Investire nella prevenzione non solo avrebbe generato un notevole risparmio sulle attuali spese di gestione dell’emergenza Covid-19 in ciascun Paese del mondo, ma avrebbe anche permesso di affrontare la pandemia con minor improvvisazione, specie in quelli dell’Occidente. I numeri della crisi della scorsa primavera e quelli dell’attuale seconda ondata dimostrano però che nessun Paese abbia mai voluto investire nella gestione di un’eventuale epidemia o pandemia, a fronte di reali possibilità di potersi trovare almeno un po’ più pronti davanti a una situazione del genere.
La riflessione è emersa nel corso della conferenza online “Come si sviluppa e come si esaurisce una pandemia”, che ha aperto il ciclo di incontri dedicati al Covid-19, organizzati nell’ambito del Festival della Scienza di Genova. A mettere in luce quanto sia mancata la preparazione nella gestione dell’evento pandemico è Ranieri Guerra, direttore generale aggiunto dell’Organizzazione mondiale della sanità: «Un investimento di circa 4 miliardi di dollari per la preparazione e la messa in sicurezza dei nostri sistemi avrebbe garantito un risparmio di almeno sette-otto volte rispetto al costo che stiamo affrontando per gestire l’emergenza coronavirus, pari a circa 35 miliardi di dollari. Esiste un’agenzia, con cui l’Oms ha siglato un partenariato, fondata dall’ex presidente Obama nel 2014. Si chiama Global Health Security Agenda, vi aderisce anche l’Italia insieme a un’altra sessantina di Paesi. Tra i suoi principali obiettivi, c’è la valutazione preliminare della capacità di risposta dei singoli Paesi in caso di pandemia. Capire cioè quali sono i gap nei singoli sistemi e mitigarli, in previsione del verificarsi di un’epidemia. In base a questa valutazione, fatto 100 il punteggio corrispondente allo stato di adeguatezza, nessun Paese ha mai superato quota 40. Questo, insieme a ciò che sta accadendo, sottolinea ancora più quanto il mondo non sia preparato a rispondere in modo adeguato alla pandemia in corso. Quel famoso investimento da 4 miliardi di dollari all’anno riuscirebbe a garantire il raggiungimento della “soglia 100” di adeguatezza. Preparazione, preparazione, preparazione: questo il senso del messaggio».
Il tempo per l’improvvisazione non c’è, lo abbiamo testato sulla nostra pelle: «In un mondo globalizzato – riflette Giovanni Rezza, specialista in Igiene e Medicina Preventiva e in Malattie Infettive, ex dirigente di ricerca all’Istituto Superiore di Sanità – i virus viaggiano con le persone, che fanno un po’ da “cavallo di Troia” ai batteri: la globalizzazione ci fa certo risparmiare sotto alcuni aspetti, ma la paghiamo in termini di salute».
Un mondo in continuo movimento ma anche in costante alterazione da parte dell’uomo: «Due elementi che storicamente favoriscono la comparsa di nuovi patogeni nella popolazione umana – spiega Bernardino Fantini, professore onorario di Storia della medicina e della sanità all’Università di Ginevra – Un nuovo agente patogeno può nascere dalla mutazione genetica di batteri o può essere causato da un cambiamento dello stato immunologico di una popolazione. In altri casi però l’introduzione di una malattia in una popolazione umana avviene spesso per mano di un’altra popolazione umana: è il caso delle migrazioni. Un agente patogeno può anche essere introdotto da una popolazione animale: nuove tecniche di agricoltura e allevamento, il cambiamento nei rapporti con gli animali, sono tutte situazioni che destabilizzano un territorio e possono provocare le cosiddette zoonosi: è ciò che è avvenuto con il coronavirus». L’esperto esclude che una tale virulenza possa essere stata creata artificialmente: «Non esiste una produzione artificiale di un’arma biologica così potente che possa giustificare una pandemia come questa».
Il virus del resto non dà segni di cedimento: «Viaggia velocissimo, legato proprio alla mobilità umana, che è difficile da bloccare − sottolinea Guerra − fosse per l’epidemiologo, si chiuderebbe tutto: un lockdown assoluto, immediatamente, fino allo scomparire dell’ultima traccia di batterio. Ma è naturale che non si può fare: bisogna fare i conti con l’economia e con la politica. Da qui si comprende quanto sia difficile il dialogo tra politica e scienza: lo scienziato in questi casi può solo ipotizzare il verificarsi di determinate situazioni in base a delle probabilità, ma senza certezze assolute. Ed è complicato anche comunicarlo».
Nonostante la velocità di diffusione del coronavirus, la risposta della ricerca medica e scientifica è stata comunque veloce: «Abbiamo raggiunto importanti traguardi per prototipi vaccinali, diagnostica e medicinali innovativi – ricorda Guerra – ma il virus continua a galoppare ed è più veloce di quanto lo siano i protocolli sui trial clinici necessari a mettere a punto un vaccino sicuro ed efficace. Ce l’avremo presto, ma probabilmente arriverà una terza ondata prima di mettere in campo delle difese adeguate».
Terza ondata o no, come tutti gli oggetti biologici, anche il virus vedrà una fine: «Le malattie scompaiono per varie cause – spiega Fantini – Per esempio, per esaurimento delle persone suscettibili, fattore che interrompe la catena di trasmissione. Spesso però è l’efficacia delle politiche ad aver isolato e poi debellato una malattia. È il caso dei cordoni sanitari intorno a Marsiglia per contenere la peste del 1720, che poi è addirittura scomparsa dall’Europa. Altra causa storica, il cambiamento delle abitudini di igiene e di comportamenti in una popolazione. È il caso della malaria o del vaiolo. Certamente è stato fondamentale l’impatto della rivoluzione pasteuriana, ma hanno aiutato anche le campagne di prevenzione sanitaria e quindi l’introduzione di alcuni piccoli ma fondamentali accorgimenti nelle abitudini quotidiane di vita: lavarsi le mani, fare bollire l’acqua e il latte, per esempio. E anche nel nostro caso, le politiche e il rispetto delle regole di prevenzione e di igiene aiuteranno a eliminare la pandemia».
Mascherine, distanziamento sociale, igiene delle mani. Misure evidentemente non sempre e non per tutti così semplici da metabolizzare e da usare in modalità ordinaria. «Ma è quello che dobbiamo fare per limitare la circolazione del virus – sottolinea Rezza – Riportandolo ai livelli della scorsa estate, in sostanza: è l’unica cosa che per ora possiamo fare. All’inizio dell’estate avevamo abbattuto la circolazione virale, ma il virus non era scomparso: ha continuato a circolare, anche se meno velocemente. Ovviamente non è l’estate che ha frenato la circolazione del virus, ma il lockdown che l’ha preceduta: pensare che un virus nuovo scompaia o muti nel corso dei mesi estivi è un po’ un mito. E del resto non è accaduto. È accaduto invece un “lockdown naturale” che si verifica solitamente in estate: la gente usa meno il trasporto pubblico, le scuole sono chiuse, gli uffici si disinflazionano. Questo determina una diminuzione di circolazione di quasi tutti i virus respiratori. Ma un virus nuovo trova sempre un modo per diffondersi: è bastata una circolazione a bassa intensità per lo sviluppo di nuovi cluster, anche se piccoli. Il resto è storia di questi giorni: è stata sufficiente l’apertura di tutte le attività per velocizzare la circolazione virus nella comunità. E proprio nella comunità il virus viaggia di più, non nelle famiglie. Le famiglie esistevano anche a giugno e luglio, quando i numeri dei contagi erano bassi, ora fanno da amplificatore a un virus che è tornato a diffondersi rapidamente».
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Esistono poi altri elementi che accelerano l’estinzione di una malattia, la stessa storia ce lo insegna: «È chiaro che non si può non puntare su un vaccino – sottolinea Rezza – E quando arriverà, sperando sia sicuro ed efficace, sapremo che ne avremo poche dosi. Ci vorrà tempo per aumentare la produzione fino a coprire una soglia ampia di popolazione. Fino ad allora, dovremo fare di tutto per tenere bassa la circolazione del virus, evitando che troppe persone si infettino in tempi ravvicinati e nello stesso luogo, intasando così gli ospedali. È un gioco di equilibri sul quale non si può facilmente scommettere».
Sarà fondamentale la collaborazione tra scienza e ricerca di tutto il mondo per la realizzazione di vaccini efficaci, terapie innovative e immunoterapia, «che ci aspettiamo di vedere a breve, insieme a una diagnostica più avanzata, rapida ed efficace – spiega Guerra – E un intervento sui nostri sistemi sanitari che possa farli reagire in maniera pervasiva. Anche in Italia, tagli e altre situazioni economico-finanziarie non hanno tenuto in considerazione il valore gigantesco del nostro sistema sanitario, che ora apprezziamo più di prima. Il valore di un sistema universalistico, accessibile e capace di proteggerci come è finora accaduto, anche se non in misura massiccia come potevamo aspettarci. Ma se ci guardiamo intorno ci accorgiamo che gli altri Paesi – europei e non solo – non hanno di certo fatto meglio di noi. Anzi, alcuni persistono nell’errore».