”Non è ancora la fine del mondo” (Liberilibri) del fisico Vince Ebert, uno dei più noti divulgatori scientifici tedeschi, affronta la questione del cambiamento climatico e della transizione energetica.
Ebert sostiene che il cambiamento climatico è effettivamente in atto e in parte viene causato dall’anidride carbonica che abbiamo emesso fin dalla rivoluzione industriale bruciando combustibili fossili, e che è urgente intervenire ma che le misure adottate finora non risolvono il problema e anzi lo peggiorano. E noi “non dobbiamo salvare il mondo ma renderlo un po’ migliore”.
In sostanza, secondo il fisico tedesco adattarsi al cambiamento climatico sarebbe più efficace che tentare di prevenirlo e in ogni caso elettrificazione, eolico, fotovoltaico, biologico, non possono essere le soluzioni. Fusione nucleare e carburanti verdi al momento sembrano offrire migliori prospettive e comunque le soluzioni migliori si troveranno attraverso lo sviluppo di nuove idee e la crescita economica non con il pauperismo e il “ritorno alla natura”.
Ebert smonta verità ritenute indiscutibili ridicolizzandole grazie alla sua preparazione scientifica e al dono dell’ironia di cui è felicemente dotato. Tra l’altro demolisce la credenza per cui è il capitalismo la causa dell’inquinamento ambientale. Ricorda i disastri ecologici provocati dai paesi socialisti e riporta i dati dell’Environment Perfomance Index pubblicato da oltre vent’anni dall’Università di Yale da cui risulta che Danimarca, Regno Unito e Finlandia sono i paesi con il punteggio più alto, ma ben posizionate sono anche Olanda, Germania, Francia e Norvegia. Mentre l’Index of Economic Freedom (The Eritage Foundation) che valuta la libertà economica di ogni paese, mostra in testa Singapore, seguito da Nuova Zelanda, Australia, Svizzera, Irlanda, Taiwean, Regno Unito. Se confrontiamo i due indici scopriamo che i paesi economicamente più liberi sono quelli a più alta sostenibilità ambientale.
Ma l’utilità e la godibilità del saggio di Ebert non si devono solo a questo. Prezioso è il capitolo dedicato alle trappole mentali e all’irrazionalità. Dal quale, tra l’altro, risulta che i più esposti al conformismo e alle mode non sono le persone meno istruite e nella parte bassa della scala sociale. ”Purtroppo – si legge alle pagine 94-95 – più è alto lo status sociale ed economico di una persona più questo fenomeno (il conformismo, ndr) si accentua. Le persone istruite e/o ricche si preoccupano maggiormente di ciò che gli altri pensano delle loro opinioni, perché hanno una reputazione accademica o una buona posizione da perdere. Per questo motivo il loro cervello sociale interviene di più nel loro processo mentale (…) Più una persona è istruita e intelligente, più il suo cervello è abile a fare passare la più grande assurdità per un’idea sensata purché aumenti il suo status sociale. Di conseguenza, la borghesia colta tende di più rispetto alla gente comune a seguire qualche idea intellettualmente balzana (…) I tassisti, le donne delle pulizie, gli artigiani o i magazzinieri hanno spesso una maggiore aderenza alla realtà e un maggiore buon senso rispetto a professori , insegnanti o funzionari statali di alto livello. Il gregario, perciò, più che al bar lo troviamo nelle aule universitarie”. Anche tra i giornalisti, si potrebbe aggiungere.