Silvano Fuso, genovese, già insegnante di chimica al liceo scientifico Primo Levi di Ronco Scrivia, oggi in pensione, è molto attivo nella divulgazione scientifica. È uno di quegli studiosi consapevoli del fatto che il loro ruolo sociale va oltre il laboratorio o la scuola: se la scienza non è presente nello spazio pubblico, dilaga quello che Fuso definisce “pensiero magico”, cioè la convinzione di poter influenzare la realtà secondo pensieri e desideri personali, costruendo rapporti di causa-effetto senza alcuna prova empirica.
Il pensiero magico non orienta soltanto le persone meno scolarizzate e meno avvantaggiate nella stratificazione sociale: non conosce barriere di classe, anzi, è comunissimo anche tra i più abbienti, circola ampiamente tra intellettuali e rappresentanti politici e traspare anche da alcune decisioni della magistratura (vedi, tra l’altro, la vicenda della Xylella). E non produce soltanto fatuità: c’è chi butta via il proprio denaro per acquistare i pomodorini bio ma c’è chi, come il presidente dello Sri Lanka, per rendere l’agricoltura del paese biologica al 100% ha provocato una catastrofe economica e alimentare.
Nel volumetto “Il futuro è bio?” (Edizioni Dedalo), Fuso prende in esame agricoltura biologica e biodinamica. E parte, opportunamente, dalla constatazione che è assurda la polarità, presupposta dalle teorie bio e biodinamiche, agricoltura naturale – agricoltura artificiale. A parte il fatto che non tutto ciò che è naturale è buono – come sa, o ha constatato poco prima di morire, chi ha mangiato un fungo velenoso, o è rimasto vittima di un terremoto, un’eruzione vulcanica, ecc… – e non tutto ciò che è di sintesi è cattivo, le proprietà di una sostanza essendo determinate dalla sua struttura molecolare e non dalla sua origine – è l’agricoltura in sé a essere “contro natura”. Il suo scopo è proprio quello di modificare la natura.
“Tutte le specie agricole attualmente coltivate – scrive Fuso – non sono naturali. Nessun prodotto ortofrutticolo che troviamo di solito sul banco del mercato è mai esistito spontaneamente in natura. Lo stesso dicasi per le specie animali”. (pag 14). E per i paesaggi: Fuso cita in proposito l’Operetta morale “L’elogio degli uccelli” di Giacomo Leopardi: “Una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi, è piuttosto artificiale”. (Di Leopardi, osserviamo, per quanto riguarda la bontà della natura è utile e bello anche rileggere “La Ginestra” e l’Operetta “Dialogo della Natura e di un Islandese”).
Per stare ai nostri giorni, scrive il professore genovese, “È piuttosto abituale vedere spot pubblicitari in tv che mostrano dolci colline illuminate dal sole, con campi di grano le cui spighe ondeggiano al vento e, accanto, una placida vacca pezzata che pascola. Ma rendiamoci conto che quelle colline sono state con ogni probabilità modellate dall’uomo con trattori e scavatrici, ricoperte di colture frutto di millenni di selezione genetica attuata dai nostri antenati, e che la vacca è una frisona, ottenuta da secoli di incroci finalizzati all’aumento della produzione del latte”. (p. 17).
Se l’agricoltura non è mai stata “naturale” e ha conosciuto innovazioni nel corso dei secoli, nella seconda metà del Novecento è stata interessata da una radicale innovazione che ha determinato un aumento della produzione mai visto prima: fertilizzanti chimici di sintesi e agrofarmaci oggi garantiscono la sicurezza alimentare al 90% della popolazione mondiale. Paesi che decenni fa erano afflitti da fame e carestie oggi esportano beni agroalimentari.
Il “biologico” presenta rese che sono dal 20 al 70% inferiori. Ciò significa che se tutta l’agricoltura mondiale diventasse bio come alcuni auspicano, per mantenere l’attuale produzione occorrerebbe aumentare in larga misura la superficie coltivata a spese di quella libera (praterie, boschi, ecc…), aumentando quindi, e non diminuendo, l’impatto ambientale.
Fuso ricorda che dagli studi scientifici non risultano differenze significative tra prodotti bio e non bio in fatto di sicurezza alimentare, proprietà e qualità organolettiche. “Alcuni test condotti in cieco (senza che gli assaggiatori conoscessero la natura degli alimenti assaporati) hanno mostrato come sia sostanzialmente impossibile distinguere cibi bio da cibi non bio. A determinare il giudizio sono in realtà le nostre aspettative” (p. 38).
La differenza sta nel fatto che il prezzo del bio è in media circa il doppio e che richiede, a parità di produzione ottenuta, maggiore superficie coltivata. Interessante è il caso dello Sri Lanka (p. 42-45).
Un capitolo del libro è dedicato all’agricoltura biodinamica, di cui peraltro la senatrice a vita e ricercatrice Elena Cattaneo ha denunciato la totale infondatezza, definendone le pratiche non solo antiscientifiche ma schiettamente esoteriche e stregonesche (vedi il testo del discorso tenuto da Elena Cattaneo nella discussione in Senato su un disegno di legge sull’agricoltura con metodo biologico, il 20 maggio 2021 ).
Lo scritto di Fuso e il discorso di Cattaneo sull’agricoltura biodinamica un po’ fanno sorridere e un po’ mettono a disagio, se si pensa che certe pratiche sono state prese sul serio dai rappresentati della nazione. Rimandiamo il lettore al libro del professore genovese.
Che conclude affermando: l’agricoltura “Dovrà diventare sempre più professionale, razionale e innovativa, utilizzando tutte le migliori risorse che la ricerca scientifica e tecnologica ci mette a disposizione”.