«Vorrei ringraziare sua maestà la regina Elisabetta II per la sua graziosa concessione di utilizzare il materiale degli archivi reali di Windsor, e soprattutto per avermi consentito di essere il primo biografo di Churchilll ad avere accesso illimitato al complesso dei diari di guerra del suo defunto padre, il re Giorgio VI». Lo storico Andrew Roberts, autore di questa monumentale biografia di Churchill (1405 pagine, edit. Utet, traduzione di Luisa Agnese Dalla Fontana), così inizia un elenco di ringraziamenti a chi gli ha consentito di consultare documenti fino ad allora non accessibili o difficilmente accessibili, un elenco che occupa cinque pagine. «Solo nell’attuale decennio – scrive – gli ultimi pezzi del puzzle archivistico sono diventati disponibili per i ricercatori… Ci sono gli strumenti giusti per raffigurarlo con colori simili al vero».
Questo spiega la decisione di Roberts di cimentarsi nell’ennesima biografia del grande statista britannico, oltre, evidentemente, alla fiducia dell’autore nelle proprie capacità di possedere «gli strumenti giusti per raffigurarlo con colori simili al vero». Strumenti che non si limitano alla documentazione ma richiedono la capacità di capire e rappresentare una personalità immensa.
Churchill (Blenheim Palace, Oxford, 1874 – Londra 1965), è noto come lo strenuo oppositore, e vincitore, di Hitler nella seconda guerra mondiale. Ma è stato anche capace di intuizioni e realizzazioni ciascuna delle quali gli meriterebbe un posto nella storia. Aveva voluto e costruito la grande flotta britannica che si rivelerà decisiva nel primo conflitto mondiale, aveva intuito le potenzialità strategiche del carrarmato, come soltanto alcuni generali tedeschi, che poi nella seconda guerra mondiale useranno i carri armati in coordinamento con paracadutisti, aviazione, artiglieria e fanteria, conquistando quasi tutta l’Europa, mentre la gran parte dei miliari e dei politici europei ancora alla fine degli anno Trenta aveva una visione della guerra statica come nel primo conflitto mondiale, era stato l’inventore della Raf, che si rivelò decisiva nel confronto con la Germania. Il giorno del suo funerale sei aerei Lightening scesero in picchiata per commemorarlo.
Prima della grande guerra aveva capito che la Francia non era più in grado di resistere alla Germania da sola e che la Gran Bretagna doveva abbandonare il suo isolamento storico per allearsi con la Francia. Ma dopo la vittoria nella prima grande guerra avrebbe voluto coinvolgere la Germania nella ricostruzione di un ordine mondiale, poi fu il primo politico di rilievo a capire i due pericoli totalitari del comunismo e del nazismo. Nel 1946 a Fulton, negli Stati Uniti, in un discorso diventato famoso, parlò della “cortina di ferro” che ormai divideva il mondo sovietico da quello occidentale, esortando a resistere all’espansione del comunismo, quando in Europa e negli Usa molti si illudevano sulla vera natura del comunismo e dell’Unione Sovietica.
L’importanza di Churchill sta comunque soprattutto nel fatto che impedì al governo britannico di fare la pace. Se al suo posto ci fosse stato Halifax avrebbe voluto conoscere le condizioni poste da Hitler e probabilmente le avrebbe accettate. Halifax – scrive lo storico – non era un semitraditore, semplicemente non vedeva come la Gran Bretagna avrebbe potuto vincere, applicava la logica. E se avesse negoziato un trattato di pace con Hitler nell’estate del 1940, avrebbe ottenuto la maggioranza in entrambe le Camere, anche perché il pacifismo era forte e il Partito comunista britannico era contrario al conflitto, come i fascisti. Churchill fu indispensabile perché nessun altro personaggio di primo piano ebbe tanta fiducia nella vittoria finale.
Lo storico cerca anche di entrare all’interno della complessa personalità dello statista, non cede all’agiografia ma è evidente che sente il fascino del personaggio. Tra l’altro fa giustizia su alcune voci, probabilmente fatte circolare dai suoi nemici, per indebolirlo, come il fatto che fosse depresso bipolare o alcolista. Momenti di tetraggine si spiegano con gli alti e bassi della sua lunga vicenda storica e quanto all’alcolismo, semplicemente Churchill era un forte bevitore, come molti uomini, anche della classe dirigente, del suo tempo. Del resto, è difficile che un alcolista viva 91 anni, vincendo una guerra mondiale e, a 77 anni, le elezioni per tornare premier.
Roberts tratta anche di una delle critiche più frequenti mosse alla personalità di Churchill: quella di essere insensibile alle opinioni degli altri. Di certo Churchill aveva un carattere difficile e convinzioni profonde che non esitava ad affermare. Era impossibile intimidirlo. Non sentiva il bisogno di adattare il proprio messaggio politico alle circostanze e alle aspettative dell’opinione pubblica. Guardava molto più avanti. E anche molto più indietro, alla storia dell’Inghilterra e della sua famiglia. La fiducia nelle sue ragioni gli veniva anche dall’appartenenza all’aristocrazia. «Non soffrì mai della deferenza o dell’ansia sociale della classe media per la semplice ragione che non apparteneva alla classe media» – scrive Roberts.
E così la democrazia, in Europa e altrove, è stata salvata da un grande aristocratico, della famiglia del duca di Marlborough, nato in un castello. Il che lascia perplessi, in anni in cui la democrazia, in Italia ma non solo, sembra essere stata messa in forse dal voto popolare.