Sì al forno elettrico a Cornigliano, no allo spezzatino dell’ex Ilva è la posizione espressa dai sindacati al ministro delle Imprese e del Made in Itali Adolfo Urso nell’incontro di oggi a Genova.
Il ministro nel capoluogo ligure, accolto dalle autorità locali, ha incontrato le istituzioni, con la partecipazione del presidente della Regione, del sindaco di Genova, di assessori regionali e comunali, di parlamentari ed europarlamentari liguri e poi i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil e delle sigle dei metalmeccanici (Fiom, Fim e Uilm), quindi i comitati cittadini.
«Il primo elemento, che poi è l’elemento più concreto di ciò che è stato detto oggi – riferisce il segretario della Fiom Cgil di Genova, Stefano Bonazzi – il messaggio che passa è quello di una città ,tutta, sindacati, parti sociali, istituzioni, favorevole a all’insediamento di nuovo piano industriale a Genova, favorevole a un forno elettrico a Genova. Noi abbiamo chiarito, voi lo sapete, come organizzazione lo abbiamo detto da subito, che serve un forno elettrico per il Nord Italia. Un forno elettrico non tanto e solo per dare sviluppo all’impianto stierurgico a Cornigliano, ma soprattutto per dare garanzia ai posti di lavoro che già ci sono. Bisogna pensare a salvaguardare i nostri posti di lavoro, quei mille posti di lavoro di fronte alle contraddizioni che ci sono a Taranto, che rischia da un momento all’altro di fermarsi: non lo sappiamo, la città ha contraddizioni importanti, di fronte alle quali c’è il rischio è che il nostro sito rimanga senza un etto d’acciaio da lavorare. E quindi serve una grande autonomia produttiva per il Nord Italia, che si ottiene con un forno elettrico a Genova. Ci sono gli spazi, c’è la disponibilità da parte delle istituzioni, c’è la volontà da parte dei sindacati. Questo è la base di partenza, poi servono i soldi. Siamo nel capitalismo, per avere un nuovo impianto servono gli investitori. Staremo a vedere, c’è una gara in corso, da qui a metà settembre sapremo se c’è qualcuno che vuole comprarsi Acciaierie d’Italia, tutta o in parte, noi siamo per un gruppo unito con una forte, forte autonomia produttiva del Nord. Staremo a vedere, quello è il prossimo passo. Ora aspetteremo i prossimi passi, per noi il prossimo passo e sicuramente il 4, un bel volantinaggio in piazza per dire chiaramente le ragioni di un forno elettrico a Cornigliano, di un forno elettrico compatibile ambientalmente con la città, col quartiere, esattamente come capita in decine di altre città in Italia. Perché ricordo che in Italia ci sono 34 forni elettrici e non di ultima generazione come quello che verrebbe prodotto qua a Genova. E quindi da questo punto di vista le condizioni politiche ci sono, le condizioni sociali ci sono, vediamo dal punto di vista industriale quali sono le prospettive. La partita è aperta, oggi è una tappa, procediamo e staremo a vedere nei prossimi giorni».
«Come Cisl e come Fim – dichiara il segretario della Fim Cisl Valerio D’Alò – abbiamo ribadito un aspetto assolutamente fondamentale: siamo tutti d’accordo e, a differenza di quanto succede a Taranto, le istituzioni locali mi sembrano tutte convergere sulla necessità di un forno elettrico a Genova. Noi sappiamo benissimo che un’autonomia produttiva sarebbe una risposta non solo per la realizzazione del forno ma per la ripresa di tutte le linee di rifinitura, il che vorrebbe dire fare tornare al lavoro tutti i lavoratori oggi in cassa integrazione. Bisogna però fare attenzione a una cosa, perché l’autonomia produttiva deve essere sempre nella cornice di un grande gruppo che fornisce tutele che un’azienda di mille dipendenti non fornirebbe. Per cui ribadiamo al ministro di non badare all’idea di spezzatino nell’interesse di piccole imprese ma di tenere anche il sito di Genova come tutti gli altri siti in Italia in unico grupppo. Faccio un esempio concreto: noi oggi mentre discutiamo abbiamo una procedura di cassa integrazione scaduta ma siccome si tratta di Ilva ne parleremo il giorno dieci, dopo l’ennessimo rinvio. È una di quelle vertenze in cui non c’è una regola, non c’è una storia proprio per la grandezza e l’importanza del gruppo. Abbiamo detto al ministro che per noi non ci sono tanti piani. C’è un piano, presentato da Urso, che prevede tre forni a Taranto con quattro Dri e un forno elettrico a Genova. Questo piano è l’unico che terrebbe in piedi tutto ma soprattutto va ricordato l’aspetto ambientale: il Dri se lo produci e lo metti in circolo ha un impatto ambientale pari a zero, se lo produci a Gioia Tauro, lo raffreddi, lo sposti, lo riscaldi, lo rimetti in circolo, ha un impatto notevolmente maggiore. Abbiamo anche chiesto le condizioni tecniche per cui un Dri non può essere fatto a Genova: ci parlano ancora dell’altezza degli impianti ma siamo convinti che ci possono essere soluzioni tecniche in grado di dare risposte anche da questo punto di vista. Questo di oggi è un primo passo ma sicurammente è servito alla comunità ligure, a Genova, per dire tutti con la stessa voce sì all’autonomia produttiva però rimanendo dentro a un recinto di tutele più grandi».
In una nota il segretario generale della Cisl Liguria, Luca Maestripieri, e il segretario generale della Fim Liguria, Christian Venzano, precisano: “Ci aspettavamo risposte più precise e dettagliate dal ministro Urso: non possiamo dirci soddisfatt. Ciò che serve al Paese è un grande piano unitario per rilanciare la siderurgia italiana, non soluzioni parziali o frammentate”. Per Cornigliano, secondo Maestripieri e Venzano, “il forno elettrico può rappresentare un’opportunità importante sia dal punto di vista produttivo sia sotto il profilo occupazionale, ma solo a una condizione imprescindibile: che venga realizzato con criteri di piena e certificata sostenibilità ambientale”. La Cisl e la Fim ribadiscono inoltre la necessità di un pacchetto di investimenti concreti: “Cornigliano ha bisogno di una prospettiva industriale solida e duratura e di un ripristino effettivo delle condizioni di sicurezza nello stabilimento. Senza queste garanzie, ogni ipotesi di rilancio rischia di rimanere incompiuta”.
Antonio Apa, segretario generale della Uilm Genova, afferma: «Sulla questione spezzatino non molleremo e siccome abbiamo saputo che nel bando ci sono sei soggetti interessati di cui almeno tre puntano alle acciaierie divise tra nord e sud , ecco, a quelle proposte noi saremmo contrari. Fermo rimanendo che sulla vicenda del forno elettrico c’è l’unità tra le organizzazioni sindacali e la condivisione delle forze politiche della città, dentro questo quadro la Uilm ha ribadito le sue preoccupazioni: non bisogna perdere tempo, più tempo si perde più la questione della siderurgia diventa un problema. Perché qui sono in gioco la salvaguardia della siderurgia e la salvaguardia ambientale e occupazionale. Dentro questo quadro abbiamo sostenuto che per la prima volta c’è la possibilità di passare dal forno fusorio a carbone al forno elettrico. Ma su questo c’è un dilemma: dire no al gas e no al Dri significa sostanzialmente la chiusura della siderurgia, se invece si accetta il piano, che tutti condividiamo, di fare tre forni elettrici a Taranto e i quattro Dri e un forno elettrico a Genova vuol dire che abbiamo salvato la siderurgia. Questo è il nodo da sciogliere. Inoltre abbiamo chiesto che il goveno intervenga su due questioni: una che lo Stato deve rimanere nell’azionariato, due che le risorse ora previste sono insufficienti, 1 miliardo e 700 miioni sono insufficienti. Non bisogna aspettare il 15 settembre. Già oggi bisognerebbe discutere il piano industriale e la salvaguardia occupazionale, e ci vuole un intervento legislativo che salvaguardi i lavoratori in questo contesto».
La chiosa, quella più concreta, è di Matteo Bellapianta della rsu: «Genova rimane comunque legata a Taranto, questo non ce lo dobbiamo dimenticare. E poi sinceramente per noi queste ipotesi di piano A, piano B o piano C… oggi il ministro è stato chiaro: sarà il privato a decidere cosa fare e dove fare. Quindi oggi noi come Usb chiediamo chiarezza sulla questione occupazione e questa riconversione come verrà fatta visto che gli altri forni a Taranto sono spenti. L’unico in marcia è in manutenzione ed è a fine campagna. Quindi qui si sta parlando di una riconversione ma questa riconversione viene fatta con i forni oggi spenti? E questo è il nostro dubbio che abbiamo sottoposto al ministro e il ministro non ci ha risposto».
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