Quante cose possono succedere a un pensionato americano, reduce da un matrimonio fallito e da un cancro superato, che si è appena trasferito a Brooklyn alla ricerca di “un buon posto per morire”?
Fin dalle prime pagine di “Follie di Brooklyn” (Einaudi) , Paul Auster fa intendere che quello di Nathan Glass non sarà affatto un “fine vita” noioso e insapore. Anzi. Una serie di vicende porteranno l’anziano a vivere un nuovo capitolo della sua esistenza, fatto di relazioni più o meno nuove: un nipote ritrovato, l’amore di una “gallina vecchia” e la conoscenza di Harry, libraio dal passato da truffatore che non riesce a rinunciare all’inganno per inseguire i suoi sogni. E ancora, il rapporto burrascoso con la figlia, con cui ritrova finalmente un nuovo equilibrio, e il sogno illuso dell’ “hotel esistenza”. Per non parlare dell’incontro con la “BPM” (non vi sveliamo qui il significato dell’acronimo) e di quello a sorpresa con Lucy, la pronipote di dieci anni che si rifiuta di parlare della mamma e del patrigno bigotto, così ossessionato dalla religione da trasformare il focolare domestico in un vero incubo.
Pagina dopo pagina, la commedia strappa al lettore un sorriso in ben più di un’occasione. Ma alla fine di tutto, passati i momenti ironici, le situazioni buffe e le battute esilaranti, quel che ci rimane del romanzo di Auster è soprattutto molta amarezza: non si può rimanere indifferenti di fronte alle drammatiche vicende personali dei personaggi del romanzo, spesso reduci da divorzi e problemi famigliari, guai con la giustizia, trascorsi di droga, convivenze impossibili. Nathan, in mezzo a tutte queste vicende, è il protagonista ideale. Mentre si avvia verso “il dicembre della vita” (ma, come scrive Auster, “senza dubbio maggio era decisamente alle sue spalle”), annota momenti, incontri e vicende che vorrebbe raccogliere nel suo “Libro dell’umana follia”. Nel frattempo, cerca di vivere quel che resta della sua esistenza cercando, per quanto possibile, di aiutare il prossimo e se stesso, provando a recuperare persone e rapporti a brandelli. E lo fa con la leggerezza, la saggezza, l’esperienza e la spensieratezza di un uomo che ne ha passate tante, dal divorzio al cancro, e che non sembra avere più paura di nulla. Forse. Ma questo non ci è dato saperlo: Auster lo lascia alla nostra fantasia, chiudendo il romanzo in uno di quei giorni che restano per sempre impressi nella memoria del mondo.