Quello del 2014 è stato il terzo tentativo: prima nel 2002, poi nel 2009 si era arrivati più o meno allo stesso punto. Cambiano i colori delle giunte, gli assessori, le maggioranze, ma sembra impossibile trovare un accordo. L’opera certosina e complessa realizzata dagli uffici della Regione Liguria, con incontri in 150 Comuni, l’ascolto delle proposte dei professionisti, è un lavoro che però è rimasto solo su carta. Le delibere delle varie giunte si sono sempre arenate al momento clou: l’adozione da parte dell’assemblea legislativa, quel consiglio regionale in cui a farla da padrone sono le posizioni politiche. La Liguria non ha un Piano territoriale regionale, che in teoria sarebbe previsto dalla legge (è parte integrante di quella urbanistica), ma che in pratica è sostituito da tutta una serie di altri Piani che costituiscono l’architrave della gestione del territorio da parte dell’Ente.
Ce ne sono sei: il principale è il Piano territoriale di coordinamento paesistico regionale, risalente al 1990, il primo approvato in Italia, aggiornato con la variante della salvaguardia costiera nell’agosto del 2011 e che agisce sul Puc dei Comuni, ma anche il Piano territoriale di coordinamento degli insediamenti produttivi dell’area centrale ligure del 1992 (aggiornato con l’approvazione del nuovo Puc di Genova), che riguarda aree come Cornigliano, Erzelli e Sestri Ponente, e appunto il Piano territoriale di coordinamento della Costa, che contiene proposte di modifica riferite ai porti turistici, agli impianti nautici minori e ai cantieri navali.
L’obiettivo del Ptr (clicca qui per il testo completo) sarebbe proprio quello di “mettere ordine in casa“, cioè semplificare il quadro della pianificazione regionale, come si legge nella relazione di presentazione, accorpando tutta la pianificazione vigente, ma anche di disegnare un quadro di regole più chiare, cercando di ridurre le sovrapposizioni e le ridondanze. Attraverso il Ptr e la revisione della legge Urbanistica del 1997 (impugnata dal governo l’anno scorso per invasione di competenze esclusive in fatto di tutela del paesaggio e di “ordinamento civile” e pure sul fronte delle competenze concorrenti in tema di governo del territorio), la Regione avrebbe voluto distinguere le parti che hanno valore normativo dirette al tecnico comunale e ai professionisti, da quelle indirizzate a Comuni e Province (e Città metropolitana) e da quelle che costituiscono la narrazione del Piano stesso, non indispensabili per l’utilizzo immediato.
Il Piano è uno strumento molto politico, perché è proprio attraverso di esso che la Liguria dovrebbe scegliere le politiche per il suo territorio e le azioni per attuarle.
Il fatto che il Ptr sia stato presentato come strettamente legato all’aggiornamento di quella legge Urbanistica che è in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, probabilmente non ha giovato all’adozione dello stesso, ma trattandosi del terzo buco nell’acqua in più di 10 anni, non può essere l’unica giustificazione.
La giunta Toti, per ora, non ha dato nessuna disposizione agli uffici tecnici su come proseguire. Si tratta di un nodo non di poco conto, probabilmente inferiore alla legge Urbanistica, ma ben più del Piano casa, che di fatto non influirà – lo dice Ance stessa – granché sul rilancio del sistema. Scherzando sulla sinergia che la nuova amministrazione regionale ha avviato con la Lombardia, si potrebbe stimolare lo spirito di emulazione: non solo la Lombardia ha il Ptr, ma ne ha approvato l’aggiornamento annuale proprio in consiglio regionale a fine 2014.
Eppure il ruolo della Regione sarebbe proprio quello di programmazione e pianificazione economica, territoriale, ambientale e un testo unico come il Ptr dovrebbe essere preso come esempio anche di semplificazione. Questo ruolo di “sistema” però spesso si perde nel mare di interrogazioni e interpellanze che intasano (o, per essere cattivi, giustificano) il consiglio regionale.