“Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del loro interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi”. È la celebre frase della “Ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, il libro che ha aperto la strada del pensiero economico moderno e si può considerare tra le componenti all’origine del liberismo. Nel 1976, George Stigler, uno dei maggiori esponenti della Chicago school of economics, neoliberista e contraria alle teorie di John Maynard Keynes, nel discorso pronunciato al banchetto organizzato in occasione del bicentenario dalla pubblicazione della Ricchezza delle Nazioni dichiarò: “Vi porto i saluti di Adam Smith, che è vivo e vegeto e abita a Chicago”.
Il concetto espresso da Smith nel celebre passo della Ricchezza della nazioni non è mai stato accettato da molti intellettuali statalisti, socialisti di varie sfumature e da religiosi filoperonisti, cattolici e non solo e tuttora questo rifiuto ispira pensatori alla moda che vedono nel libero mercato l’origine dei mali. E comprensibilmente Stigler considera Smith un proprio sodale. Ma il filosofo scozzese non si limitava a indicare la libera concorrenza come presupposto dello sviluppo economico, metteva anche in guardia circa gli ostacoli che possono compromettere i benefici creati dagli scambi. Solo una società che rimuove questi ostacoli può assicurare giustizia e prosperità a una popolazione in continua crescita. Smith condannava i privilegi di pochi commercianti o industriali (contrari ai privilegi dei proprietari terrieri ma spesso inclini ad affermarne di propri), le lobby e il clientelismo che frenano o uccidono la concorrenza, il colonialismo e l’imperialismo di cui il Regno unito stava diventando campione. Il piano morale e il piano dell’efficienza per Smith coincidono.
Un pensiero ricco, complesso, e ben viene la guida alla lettura della Ricchezza delle nazioni di Maria Pia Paganelli, pubblicata da IBL Libri.
L’autrice ci illustra in modo chiaro, esauriente ma conciso, le teorie di Smith contestualizzandole nell’ambiente politico e culturale del pensatore scozzese. E a proposito della sua opera più famosa si domanda: “Il libro non è solo vecchio. È datato. Eppure, come il capitale di Karl Marx, è a oggi il libro più importante e famoso della teoria economica. È anche un libro che richiama studiosi di varie discipline. Perché? Perché la Ricchezza delle nazioni è un libro che continua a essere letto ed è importante anche ai nostri giorni?” (p. 285). Per le domande che pone, secondo Paganelli. “Come potrebbe essere un sistema giusto che nello stesso tempo promuova il benessere dell’umanità, data la natura imperfetta e non perfettibile della specie umana? Come riuscire a realizzarlo? Come preservarlo? Quando ci rapportiamo alla Ricchezza delle nazioni in questo modo possiamo cominciare a intravedere il suo fascino di lunga durata. Le domande che Smith pone sono interessanti anche per noi e continueranno a esserlo anche in futuro. Le sue prescrizioni politiche possono essere peculiari del suo tempo, e non è detto che siano appropriate al nostro ma, stimolati dalle sue domande, possiamo stimolare la specificità della sue risposte e cercare quelle adatte al nostro tempo” (p. 288).