Se già prima dei tragici fatti di Israele il Mediterraneo appariva fragile ed esposto a rischi, incertezze e instabilità, ora quella dell’ex Mare Nostrum sembra davvero una storia tutta da riscrivere. E il convegno di apertura della Genoa Shipping Week, organizzato oggi a Genova dall’Associazione Agenti Marittimi e dedicato proprio alla “rotta fra gli scogli in Mediterraneo”, lo ha confermato, evidenziando pericoli in parte sconosciuti ma anche opportunità che il post-emergenza potrebbe schiudere specie nei rapporti fra Italia, costa settentrionale dell’Africa e Medio Oriente, conferendo concretezza al cosiddetto Piano Mattei; e ciò, a fronte di costante latitanza nella presenza e nel ruolo dell’Unione europea, concentrata quasi esclusivamente sulle sue frontiere orientali.
I dati negativi del Mediterraneo emersi nel corso del dibattito guidato dal presidente di Assagenti, Paolo Pessina, forniscono un quadro che solo eufemisticamente potrebbe essere definito inquietante: l’80% dei Paesi che si affacciano dall’Africa e dal Medio Oriente sul Mediterraneo può definirsi stabile; a Stati falliti come la Libia, si affiancano Stati in fallimento come il Libano, Stati canaglia come la Siria, Stati in avvitamento su sé stessi come la Tunisia. E inoltre Paesi come la Turchia (membro Nato) che nascondono una crisi economica e inflattiva difficilmente sopportabile, occultandola sotto mire espansionistiche (il caso Azerbajan) che “puntano” con sempre maggiore intensità i territori di Iraq e Siria.
Gli Stretti, vitali per l’accesso al Mediterraneo, sono a rischio per la guerra in Ucraina e per la crescente presenza russa in Siria; l’Iran è una mina vagante in grado di sviluppare violenza estrema, e la Turchia vanta anche il ruolo di controllore chiave sugli Stretti.
Ad anni di distanza dal disimpegno della flotta americana in Mediterraneo − come denunciato dal Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare italiana, ammiraglio di Squadra Giuseppe Berutti Bergotto − il raggio d’azione delle Marine Militari di Turchia, Algeria ed Egitto ha registrato una costante crescita, e la presenza di navi militari russe si è decuplicata.
Eppure – come sottolineato dai maggiori operatori presenti (Antonio Gozzi per Duferco, Ignazio Messina per la Ignazio Messina&C., Vincenzo Romeo per Nova Marine Carriers, Davide Falteri per Federlogistica, il Cavaliere del Lavoro Massimo Ponzellini per il Centro Giuseppe Bono, nonché Alessandro Santi, presidente di Federagenti) – il Mediterraneo potrebbe trasformarsi dal drammatico teatro di guerra di questi giorni in un mare di collaborazione economica e industriale. «Un mare in cui − ha sottolineato Gozzi – l’Italia gode di un naturale vantaggio competitivo per la capacità storica di dialogare con l’altra sponda, sia quella africana che mediorientale, e quindi di mettere a fattor comune gli sforzi di diversi gruppi imprenditoriali».
Il salto di qualità richiederà un’alleanza strategica fra soggetti pubblici e privati in Italia e la definizione di un piano di sistema che metta in relazione filiere che “oggi non si parlano”, come ad esempio logistica e agricoltura. In ciò favorendo alleanze imprenditoriali europee allargate in grado di fornire agli altri Paesi mediterranei anche il valore aggiunto di finanza, know-how e progettualità.
Ma, alla luce delle notizie rimbalzate a Genova dal Vicino Oriente, il domani sembra essere terribilmente lontano. La realtà è quella di una guerra potenzialmente devastante in atto, difficilmente arginabile – come sottolineato da Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – guerra che anche sotto pressione delle piazze potrebbe rimettere in discussione i Patti di Abramo e la nascente intesa fra Israele e Arabia Saudita.