+4,2% annuo per il II trimestre alla seconda stima), gli indicatori anticipatori (“leading indicator”) del Conference Board sono usciti in calo allo 0,4% dal precedente 0,7%, ma sempre coerenti con la prosecuzione dell’attuale fase di crescita economica moderata (in un contesto d’inflazione al 2,7% annuo di agosto, dal 2,9% di luglio, e di crescita dei salari orari, sempre in agosto, del 2,9% annuo, massimo dal 2009).
In Eurozona, dopo gli incoraggianti dati registrati dal prodotto interno lordo (+2,1% annuo nel II trimestre, decisamente meglio del +1,1% italiano), con un tasso d’inflazione al 2,0% annuo in agosto (in lieve calo dal 2,1% di luglio, ma in linea con il target della Banca centrale europea, ancorché non del tutto stabilizzato), l’atteso indicatore anticipatore della fiducia dei direttori acquisti (pmi) dei comparti manifatturiero e servizi (composito) di settembre (stima flash) è uscito in lieve calo a 54,2 punti dai precedenti 54,5 di agosto, segnalando un possibile rallentamento del tasso di espansione.
Sulla scia di tali dati e nonostante il rischio di nuove tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina (già concretizzatesi con l’entrata in vigore dei dazi decisi dall’amministrazione Trump su 200 miliardi di dollari di prodotti importati dalla Cina, a cui quest’ultima ha risposto con 60 miliardi di dollari di sanzioni su alcuni prodotti importati dagli Stati Uniti) e, ancora, con l’Unione Europea e il Canada, gli operatori hanno mantenuto un approccio d’investimento compiacente, favorendo chiusure settimanali positive per i principali indici azionari dei Paesi sviluppati ed i primi segnali di recupero, in media, per i mercati azionari, obbligazionari e valutari dei paesi emergenti, dopo le massicce vendite, soprattutto, da agosto fino alla prima metà di settembre (con le crisi “locali” di Turchia, Argentina, Venezuela e altre aree dell’America Latina, dell’Africa e del Sud Est asiatico).
Sui mercati obbligazionari governativi, da segnalare il rialzo dei rendimenti del decennale statunitense (Treasury) e tedesco (Bund), rispettivamente, sopra la soglia del 3,10% (massimo dell’anno a 3,128%) e dello 0,50%; in salita anche il rendimento del governativo statunitense a 2 anni (2,83%, massimo dell’anno a 2,847%), su cui ha certamente influito l’attesa per il comunicato di politica monetaria della banca centrale statunitense, la Fed, che, al termine delle riunioni del 25 e 26 settembre, ha confermato le aspettative prevalenti tra gli analisti e già prezzate sui mercati sia obbligazionari che valutari (cambio Eur/Usd da alcune sedute tornato sopra 1,17 con possibilità di approdo in area 1,1815-1,1835): rialzo dei tassi ufficiali da 25 punti base al nuovo range 2,00-2,25% e, con una probabilità del 70%, un ulteriore rialzo dei tassi di riferimento sempre da 25 punti base per l’ultima riunione dell’anno del 18-19 dicembre; inoltre, dal tono e dalle singole parole meno accomodanti del comunicato (“forward guidance”), gli analisti hanno trovato conferma anche dei previsti tre rialzi dei tassi ufficiali (sempre da 25 punti base ciascuno) per il 2019 ed un ulteriore (sempre da 25 punti base) per il 2020.
In Italia, prosegue l’acceso dibattito politico per la predisposizione della Legge di Stabilità del 2019, con il Ministro dell’Economia Giovanni Tria e il suo staff, sempre più sotto pressione, chiamati a redigere una manovra (prevista tra i 25 ed i 28 miliardi di euro) che soddisfi, da un lato, il rispetto del tetto di rapporto deficit/pil (1,6%) concordato con l’Unione Europea dai precedenti Governi e, dall’altro, il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di politica economica sostenuti dai due partiti di maggioranza (“flat tax” per la Lega, “reddito di cittadinanza” per il Movimento Cinque Stelle, “riforma del sistema pensionistico” ovvero “riforma della Legge Fornero” e “pax fiscale” per entrambi); il rendimento del Btp decennale italiano è, così, risalito sopra il 3% (3,08%) in avvio di negoziazioni giovedì 27/9, a seguito delle voci di sforamento del rapporto deficit/Pil fino al 2,4% in fase di presentazione del Documento di Economia e Finanza, e anche lo spread con il bund tedesco è risalito dai 215 punti base di giovedì 20/9 ai 258 di giovedì 27/09; nonostante lo spread sia ancora distante da quota 300 toccata a fine maggio e nuovamente sfiorata in agosto, gli investitori (con uno sguardo anche alle agenzie di rating, tra cui Moody’s) resteranno cauti fino alla presentazione in ottobre del testo definitivo della Legge di Bilancio 2019.
La nostra strategia d’investimento
A livello globale, continuiamo a monitorare con attenzione i rischi di ribasso che possono ancora scaturire da eventuali nuove tensioni commerciali con gli Stati Uniti (almeno fino alle prossime elezioni di medio termine per il Congresso statunitense del 6/11), da una possibile Brexit disordinata per marzo 2019 (non essendo a oggi ancora stato conseguito un accordo con l’Unione Europea, non è escluso un nuovo referendum), da eventuali politiche monetarie più restrittive da parte delle banche centrali (Fed e Bce, in testa) a seguito di eventuali surriscaldamenti dell’inflazione (con rischi di contrazione per l’economia reale globale), da eventuali tensioni politiche in Eurozona (approvazione Legge Stabilità italiana, elezioni europee del 26/05/2019 con possibilità di affermazione dei movimenti sovranisti-populisti anti-euro).
Rimaniamo cautamente positivi sui mercati azionari, sui quali suggeriamo di entrare gradualmente con la formula dei cosiddetti “piani di accumulo”, per mitigare le possibili fasi di maggiore volatilità dei corsi, e moderatamente sotto-pesati su quelli obbligazionari (soprattutto, governativi e societari dei Paesi sviluppati), sui quali suggeriamo scadenze molto brevi.