Quanto è piacevole una tazza di brodo o di zuppa o minestra calda, fumante, quando si rientra a casa la sera, con il buio e il freddo! Ormai il freddo, se mai c’è stato quest’anno, se ne sta andando e, quanto al buio, le giornate si allungano, il 31 di questo mese scatterà l’ora legale. Bene, godiamoci il sole e la luce. E in extremis, finché le serate, non più fredde, restano almeno fresche, possiamo provare un piatto invernale della tradizione genovese, la trippa alla sbira.
Dicono alcuni che il nome viene dalla parola “sbirri”, poliziotti, che nelle osterie si sarebbero ristorati con piatti bollenti di trippa in brodo alla fine o all’inizio del loro turno. Altri non sono d’accordo sull’etimologia, quel che è certo è che non solo i poliziotti ma in genere chi lavorava la notte, e tiratardi di ogni genere, compresi gli studenti dell’Università, fino all’ultima guerra e forse fino agli anni Cinquanta erano ghiotti di questa zuppa. Che poi nessuno proibiva, o proibisce, di consumare anche di giorno.
Vediamo come farla. In sostanza la trippa alla sbira è fatta di trippa accomodata alla genovese e brodo. Il brodo era in genere brodo di trippa, ricavato dalla lunga bollitura a cui queste frattaglie vengono sottoposte prima di essere vendute al consumatore. Oggi è dificile da trovare. Si può provare a chiedere nelle tripperie. A Genova, in vico della Casana, è possibile averla, prenotandola il giorno prima.
Se non troviamo il brodo di trippa usiamo quello di carne, il risultato sarà buono lo stesso.
Risolta la questione del brodo, passiamo a quella della trippa. Si tratta dello stomaco del bovino e comprende parti molto diverse. Ci sono il rumine, che è la parte più spessa, grossa e grassa e rappresenta l’80% di tutto lo stomaco dell’animale, il reticolo, quella più spugnosa, l’omaso, quella più magra, con struttura lamellare a pieghe bianche, e l’abomaso, la più vicina all’intestino, a sua volta divisa in gala, la parte magra, e spannocchia, la parte più grassa. Ci sono anche l’esofago, la vagina e le tube di Falloppio. Molti consigliano di chiedere al trippaio tutte le varietà disponibili, escluse quelle destinate a essere consumate “crude” (cioè sottoposte soltanto alla bollitura preliminare e poi semplicemente condite). Ed è un buon consiglio in linea di massima ma in questo caso, visto che a Genova una volta si preferiva il centopelle (l’omaso) e in effetti anche in alcune ricette genovesi della trippa si parla solo di centopelle, se vogliamo toglierci la curiosità di come poteva essere un tempo questo piatto, usiamo il centopelle.
Ingredienti per quattro persone
1 kg di trippa; una carota, una costa di sedano, una cipolla; olio extravergine d’oliva 100 ml; burro 100 grammi; due cucchiai di midollo di bovino o 40 grammi di strutto; funghi secchi (20 grammi); pinoli (50 grammi); vino bianco secco (un bicchiere); sugo di carne (due tazze) oppure un cucchiaio di concentrato di pomodoro e mezzo cucchiao di estratto di carne; fette di pane tostato (quattro); sale qb.
Tritiamo sedano, carota e cipolla e li mettiamo a soffriggere in olio, burro e midollo (o strutto) con i pinoli, metà dei quali pestati e metà interi. Facciamo prendere colore alle verdure e aggiungiamo i funghi secchi fatti rinvenire qualche minuto in acqua, e la trippa. Se temete i grassi fate a meno dello strutto piuttosto che del midollo (anche questo difficile da trovare, prenotatelo dal macellaio). E se i grassi proprio vi terrorizzano usate solo olio e burro. Un pizzico di sale, qualche minuto di cottura e versate il vino. Quando questo sarà evaporato, aggiungete due tazze di sugo di carne. In sostanza si tratta del “tuccu” che si usa per condire la pasta.
Per ottenere il tuccu si fanno soffriggere cipolla, sedano e carote, midollo, funghi secchi fatti rinvenire nell’acqua, una punta d’aglio, alloro o rosmarino o entrambi, si aggiunge un pezzo di carne da sugo (i tagli da sugo sono diversi, chiedete consiglio al macellaio), si sfuma con un po’ di vino rosso e si aggiunge brodo con del concentrato di pomodoro. Usare un recipiente pesante, adatto alle lunghe cotture, coprire e lasciare cuocere a fuoco molto basso per tre ore.
In mancanza del tuccu versate nel tegame due tazze di acqua bollente con un cucchiaio di concentrato di pomodoro e mezzo di estratto di carne. Di sola carne, senza spezie, aromi più o meno naturali. Il dado da brodo non va demonizzato, è comodo e dà buoni risultati ma in genere contiene curcuma e comunque altri sapori che con la nostra sbira non hanno nulla a che fare. Cottura a fuoco basso e tegame coperto per circa un’ora. Bisogna controllare e rimescolare spesso perché la trippa si attacca facilmente al fondo.
Si possono aggiungere a metà cottura patate a pezzi, che cuociono in una trentina di minuti.
Quando siamo a fine cottura della trippa, pensiamo al pane e al brodo. Tostiamo le fette e ne mettiamo una per ogni tazza. Facciamo bollire il brodo qualche minuto. Versiamo le quattro porzioni di trippa nelle tazze, sopra al pane, e il brodo, fino a ottenere la liquidità voluta. C’è chi aggiunge parmigiano o pecorino grattugiato.
Che cosa bere? Proviamo un Doc Golfo del Tigullio Rosso.
Placet experiri!