I sancrau si possono considerare la versione genovese dei sauerkraut tedeschi. Cioè di quelli che noi italiani chiamiamo crauti e mangiamo di solito insieme ai würstel o ad altri tipi di salsiccia, con le patate bollite e la senape.
In realtà i due piatti hanno in comune l’ingrediente principale, il cavolo, ma la loro preparazione è molto diversa. In Germania questo ortaggio viene fatto fermentare prima della cottura, a Genova, e in altre parti d’Italia, va fresco fresco in tegame, dove viene stufato nell’aceto. Anche in altre parti d’Italia, certo, perché il cavolo nel nostro Paese c’è quasi ovunque, l’aceto anche, e i due stanno volentieri insieme. Inoltre il modello tedesco deve avere stimolato la fantasia dei cuochi di varie regioni. Tanto è vero che un piatto simile, con lo stesso nome, è una ricetta tradizionale anche in Piemonte. Sarà una ricetta piemontese adottata poi in Liguria – dove peraltro oggi è poco ricordata – o viceversa, oppure si tratta di fenomeni indipendenti? Non ha importanza saperlo, a noi, alla ricerca di piatti tradizionali liguri da sottrarre all’oblio, basta sapere che la ricetta del sancrau è presente nella “Vera cuciniera genovese” di Emanuele Rossi, edito la prima volta nel 1865 (vedi ed. Pentagora, 2013, pag 43). Con la denominazione di “saur-kraut”, che sembra rifarsi direttamente a quella tedesca.
E poiché la stagione dei cavoli sta per finire e il piatto è gustoso e facile da preparare vale la pena di provarlo.
Ingredienti: 500 grammi di cavolo cappuccio, più spesso verde ma c’è chi usa il rosso (in Piemonte si usa il verza), mezzo bicchiere di aceto rosso (o bianco se lo preferite meno pungente), due spicchi d’aglio tritato, mezzo bicchiere d’olio d’oliva extravergine, sale, 300 grammi di luganega oppure quattro acciughe salate.
Lavate e mondate il cavolo, tagliatelo a striscioline, salatelo e mettetelo a cuocere in un tegame a fuoco vivace, senza grassi. Il recipiente deve essere abbastanza grande perché il cavolo fresco è molto voluminoso. Fate cuocere mezz’ora, in modo che l’ortaggio dia via la sua acqua, quindi fatelo scolare bene, asciugate il tegame e versateci l’aceto, l’olio, l’aglio tritato e il cavolo.
A questo punto dobbiamo scegliere: aggiungere le acciughe o la salsiccia? Oppure nulla, come nella ricetta di Rossi? Dipende, è ovvio, dai vostri gusti, e anche dal fatto che il sancrau vi serva come piatto principale o come contorno. Nel primo caso metterete la salsiccia e sale sufficiente, nel secondo le acciughe oppure soltanto il sale. Per la salsiccia abbiamo nominato la luganega, che di solito si usa dalle nostre parti, ma nessuno ci vieta di impiegare cotechini o salamini, come in Piemonte. Se scegliete questi ultimi, accertatevi con il negoziante del loro tempo di cottura, perché i cavoli saranno pronti nel giro di 30-40 minuti. Se preferite le acciughe, dopo averle lavate e diliscate fatele a pezzi e mettetele a cuocere nell’olio insieme al cavolo.
Nella ricetta di Rossi il piatto, acidulo, viene consigliato come contorno al lesso di bovino o pollo. Buona idea, che vale anche per la versione con le acciughe salate (la loro presenza accanto alla carne non deve turbarci, visto che le acciughe sono un ingrediente, non secondario, della salsa verde da bolliti e del vitello tonnato).
E il vino? Qui, in sostanza, siamo di fronte a tre piatti differenti. Tutti e tre con l’aceto, che rende non facile l’accostamento con il vino. Per la versione con la luganega potrebbe andare bene un Valpolcevera Rosso, per le altre, visto che si tratta di contorni, la presenza dell’aceto non è problematica e il vino da abbinare dipende dalla carne scelta: con un bollito di manzo potreste scegliere un Riviera Ligure di Ponente Ormeasco Superiore, con il pollo un Golfo del Tigullio Ciliegiolo.
Placet experiri!