“Il passeggero” è la più recente pubblicazione disponibile in Italia di Cormac McCarthy, uscita lo scorso maggio, cui seguirà a settembre “Stella Maris”, il completamento della diade (all’estero i due titoli sono già disponibili).
La recente morte di McCarthy, quasi novantenne, ha indotto taluni recensori ad assegnare al “Passeggero” valore testamentario, sia in poetica che estetica ed etica dell’autore.
Trovo più appropriato definire il romanzo come il primo volume della “summa” filosofico- esistenziale di McCarthy.
“Il passeggero” contiene, affina e affila diversi tratti peculiari della visione dello scrittore.
Ancora una volta è raccontato un universo maschile, in cui le donne “non sono”, perché o svanite o lontane o ferite o non ancora compiute, ma “ci sono” perché amate, ricordate, pensate, comunque prossime e necessarie.
Con Bobby Western, il protagonista, sommozzatore impegnato in una macabra e difficile operazione di ricognizione su un jet inabissatosi alle foci marine del Mississipi, McCarthy canta l’epicedio struggente, non ritualista, a individui irregolari, sapienti, feriti e infrangibili, che ben dicono perché ben hanno pensato, che vedono le cose come sono. Che non si arrendono. Insieme a Bobby, allo stoico minimalista Oiler, al prolisso dandy Sheddan, al paranoico Boorman, McCarthy affronta il dolore nelle sue manifestazioni più dure: la perdita di una sorella, la malattia mentale, la solitudine, le colpe dei padri che, alla fine, vanno perdonati anche se hanno partecipato al programma Manhattan e reso possibile l’olocausto nucleare.
Ancora una volta, definitivamente, McCarthy afferma in fatto che “vita est militia super terram”, che poi sia derivazione biblica o senechiana, poco importa perché tale milizia resta una chiamata individuale, non una mobilitazione generale o una indignazione collettiva.
I libertari di McCarthy, presenti in tutte le sue opere esattamente come nei film di Eastwood, fronteggiano il dolore e il male, solitari, dignitosi, abili e pragmatici, senza arretrare neanche di fronte alle allucinazioni indotte dalla malattia mentale. Sanno che le “tragedie danno forma” alle vite di chi le subisce.
La galleria di personaggi memorabili che costellano il libro è ampia al punto che mi è stato necessario annotarne i nomi. I dialoghi “alla maniera McCarthy” chiedono concentrazione a chi legge per la sequenza serrata di affermazioni e repliche.
La natura degli stati dell’East è nitida e distante, segno dell’alterità immutabile tra cosmo e genere umano che le competenze di scienziato della fisica di Bobby Western non riescono a penetrare.
La prima lettura non è facile, l’alternanza delle narrazioni, l’intreccio delle storie impegnano.
Però l’immersione nella psiche di Alicia, la sorella di Bobby, descritta dal protagonista delle allucinazioni, il Kid, che si alterna al racconto dell’odissea di Bobby, dopo la missione nel jet sommerso, sono evidentemente lo strumento del fuoriclasse per condurre chi legge in un flusso, in una dimensione raccolta e profonda, di vigilanza.
Affiancare Bobby nella milizia, insieme a Omero, Shakespeare, ai tragediografi greci, sino al mare Mediterraneo, padre cosmico di tutto, non è semplice: sarà necessario fuggire da agenti governativi che usano fisco e burocrazia per spegnere individui, bisognerà sacrificare una Maserati Bora, rinunciare, affrontare solitudine e gelo, ma il premio sarà grande.
Imparare a viaggiare leggeri, agire, giocare bene, essere padroni del proprio tempo, sapere dove incentrare il proprio sguardo e chi e cosa amare saranno le ricompense.
Un altro regalo di Cormac McCarthy.