
Sashimi alla ligure: un piatto “fusion” che abbiamo gustato in casa di conoscenti e che inseriamo nel nostro filone della cucina ligure proiettata nel futuro. Questa rubrica ha lo scopo di fare conoscere agli stessi liguri ricette della loro regione poco diffuse. Perse nella nebbia del passato o relegate al loro luogo d’origine, che può essere una vallata o addirittura un borgo. Ma perché guardare solo al passato e non anche al futuro? Alle – possibili – ricette liguri del futuro? Nel nostro territorio persone che vengono da paesi lontani cercano i loro alimenti abituali. E li trovano, nei negozi cosiddetti etnici. Alcuni di questi alimenti si diffondono e diventano sempre meno esotici – pensiamo per esempio alll’avocado o al cous cous – fino a diventare comuni nelle nostre dispense e nei supermercati. Altri seguiranno questo percorso. Del resto, è sempre stato così, la cucina è fatta di incroci, innesti, scambi, inutile ricordare da dove vengono patate, pomodori, ecc… Per questo motivo abbiamo avviato il filone futuristico, e la nostra rubrica diventa una sorta di Giano bifronte, che guarda al passato e al futuro.
Sushi e sashimi in Italia sono arrivati non al seguito degli emigrati ma sull’onda della globalizzazione e si sono diffusi soprattutto tra i giovani. Oggi proviamo a inserire il sashimi nella nostra tradizione culinaria, come abbiamo fatto con la quinoa al pesto, la pasta al pesto con okra, il budino di tapioca, che, a dire il vero, nella cucina genovese era entrato già nell’Ottocento e poi è stato dimenticato.
Il sashimi a differenza del sushi non contiene riso, è costituito solo da pesce (anche da molluschi o crostacei) freschissimi, serviti crudi. Possiamo unirlo a un ingrediente del nostro sontuoso cappon magro, la salsa verde, al posto di quella di soia con pasta di wasabi che usano i giapponesi.
Ma a questo punto va fatta una premessa importante. Il pesce crudo subito dopo l’acquisto va “abbattuto”. Vale a dire, deve essere portato a -20 gradi per 24 ore con un abbattitore professionale. Che pochi hanno in casa (viene impiegato nei ristoranti). Poco male, possiamo ricorrere al freezer del nostro frigorifero: in questo caso sono necessarie 96 ore a -18°. Oppure acquistiamo pesce surgelato, che in genere viene messo nei refrigeratori subito dopo la cattura e rimane a basse temperature fino alla vendita, cioè per lunghi periodi. Perché queste precauzioni? Per il pericolo Anisakis.
L’Anisakis è un parassita nematode che abita le viscere dei pesci e sta parassitando sempre più specie. Dall’intestino può migrare alla parte muscolare del pesce, quella che mangiamo. E causare nausea, vomito, dolori addominali, febbre e anche di peggio, infiammando milza, fegato, intestino, fino a rendere necessarie operazioni chirurgiche. L’Anisakis viene ucciso, e quindi reso innocuo, dalla cottura oppure, appunto, dall’abbattimento a basse temperature.
Toriniamo al pesce. Conviene comprarlo surgelato oppure abbatterlo in casa? Fatto in casa comporta un minimo di lavoro in più – i surgelati vegono venduti anche già in filetti, a casa dobbiamo sfilettarci il pesce noi – ma quello casalingo, forse perché è stato in ghiaccio molto meno a lungo, conserva meglio profumo e sapore. Quindi optiamo per la seconda soluzione. In ogni caso, che il pesce sia stato comperato o surgelato in casa, calcolate che per tornare scongelarsi ha bisogno di 24 ore in frigorifero a 4 gradi.
Quale pesce scegliere? Per il crudo in Italia sono onnipresenti il salmone, il tonno, l’orata, la ricciola e il branzino. Vanno benissimo ma si può variare e anche spendere meno. Nelle pescherie in questi giorni troviamo già i saraghi, ottimi per la loro polpa soda, compatta e profumata. Ma puntiamo su un altro pesce, un pesce dimenticato, economico, con poche spine, polpa compatta e saporita: il sugarello, o sauro, o suro, in genovese suello. Diffuso in tutto il Mediterraneo, Italia compresa, e nell’Oceano Atlantico orientale, dall’Islanda al Senegal fino alle Isole di Capo Verde, può arrivare a 50 cm di lunghezza ma in genere in commercio lo troviamo sui 20-30 cm. Una volta era comune nelle pescherie liguri, come le acciughe, le sardine e le boghe. Oggi, come le boghe, è passato di moda, ma non è scomparso.
La ricetta
Ingredienti: quattro sugarelli, un mazzetto di prezzemolo, 80 grammi di pinoli, 30 grammi di capperi sotto sale, due acciughe salate, due tuorli di uova sode, una manciata di mollica di pane bagnata con aceto bianco e strizzata, sei olive verdi grosse, olio extarvergine d’oliva.
Procedimento. Sciacquate i capperi e lasciateli in ammollo nell’acqua. Fate rassodare le uova, tenete da parte i tuorli e usate gli albumi per un altro piatto. Sfilettate i pesci che avete scelto. Vi serve un coltello sottile e ben affilato. L’ideale sarebbe un coltello di ceramica, visto che non siete professionisti giapponesi che hanno studiato anni per eseguire queste operazioni come vuole la loro tradizione. Adagiate il pesce su un tagliere, tenetelo fermo con una mano e con l’altra appoggiate il coltello dietro la pinna pettorale, quella vicina alla testa, e affondate la lama fino farle toccare la lisca centrale. A questo punto girate il coltello e fatelo scorrere sulla lisca, parallelo al pesce, fino alla coda. Ripetete l’operazione sull’altro lato. Tagliate via la testa e la pinna caudale. Aprite il pesce a libretto, dividetelo in due filetti, togliete le spine rimaste.
Disiliscate le acciughe e sciacquatele, quindi mettetele nel mixer con la mollica di pane strizzata, i capperi, i tuorli sodi, la polpa delle olive. Frullate, mettete il composto in una ciotola e versatevi l’olio fino a formare una salsa omogenea e piuttosto liquida. Assaggiatela per vedere se vanno bene il sale e l’acidità. Se occorre aggiungete un pizzico di sale, se la salsa non è abbastanza acidula versatevi un po’ d’aceto bianco, se lo è troppo aggiungete olio.
Ora non resta che disporre il pesce sul piatto di portata con la salsa. Tagliate la polpa nel modo che preferite – filetti, striscioline, fettine – e passatevi sopra un filo di olio. È importante tenere presente che l’ingrediente principale è il pesce, la salsa ha la funzione di esaltarne il sapore, non di coprirlo. Presentatela in una coppetta a parte per ogni piatto. Ognuno potrà regolarsi come crede. Volendo, potreste proseguire in questo esperimento, che è anche un gioco, trasformando il sashimi in un cappon magro crudo e “destrutturato” come dicono gli chef. Delle verdure che compongono il piatto genovese tradizionale potreste scegliere la barbabietola rossa e i carciofi. Vanno bene crudi e producono un buon effetto cromatico. Tagliateli a fettine e disponeteli accanto al pesce. E in ogni caso un contorno ci vuole.
Potete accompagnare il vostro sashimi con un Golfo del Tigullio Vermentino, lasciando ai giapponesi, insieme alla loro salsa, il sakè e il tè verde.
Placet experiri!