Nel corso degli ultimi anni la presenza dei big dello shipping si sta rafforzando nei poli portuali di Genova, Vado Ligure e Savona. L’acquisizione del controllo del terminal Sech (localizzato a Calata Sanità, a Genova) da parte del Psa è solo l’ultimo ingresso, in ordine temporale, nel mondo della portualità ligure. Negli anni scorsi abbiamo visto il terminal container di Voltri-Pra’ passare sotto controllo dello stesso Psa, abbiamo visto l’inizio dei lavori per la nuova piattaforma Maersk a Vado Ligure (controllata al 50,1% da Apm Terminals, al 40% da Cosco e al 9,9% da Quingdao Port International), infine presto Msc controllerà la piattaforma container di Calata Bettolo in via di completamento.
Alla luce di questo processo, che valore ha il rafforzamento del ruolo di Psa sulle banchine genovesi? Possiamo interpretarlo considerando il programma cinese di investimenti noto come “Belt and Road Initiative”, con cui lo Stato cinese si prefigge di ottenere il controllo delle rotte commerciali più trafficate del mondo per raggiungere il cuore dell’Europa. Genova, insieme a Venezia, rappresenterebbe il capolinea marittimo di questo progetto, in quanto funzionale al raggiungimento dei più ricchi mercati continentali della Renania e del Benelux.
E cosa potrebbero guadagnare Genova e il suo porto da questo risiko di strategie commerciali?
L’allargamento della concessione di Psa porta in dote una maggiore capacità di investimento, già ampiamente dimostrata con la modernizzazione del bacino di Pra’ con gru elettriche Post-Panamax (costo investimento: 250 milioni di euro), che solo un operatore così finanziariamente solido può offrire. Simile discorso ha valenza anche per il terminal di prossima attivazione di Vado Ligure, dove la presenza di giganti come Apm Terminals (gruppo Maersk) e Cosco consentirà lo sviluppo del più moderno scalo marittimo italiano. A questo si aggiunge il potenziamento infrastrutturale in corso (Terzo Valico dei Giovi e Nodo ferroviario), che renderà possibile, secondo le stime del presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini, giungere entro il 2026 a un totale di merci movimentate per 5-6 milioni di teu (nel 2018 si sono movimentati 2,7 milioni). Questi investimenti hanno chiaramente l’obbiettivo di aumentare l’efficienza e la capacità delle strutture portuali, implementando l’attrattività di Genova in un ambiente fortemente competitivo come l’arco mediterraneo e sono fondamentali per offrire un hub di elevate performance logistiche che possa gestire un flusso incrementale di merci dall’Estremo Oriente in vista della prossima realizzazione della “Via della seta”.
L’attrazione di nuovi investimenti non è un bene per il solo porto. Anche la città può trarre beneficio da un porto più efficiente, in grado di scommettere su se stesso e sulla propria riqualificazione ambientale. Il terminal di Singapore, gestito da Psa è riconosciuto come tra i più sostenibili. Lo stesso Psa ha annunciato a inizio 2019 l’avvio dell’elettrificazione delle banchine del bacino di Pra’, da eseguirsi in co-partecipazione con l’Autorità portuale. La tematica green si ritrova strettamente legata al tema degli investimenti. Un operatore in grado di investire può garantire un porto più efficiente, in grado di gestire le proprie operazioni più velocemente e in maniera più eco-compatibile. Da un lato, operazioni più veloci garantiscono una riduzione degli impatti prodotti dalle navi grazie a minori tempi di turnaround, dall’altro operazioni più sostenibili mitigano gli impatti generati dal porto in land (prima tra tutti, le scelte modali per il deflusso delle merci verso i luoghi di distribuzione).
Senza dubbio le prospettive di sviluppo della portualità genovese sono promettenti. Il fatto stesso che investitori privati così rilevanti abbiano scelto di investire sul territorio è di per sé indicativo. A questo punto c’è da chiedersi perché tali investimenti non siano stati portati a termine da soggetti locali. Il porto di Genova già oggi attrae grandi quantitativi di merci e passeggeri, con ricavi da imposte decisamente ingenti. Il fatto è che tali introiti non rimangono sul territorio, sono assorbiti quasi completamente dallo Stato centrale e non vengono impiegati per mitigare le esternalità negative che le operazioni portuali comportano sul territorio. D’altra parte i terminalisti locali non hanno la capacità finanziaria per compiere grandi investimenti, pertanto portare nuovi capitali privati e capacità di investimenti sul territorio è l’unica via possibile per riuscire a integrare il tessuto urbano a quello portuale. La portualità genovese oggi fornisce lavoro a circa 50.000 addetti tra diretto e indotto, ed è di gran lunga la prima attività economica della regione. Sviluppare il porto è pertanto un imperativo fondamentale per tutti gli stakeholder, pubblici e privati che siano, e oggi lo sviluppo di Genova passa soprattutto per Singapore. L’integrazione del nostro sistema portuale col commercio internazionale sarà una discriminante fondamentale per il suo successo futuro, e magari anche per un suo aumento di rilevanza in ambito mediterraneo. Dobbiamo capire che con le nostre forze, e con il sistema attuale, questo non potrà accadere. Si tratta solo di guardare un po’ più in là, verso l’Asia.
Davide Siviero e Andrea Vella