L’export ha tenuto a galla l’economia italiana nei peggiori anni di crisi, nonostante il Paese abbia perso quote di mercato (anche se in realtà solo la Germania ha fatto meglio di noi) e nonostante i numerosi ostacoli che le imprese incontrino quando vogliono scandagliare i mercati esteri (considerando che l’approccio all’internazionalizzazione è più spesso casuale che strutturato). I numeri ne danno conferma: tra 2010 e 2017 il mercato interno nazionale è calato del 3,3%, contro quello estero, aumentato del 26,3%.
Nonostante tutte le difficoltà, insomma, le esportazioni italiane hanno retto, sono addirittura cresciute, ma esistono ancora ampie praterie da conquistare. Di questo si è parlato oggi, ai Magazzini del Cotone a Genova, nel corso del roadshow per l’internazionalizzazione “Italia per le imprese – con le Pmi verso i mercati esteri”, organizzato dal ministero degli Affari esteri, ministero dello Sviluppo economico, Sace Simest e Ice, in collaborazione con Confindustria, Unioncamere, Rete imprese Italia, Alleanza delle cooperative italiane e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Dopo il seminario di apertura, il roadshow offre la possibilità agli imprenditori partecipanti di confrontarsi con i rappresentanti delle organizzazioni pubbliche e private presenti: gli incontri individuali sono in corso fino alle 17.
L’export del made in Italy
Il made in Italy continua a essere un elemento di forte attrazione sui mercati esteri. Nei primi 11 mesi del 2017 l’Italia ha guadagnato quote di mercato nei principali settori di riferimento: ci sono mercati maturi, che pesano moltissimo sulle esportazioni nazionali, tra questi Stati Uniti, Corea del Sud e Australia, ma molti sono i mercati emergenti da agganciare: «Una buona fetta dell’Africa – spiega Claudio Colacurcio, Prometeia specialist – e l’Asia, ma anche il Nord America». Guardando la cartina del mondo, le aree ancora inesplorate o poco sfruttate dall’Italia a livello di export si presentano come delle vere e proprie praterie.
«È vero, siamo il nono Paese per esportazione mondiale, il sesto per saldo commerciale, ci sono settori ad alto valore aggiunto che aumentano in maniera determinante il valore dell’export, il sistema di governance è migliorato – spiega Fabrizio Lucentini, direttore generale per le Politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi del Mise – Ma ci sono spazi da conquistare, la quota di export su Pil può migliorare. Basti pensare che dei nostri 10 principali Paesi di destinazione, solo tre sono extraeuropei: Usa, Giappone e Cina». Anche a questo proposito, in apertura del seminario Giovanni Mondini lancia una proposta, sulla base del modello di Confindustria Lombardia: «Sarebbe opportuno, anche in Liguria, mappare le piccole e medie imprese, in modo da capire meglio quali siano i territori e i settori su cui aprirsi. Ciò aiuterebbe anche il lavoro di Ice e degli altri enti preposti».
Il voucher per l’internazionalizzazione è un contributo ministeriale a fondo perduto per le Pmi con figure addette alla promozione all’estero. Nella prima edizione sono stati impiegati 19 milioni di euro di risorse, 1.790 i voucher assegnati, positivi i livelli di soddisfazione. Tanto che il budget è stato aumentato a 36 milioni e le domande sono cresciute a circa 5.000. I voucher assegnati sono stati 1.968.
Come spiega Colacurcio, per aggredire nuovi mercati c’è bisogno prima di tutto di tenere conto dei fattori che influiscono sui flussi commerciali e agire di conseguenza. «Il primo elemento è costituito dall’età – descrive lo specialist di Prometeia – Nel giro di dieci anni nei primi 20 mercati i protagonisti saranno i millennials, cioè chi usa le nuove tecnologie, i social, l’e-commerce, eccetera. Diamo un’occhiata alle aree territoriali: in Corea, per esempio, il 50% degli acquisti si fa online». Altro elemento decisivo sono gli accordi di libero scambio che, «in un momento di grande protezione del mercato, rappresentano un antidoto a questa minaccia», precisa Colacurcio. Tutti questi elementi si riconducono però a un fattore essenziale per la buona riuscita del business all’estero: l’internazionalizzazione non deve essere una scelta passiva o improvvisata, bensì strutturata. Dal canto suo, come spiega Lucentini, «il Mise sta stabilizzando sempre più una misura nata come straordinaria, il Piano promozionale 2015-2017, che, oltre a mettere a disposizione sempre più risorse per le attività di promozione all’estero, ha razionalizzato il sistema, definendo le strategie e individuando in Ice l’unico ente attuatore». Per l’anno in corso lo stanziamento è di circa 160 milioni, il tentativo è soprattutto quello di orientare le Pmi verso nuovi mercati emergenti.
La Liguria e l’export: i numeri
Guardiamo la nostra regione. Le esportazioni liguri valgono 6 miliardi e 65 milioni di euro (I-III trimestre 2017, dai Istat forniti da Ice), 6,6 miliardi il controvalore delle importazioni. I principali Paesi di riferimento per l’export regionale sono Stati Uniti (727 milioni euro), Francia (562 milioni), Germania (537 milioni), Cina (544 milioni) e Spagna (337 milioni di euro). Per contro, i primi cinque Paesi da cui importiamo sono Spagna (quasi 654 milioni di euro), Usa (531 milioni), Azerbaijan (470 milioni), Germania (quasi 380 milioni di euro) e Francia (371 milioni).
I settori di riferimento dell’export ligure sono l’industria chimica (660 milioni di euro), navi e imbarcazioni (551 milioni), derivati dalla raffinazione del petrolio (461 milioni). Importiamo soprattutto petrolio greggio (per oltre 2 miliardi di euro), navi e imbarcazioni (436 milioni) e metalli (400 milioni circa).
Il dettaglio provinciale, sempre riferito allo stesso arco temporale, vede Genova in testa nell’export regionale con quasi 4 miliardi di euro, seguita da Savona (1,24 miliardi), La Spezia (534 milioni) e Imperia (quasi 318 milioni).
Quale supporto all’estero
«Per una Pmi affacciarsi all’estero è un’impresa». Il gioco di parole è di Stefano Nicoletti, capo Ufficio internazionalizzazione delle imprese del ministero degli Affari esteri. In effetti una piccola e media impresa che voglia intraprendere un’attività di esportazione si trova di fronte soprattutto due grossi ostacoli: le scarse professionalità specifiche a disposizione all’interno dell’azienda e un approccio ai mercati esteri che risponde spesso a dinamiche casuali e poco pianificate.
La rete diplomatica consolare e, più in generale, la rete Italia all’estero può dare una grossa mano. «La stessa Farnesina – spiega Nicoletti – è passata da un’azione diplomatica concentrata su temi politici a una diplomazia di prossimità per le imprese, verso le quali è presente con un sostegno istituzionale e con la fornitura di informazioni strategiche». Il primo avviene in diverse fasi, dall’inserimento sul mercato alla partecipazione a gare e situazioni patologiche, mentre il sostegno informativo riguarda la messa a disposizione di notizie sui mercati: «Info Mercati Esteri è una piattaforma alimentata da Farnesina e Ice e fornisce tutte le informazioni sui diversi mercati – descrive Nicoletti – e poi c’è Extender, dedicata alle gare di appalto internazionali, dotata anche di sistema push. In questa piattaforma stiamo pianificando anche una finestra specifica sulle gare europee». Nicoletti non manca di sottolineare poi l’apporto dell’Unità di crisi della Farnesina: «La registrazione sul sito Viaggiare sicuri non è solo un’opportunità per i turisti, ma anche per le imprese che hanno maestranze all’estero: in caso di necessità, la Farnesina può rintracciarle più velocemente».