Trasparenza, luce che entra dalle finestre, attraversa ampie vetrate e si diffonde in uno spazio aperto, o viene incanalata in corridoi improvvisati. A volta la forma coincide con la funzione. È il caso della sede genovese di Manageritalia, in via Ceccardi 1.
Manageritalia è la federazione di dirigenti, quadri ed executive professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato he rappresenta, in Italia, oltre 43.000 manager e alte professionalità del terziario con l’obiettivo primario di tutelarli e di promuovere il loro ruolo e e di contribuire, insieme alle istituzioni politiche e alle organizzazioni economiche, sociali e culturali, nazionali ed internazionali, alla crescita economica e al progresso sociale del paese. Attraverso un sistema decisionale democraticamente eletto e rappresentativo delle sue 13 associazioni territoriali e una dedicata agli executive professional, e un sistema organizzativo volto a rendere più condivisa e partecipata la vita associativa, Manageritalia opera a livello nazionale e locale rappresentando gli associati nella stipula dei contratti collettivi, nelle vertenze collettive e nei rapporti con enti, autorità e istituzioni. Manageritalia Liguria rappresenta oltre 1.686 manager sul territorio. Eroga servizi e organizza eventi, attività, formazione, gruppi di lavoro e occasioni di networking.
«Quello che lei vede, queste vetrate, una volta erano muri, muri divisori che chiudevano spazi compartimentati, uffici presidenziali, sale di incontro pensate per piccoli gruppi. Una sede chiaramente degli anni Sessanta con volumi tipici di quel tempo e di quel modo di lavorare». A parlare è Monica Nolo, nei giorni scorsi riconfermata presidente di Manageritalia Liguria, carica che ricopre dal 2017.
«La mia idea – precisa Nolo – è stata: buttiamo giù tutto e pensiamo a una sede che sia funzionale rispetto alle nostre attività di oggi, quindi abbiamo realizzato spazi aperti e luminosi per la formazione, per incontri di networking, per il co-working. Le strutture sono modulari, adattabili alle necessità che via via si presentano, gli spazi aperti possono essere articolati in stanze da mettere a disposizione di associati di altre regioni, che magari si trovano a Genova per incontri di lavoro e hanno qualche ora vuota fra un appuntamento e l’altro, e possono trovare qui uno spazio in cui lavorare. C’è tutto, ci sono prese, mensole: un manager di fuori può fare la sua video call senza essere disturbato. E trovare qui gli stessi servizi che ha nella sua associazione, può per esempio avere una consulenza sugli aspetti sanitari. È una sede sperimentale. I nostri dirigenti sono fluidi nella loro attività e noi siamo altrettanto fluidi nell’assisterli».
Il mondo dei manager in Italia ha subito una rivoluzione. Dal 2008 a oggi, secondo gli ultimi dati Inps elaborati da Manageritalia, la Liguria ha assistito a un drastico calo della dirigenza all’interno delle imprese con un -11,4% di manager attivi sul territorio. Il dato è espressione anche di un insufficiente utilizzo da parte dei nostri imprenditori di manager esterni alla famiglia che spesso detiene la proprietà dell’azienda. In Italia solo il 28% delle pmi ha manager esterni, contro il 60% nei più avanzati e competitivi paesi europei. I numeri, però, non dicono tutto.
«Il dirigente di oggi – spiega Nolo – ha pochi punti di contatto rispetto al dirigente di trenta, quaranta anni fa, le carriere sono diverse, sono meno lineari. Arrivi a essere dirigente, poi ti ritrovi a fare il quadro, poi magari sei imprenditore, professionista per un po’, e poi torni a essere dirigente. Una volta entravi in azienda come impiegato, poi se riuscivi facevi la tua carriera lì dentro, diventavi dirigente, e la carica di dirigente era quella finale che ti accompagnava fino alla pensione. Del resto anche le aziende sono cambiate. Lo vedo come direttore di LigurCapital, noi supportiamo la creazione di imprese, di start-up, soggetti che nascono, crescono abbastanza velocemente e poi hanno un’evoluzione che le porta a essere comprate da altri soggetti, o a comprare altri soggetti, oppure, più spesso, a chiudere. Disponiamo di una statistica non aggiornatissima, però sempre significativa: in media un dirigente nella stessa azienda rimane non più di 3-4 anni. In un contesto così cambiato anche l’associazione ha dovuto cominciare a ragionare su qual è il dirigente che oggi ha di fronte e che tipo di risposte poteva dare a esigenze nuove».
Quali sono queste nuove esigenze?
«Con questo tipo di percorsi sicuramente c’è bisogno di una forte componente di accompagnamento, quindi noi abbiamo una scuola di formazione che si chiama Cfmt, Centro di formazione management del terziario, il fondo contrattuale che si prende cura della formazione continua dei dirigenti e delle aziende del terziario. Anche la formazione si è evoluta, c’è una parte ancora importante di formazione specialistica, quindi il verticale sulla finanza, il verticale sul commercio, però c’è anche tanta formazione sullo sviluppo della soft skill, del pensiero strategico, perché oggi cosa si chiede a un dirigente? Sì, di avere alcune competenze tecniche, ma soprattutto competenze e capacità nella creazione e gestione di team anche complessi, che comprendono persone con più esperienza e persone molto giovani, individualità che provengono anche da contesti culturali diversi. Il dirigente deve saper gestire complessità non indifferenti, mettere insieme anche dipendenti con competenze che lui stesso non ha e dialogare con loro. Deve essere in grado di fare dialogare tutti. Ormai tutte le organizzazioni, almeno quelle un pochino più evolute, stanno lasciando il classico schema piramidale, quello che ci insegnavano all’università, cioè la gerarchia dell’azienda con il primo livello, il secondo, il terzo, ecc…. Adesso si lavora per progetti, e quindi smonti un team e lo ricrei su un progetto, lo rismonti, lo metti su un altro progetto. L’organizzazione è orizzontale. E al manager si richiede attitudine alla leadership, visione strategica e capacità adattativa».
Forse anche perché non solo i manager cambiano aziende, e le aziende cambiano organizzazione, ma cambiano anche gli scenari.
«Certo, un tempo si parlava del cigno nero, di un evento che capitava una volta ogni chi sa quanto tempo, ma ormai siamo immersi in uno stagno popolato di cigni neri: nel 2008 si è partiti con la Lehman Brothers, poi sono arrivati la pandemia, le guerre, il problema dell’energia. La geopolitica sta radicalmente mutando. Viviamo in un’epoca straordinaria, probabilmente è questa l’era in cui ridefiniremo gli equilibri a livello globale. In un contesto di questo tipo bisogna avere una visione strategica, ma anche essere bravissimi a cambiare e rifare i propri piani».
II manager dovrà anche fare i conti anche con gli impatti dell’intelligenza artificiale.
«L’intelligenza artificiale è uno strumento superpotente in grado di fornire risposte tecniche molto velocemente, più velocemente dell’essere umano. Può eseguire calcoli in tempi brevi, predisporre dati che un essere umano avrebbe difficoltà a raccogliere. Quello che difficilmente potrà darci è l’elaborazione di una strategia, di una visione, la gestione di un team».
La formazione quindi per voi è fondamentale. Si svolge in tutti i territori di ManagerItalia?
«Sì. La scuola di formazione è una scuola nazionale, naturalmente, e le sue attività vengono svolte anche sui territori. Molta di questa attività viene sviluppata online, il Covid ha dato una spinta importante in questo senso, quando la gente era chiusa in casa la scuola ha capito subito come riprogrammarsi, come ridefinire e rendere fruibili a distanza una serie di corsi pensati per essere tenuti in presenza. Si organizzano ancora eventi in presenza, quelli che richiedono più interazione. Abbiamo anche un’attività di accompagnamento per chi che esce dal contratto dei dirigenti. Le politiche attive per noi sono un altro aspetto fondamentale».
In che senso si esce dal contratto dei dirigenti?
«Il dirigente può essere licenziato. Noi abbiamo sviluppato, e inserito nell’ultimo rinnovo contrattuale, un percorso di affiancamento di politiche attive importanti per il dirigente, per accompagnarlo nel momento in cui si verifica il licenziamento, evento che per molti è veramente un trauma. In questa fase le persone hanno bisogno di essere affiancate, anzitutto per capire che non sono sole, e che quello che stanno vivendo non succede solo a loro».
Come avviene l’affiancamento?
«Abbiamo percorsi di reinserimento erogati dal Cfmt, affianchiamo la persona, cominciamo a dirle che la sua ricollocazione può certo essere come dirigente, ma anche in un’altra posizione sempre alle dipendenze di un’azienda, magari come quadro direttivo, oppure le spieghiamo che può anche pensare di cominciare a diventare un professional, cioè uno che ha la sua partita Iva, che diventa un consulente d’azienda, oppure un imprenditore. Abbiamo visto che c’è un certo numero di dirigenti che decide scientemente di diventare professional, di collaborare con le aziende ma non essere più dipendente. C’è chi scopre un nuovo equilibrio vita-lavoro, si rende conto che si può lavorare in modi diversi, in tempi diversi, che non c’è bisogno di essere fisicamente presente nell’ufficio dalle 8 alle 18. Altri si sono ritrovati con piacere a fare l’imprenditore, quindi ad aver messo a terra tutta una serie di competenze, conoscenze, relazioni accumulate in anni di lavoro dipendente per crearsi la propria azienda. C’è insomma chi decide di fare il consulente o l’imprenditore non perché è stato licenziato ma per libera scelta. In ogni caso chi chiude un rapporto di lavoro normalmente riceve da noi assistenza legale. Inoltre abbiamo un sistema di welfare molto strutturato, un sistema di previdenza integrativa, di assistenza sanitaria integrativa. A chi termina il rapporto di lavoro offriamo una consulenza per vedere se gli convenga continuare a contribuire a queste forme di welfare. che sono obiettivamente un bel sostegno».
Fate anche assistenza sindacale a chi viene licenziato?
«Sì, di solito negoziamo la chiusura dei licenziamenti e poi accompagniamo le persone per capire qual è il percorso che effettivamente vogliono intraprendere. Queste attività sono comprese nelle linee strategiche dell’associazione che valgono per tutta Italia».
In Liguria qual è la vostra linea strategica principale?
«Nel nostro ultimo precongresso del 23 maggio, dove abbiamo fatto le elezioni di quelli che sarebbero stati i componenti del consiglio, abbiamo deciso di andare in maniera molto proattiva sulla crescita. Perché ormai da 4-5 anni stiamo collaborando l’Iit e con Filse per la creazione di imprese, quindi per le start up. Con Iit e l’Università di Genova lavoriamo a un programma che si chiama HTE, che insegna le basi utili ad avviare una start-up tecnologica. Obiettivo del programma è permettere agli studenti di entrare in contatto concretamente con business model altamente votati alla tecnologia».
Che apporto fornite?
«Con dei nostri manager entriamo nei team che stanno sviluppando un prodotto specifico e diamo supporto manageriale, facciamo riflettere su quali sono gli elementi che servono per capire quale sarà la strategia di business, quali sono gli investimenti da fare, quali sono i ritorni che ci devono essere, diamo veramente una visione da manager nella costruzione di un possibile business a delle persone che normalmente sono degli straordinari scienziati con menti brillantissime però mancano naturalmente dell’esperienza imprenditoriale. Stesso discorso con Filse nel progetto Smart Cup, anche qui abbiamo messo a disposizione 100 ore di affiancamento da parte di nostri manager alle start-up che vengono premiate da Filse come le migliori».
Avete altri programmi di questo genere?
Un altro programma riguarda la parte crescita delle giovani competenze. Ormai da 11 anni stiamo portando avanti un programma che si chiama Voglio fare il manager in collaborazione con l’Università di Genova. Noi selezioniamo i ragazzi che partecipano a un bando, e ai ragazzi selezionati mettiamo a disposizione cinque giorni di affiancamento da parte dei nostri manager all’interno delle aziende. Facciamo proprio vivere l’esperienza dell’essere un manager in azienda e questo programma è diventato un elemento di grande interesse anche per l’università perché consente ai ragazzi di fare esperienza, sono tutti laureandi o neolaureati, e alle aziende di arrivare in contatto con dei talenti, molti dei quali sono poi vengono contrattualizzati. È un bel matching studenti e aziende. Anche straniere. Del resto abbiamo fra le nostre aziende associate molte multinazionali».